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Penso che due righe su questi ultimi anni passati tra queste pagine siano dovute.
Sono cresciuto con questo forum. Non la posso mettere diversamente.
Penso davvero che la mia vita non sarebbe stata la stessa se ad un certo punto della mia vita non mi fossi imbattuto in forumfree. Se non avessi avuto la possibilità di iniziare a usare photoshop e html qui, probabilmente non farei il lavoro che faccio attualmente.
Non che il mio rapporto col forum sia sempre stato rosa e fiori. La mia carriera Gdristica non è mai stata continua devo ammetterlo, complice momenti vari della mia vita, ma ho sempre avuto la voglia di scrivere, raccontare qualcosa attraverso queste pagine.
La mia permanenza qui è sempre stata legata al doppio filo conduttore del mio personaggio: Bibiane. Lei è sempre stata il mio specchio, che usavo per proiettare paure ed insicurezze, che usavo per indagare me stesso, per raccontare frammenti di un animo tormentato. Non sono mai stato un ragazzo dall’animo quieto, non lo sono tuttora, e questo si rifletteva in lei. Il mio personaggio è cambiato con me. Da una femme fatale, nulla di più che la mia stessa fantasia di controllo del mondo, fino alle svolte esistenzialiste, di una persona che combatte per trovare se stessa e il suo posto nel mondo. Alla fine lei lo ha trovato e forse pure io.
Sono passate le stagioni, i periodi e gli utenti, venti e più anni della mia vita. La timeline del forum si è evoluta, i regolamenti cambiati. Io stesso ho cambiato più volte pelle all’interno della gerarchia, eppure al voglia di giocare non è mai cambiata. O almeno così credevo.
Adesso Bibiane è Mnemosine, la dea della memoria, null’altro che un eco del passato, un ricordo, un non ti scordar di me. Ma è questo quello che voglio? Ricordare? Ancorami al passato?
Mentre capivo la risposta, la mia presenza si è fatta eterea, non sapendo bene cosa altro raccontare. Mi sono detto più volte che forse cambiare pg mi avrebbe riacceso la voglia, che cambiare punto di vista poteva ridarmi l’entusiasmo. Ho resistito, mi sono dato delle scadenze, ho cercato di stare al passo. Nulla.
La scusa è stato il cambio di regolamento, la verità è che mi sono evoluto, ho superato il mio stesso personaggio, e forse tutti i personaggi che io possa mai raccontare. Mi sono spogliato di loro per potere vivere la mia di vita, senza più necessità di lavare le mie paure fra le righe, ma prendendola in carico in prima persona.
Vi ho voluto bene, alcuni di voi sono amici, altri forse un po’ di più. Di certo serberò nel cuore i momenti di gioco insieme, le storie inventate, i momenti vissuti oltre queste pagina.
È il mio ultimo atto come dea della memoria, prima di sparire come l’acqua argentata della città d’argento. Dalle sue torri, ogni tanto vi guarderò con il sorriso della Rimembranza.
Addio Bibiane, Addio Mnemosine.
Arrivederci Amici -
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Reach heaven through violence
"Mi spiace Harlan. La verità è che sapevo fin dall’inizio che tu non avevi possibilità di vincere. Adesso, dormi”
Un pensiero leggero che arriva alla mente del guerriero di G.E.A.
Il fendente ha una potenza inaudita, è come un’unico impatto di luce, anzi no, mille impatti di luce. Sono denti selvaggi che vogliono affondare nella carne della dea per triturarla in milioni di pezzi.
Ma ancora una volta il turbinare degli eventi non era a favore dell’araldo. Il guerriero stava cercando la forza per vincere il destino, ma ancora non l’aveva ottenuta. Mnemosine era il suo desino. Quel gesto finale, la chiave.
Ancora una volta la dea, con la restante dunamis che aveva in corpo, attivò il sigillo. Lampi di potere, sfavillanti del corvino tipico della notte senza stelle a cui gli abitanti del Labirinto erano abituati, avvolsero il corpo della dea.
I lampi di luce si disposero negli antichi segni. Parole antiche, in una lingua dimenticata, il codice del mondo, scritto con il potere scintillante della dea. Parole che non possono essere tradotte, ma che emettevano un suono, un sussurrò nell’aria.
La vibrazione era prima un sibilo sommesso, poi una risonanza metallica, per poi armonizzarsi in sussurri ripetuti, da tutto il creato, nella lingua che più similmente poteva riprodurli senza che questo facesse impazzire chi l’ascoltava o crollare il mondo.ibis redibis numquam peribis
Quel suono iniziò a vibrare della stessa frequenza con cui era stato lanciato il colpo che doveva essere fatale, facendolo ondeggiare. Quello che prima era un taglio netto divenne una massa fusa di cosmo e spirito che si andò ad infrangere contro il sigillo.
Il sigillo ricevette l’energia e continuò a vibrare, dissociandosi da se stesso come un caleidoscopio, in più strati di differenti colori prismatici.
Dapprima vorticarono in direzioni diverse, ed ogni strato portava via con se parte del colpo nemico. La potenza devastante fu incanalata, riassemblandosi in una colonna di luce, che poi dall’alto al basso precipitò verso terra in un arcobaleno, alla cui base non c’era la pentola d’oro, ma Harlan stesso,
Mnemosine aveva giocato il suo ultimo asso nella manica, rigettando l’energia di spirito e luce contro il nemico. Ma per quanto la potenza potesse essere smorzata, la dea aveva dato fondo a tutte le sue risorse, e tutta quell’energia non poteva essere arginata in quello stato. Fu così che parte della colonna di luce l’avvolse, bruciandola nel suo potere.
Era una sensazione strana. Come prima, pensava che fosse la sua parte umana che l’aveva fatta distrarre, ma non era così. Alla fine se ne rese conto. Era stato Harlan a toccargli l’anima, a far sorgere il dubbio in lei. Era nel giusto?
La domanda crebbe ne suo cuore, come una nera minaccia. Era ansia, che la stava assalendo. La paura di perdere il controllo. Il giusto contrappasso per una divinità preposta alla conservazione del mondo. E allora cosa fa un'anima quando non può perdere il controllo?
Nulla, esattamente nulla. Diventa un blocco di marmo, talmente solido che non permette di muovere un'arto, girare la testa, persino respirare, il mondo si chiude su di te. Provi a fare forza, puntellare le pareti, ma la verità è che tutto diventa una gara di resistenza che non sai se vincerai. Quasi mai.
La dea strinse i denti. Mancava poco.
Avvolte nella luce le due anime fecero contatto. Ancora poco. Quella sensazione di morire perchè non c'è altro posto dove fuggire sarebbe durata poco. Sperava. Il suo unico appiglio che anche quella presa sul cuore era funzionale.
Il piano era giunto infine a conclusione. In una colonna di luce.
"Alla fine ti sei mostrato per quello che eri.
Un’arma, niente più. Vorrei tanto darti una strada, affinché un giorno tu possa essere di più. Se questo è il tuo desiderio, tuttavia, io lo accontenterò.
Adesso però, vieni con me giovane Harlan, lascia che sia io a ricucire il tuo essere."
Nelle mani di Mnemosine la mente di Harlan è una stella sulla battigia del mare dell’Immaterium. La dea lo raccoglie da risacca e lo porta con se, passeggiando sulla riva.
I suoi passi sono una cantilena di luce, un rosario sacro fino alla città d’argento.
Amorevolmente, la luce di Harlan viene riposta in un libro, dove guarirà se stessa.
"Vedi Harlan, tu non sei altro che una storia, una delle tante chiuse in queste pagine. Ci sarà un tempo a venire in cui il mondo avrà bisogno ancora di te. Ma per il momento riposa. Lascia che raccolga i frutti del tuo sforzo."
Da una finestra della biblioteca che sembrava un castello da fiaba, albeggia all’orizzonte.
È il momento.
Scese le scale della dei quella torre, ed uscì fuori le mura.
Stava venendo dal levare del sole. Passi umidi sul mare d'argento. Era solenne, maestosa, di una bellezza ultraterrena. Talmente splendente che illuminava il cielo con la sua sola presenza
In quel luogo, dove raramente si incontravano persone, ma archetipi, pensieri ed idee collettive, per una volta, la notte senza fine incontrava il giorno.
“Finalmente ci incontriamo lontane dai confini della realtà. Benvenuta nel mio regno, Imperatrice. Lascia che ti illustri le bellezze di Akasha, la biblioteca di luce, il luogo, dove io e te parlamenteremo senza alcun vincolo dei destini del pianeta… -
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Reach heaven through violence
Sorrise Mnemosine, alle parole del suo nemico. Lo lasciò fare.
Non si curava più di prevedere le sue strategie puntualmente. Ogni sua mossa era oramai facilmente calcolabile, ogni sua opzione di movimento era ben ponderata.
Era una questione di attitudine.
“Qui è il tuo limite. Io conosco la risposta. Ogni tua possibile conformazione in questa realtà è stata registrata, ogni tuo futuro cambiamento calcolato. Ma ancora ignori i tuoi limiti. Hai richiesto che l'infinito potere della Città d’Argento si pieghi al tuo, ma sei un essere limitato Sei come una scimmia che corre sulla mano del Buddha…”
Rispose Mnemosine all’affermazione del guerriero. Non era la sua voce portata dal vento, ma bensì un pensiero che viaggiava su ali astrali, che proveniva da tutte le direzioni e da nessuna. Un brivido freddo nel cervello del suo avversario.
“…Io non sono qui per giudicarti né sondare le profondità delle tue intenzioni, nobili invero, ma non per questo accettabili. Il potere di Akasha si offre se la situazione lo richiede, ma se a farlo non sono le circostanze ma un’istanza bene precisa del creato, allora questa deve poggiare sullo stesso gradino essenziale”
Lui sparì dalla sua vista, lei già sapeva. Stava per fare quello che avevano fatto prima di lui molti guerrieri, continuando a reiterare ciò a cui aveva assistito pochi istanti prima. Attaccare a tutto spiano, andando su tutta l’area dove presumeva lei poteva esserci. Cercava di avvalersi della sua superiore potenza di fuoco. Una strategia vecchia, stantia. E avrebbe continuato a bloccarla con un colpo per rompere idealmente le sue difese per poi sferrare un secondo attacco di fino. Uno schema ripetuto pesantemente lungo tutte le fasi di quello scontro. Non faceva che corroborare quello che gli stava per rispondere poco dopo.
“Sto cercando in te la scintilla primordiale che ti guida, ma le tue azioni, la tua essenza, le tue parole, non fanno altro che dichiarare che sei in tutto e per tutto ancora Harlan. La sua migliore versione possibile, un umano terribile e splendente, ma pur sempre umano. Le pallide spiagge dell’oceano oscuro oltre questa realtà non ti saranno concesse finché non ti eleverai a nostro pari. Parlerò con Amaterasu, non con il suo reggente.”
Non c’era né astio né alcuna presunta arroganza nei sentimenti portati da quelle parole. Era semplicemente la constatazione dei fatti. La necessità così dettava.
Era una questione di attitudine. Per lei quel duello era una serie di mosse da fare, affrontate in maniera neutra, con la mentalità di una scacchista. Schemi, aperture, mosse. Le improvvisazioni non esistevano, erano errori, e gli errori andavano puniti. Mentre il guerriero continuava a fare quello che solo sapeva fare. Caricare a testa bassa, lottare, distruggere, sminuzzare. Un tempo anche lei era così, una guerriera. Provava piacere nello sminuzzare, nel giocare al gatto col topo…
“Sei ancora troppo debole”
Era davvero così? A chi era riferita quella frase? Dalla sua mente stavano per uscire sentimenti di scherno, che tuttavia riuscì a frenare.
Si rese conto che quelle parole e quei sentimenti che le erano morti dentro facevano parte della sua incarnazione umana precedente: Bibiane.
La rossa agiva esattamente come Harlan, ed esattamente come lui era arrivata al massimo splendore umano. C’era ancora qualcosa del suo substrato umano in lei?
Quel pensiero era come un graffio nella sua anima. Ma che non le fece perdere la concentrazione sul suo obiettivo.
“Una sovrana ha dalla parte sua…
L’attacco dell’araldo arrivò dall’alto, come calcolato. La direzione sarebbe stata del tutto indifferente invero. Il potere della dea già si stava muovendo intorno a lei, disegnando una sfera perfetta di diagrammi geometrici che la racchiudeva.
“Dominio”
La luce impattò la superficie del diagramma. Forte era lo spirito del guerriero, ma troppo debole la volontà e la sua tecnica, avventate le sue deduzioni. All’inizio dello scontro anche solo un attacco del genere l’avrebbe travolta, ma i suoi poteri mentali avevano colpito già un paio di volte il nemico, fiaccandolo nella potenza.
Docilmente, la luce danzò sui diagrammi prodotti della titanide, venendone dolcemente sopraffatta. Come gocce d’acqua incandescente, i fotoni seguirono i mutamenti della stessa. Ciò che prima era luce divenne segno. Un altro strato di barriera si era eretto sulla prima fatta da Mnemosine, rafforzandola.
“Pensiero”
Arrivò il fendente infuocato, ma finì contro il suo stesso potere imbrigliato da quello della dea. Nulla di quello prodotto dal nemico poteva raggiungerla, ma il colpo fu portato a una potenza tale che sovraccaricò il sigillo, che generò un’onda d’urto che la scagliò via di lì. Facendola impattare di nuovo a terra.
“Volontà”
Fisicamente aveva lasciato che il nemico la rendesse quasi inerme, ma era tutto calcolato. La stanchezza e il dolore minimizzati, riutilizzare le energie nemiche, canalizzare, focalizzare. A quel tipo di consapevolezza portava conoscere profondamente il codice della realtà. Sapere cosa c’è stato prima permette di sapere quali eventi seguiranno dopo, ridurre gli scenari a una manciata di probabilità, ad ognuno delle quali si può rispondere a seconda della propria volontà. Gli eventi diventano un fluido divenire, dal passato al futuro, un meccanismo perfetto.
“Obiettivo”
Gli occhi della dea erano stati lievemente danneggiati dall’impatto con i fotoni e anche il corpo stava risentendo dei numerosi impatti. Tuttavia, lei non aveva bisogno del corpo.
Attinse al suo potere e colpì dove voleva. Adesso che il nemico aveva finito le risorse per poter scappare. Aveva le difese mentali abbassate, e la mente esposta dallo stato confusionale in cui si trovava. Era il momento di mostrare ad Harlan cosa intendesse.
Era un’illusione che avrebbe avvolto il nemico, ma più che un’illusione sarebbe stato più corretto descriverle come una serie di immagini trasmesse direttamente al cervello di Harlan.
Era la visione del dominio di Mnemosine, il Nexus, fatta per essere compresa da mente umana. Un cielo stellato infinito che risplende in un oceano di acqua pura quanto aria. La spiaggia è fatta di argento finissimo, simili alle stelle dell’eterna notte di galassie e stelle che l’avvolge. Sulle rive, un cittadella simile a un faro nella notte, si staglia contro il cielo. Le dimensioni sono difficili da dire in lontananza, ma il bagliore platino pari a una grande corpo celeste che emana delle sue mura la identificano come la città d’argento: Akasha, la grande biblioteca. Un viandante coperto da una cappa, si avvicina da quel luogo nella risacca.
“Io sono dominio e mi interfaccio solo con regnanti, non con un semplice Samurai. Tale è la natura delle forze cosmiche primordiali che chiedi di assoggettare. Sono antica, antecedente alla tua stessa creazione. Io trascendo la creazione dell’umanità, il concepimento di Amaterasu, e del mondo stesso. Ero prima che fosse il tempo. Evolviti al mio livello, umano, e otterrai ciò che chiedi”
La cappa volò via e Mnemosine si mostrò nella sua forma primigenia. Un essere fatto della stessa sostanza di quell’oceano, acqua purissima. Sembra argento animato da una forza vitale eterna. Al suo interno, vivono galassie e mondi e stelle in costante movimento, suoni di cristallo ed argento la popolano. Un essere dalla vaga forma umana, ma che potrebbe assumere qualsiasi forma. Tale è la sua natura, uno specchio, dove chiunque ci si affacci non vede che se stesso, ma che al tempo stesso riflette tutto anche se nessuno lo osserva direttamente. La sostanza dell’eterno languire della memoria collettiva, che sopravvive al passare del singolo essere e delle epoche.
“In cuor tuo conosci la risposta. Dichiari di non avere una forma, eppure i tuoi vincoli sono rappresentati dalle mura invisibili della sola realtà a cui appartieni. Vieni da me non comprendendo profondamente né il tuo posto nell'ordine cosmico né il tuo profondo io. Seppure il tuo animo è puro, sei ancora imperfetto. Toccherà a me ragguagliarti sulle implicazioni della tua richiesta…”
Le stelle iniziarono a vorticare intorno alla figura mutevole della dea, la città di Akasha in lontananza divenne prima un faro, poi un incendio stellato all’orizzonte. Un vento impercettibile scuoteva violentemente cielo, terra e spiaggia. Tutti i moti di quegli elementi si sincronizzarono in forme geometriche che si stagliarono come un circolo in un cielo. Nomi antichi, concetti inenarrabili venivano scritti in una lingua incomprensibile agli uomini in parole fatte di pura energia astrale. Il Nexus era in attesa di un comando della sua padrona
“Questo è l’infinito potere che stai reclamando. Lascia che te lo mostri nel suo splendore”
A quelle parole le porte di Akasha si sarebbero spalancate e l’ondata del mare psionico davanti al guerriero di G.E.A., potenzialmente travolgendo e annientando la sua mente. Se quel potere lo avesse travolto, nella mente di Harlan le cose avrebbero iniziato ad avere più significato. Se questa inizialmente potrebbe sembrare una cosa positiva, nel giro di qualche secondo la sua condizione sarebbe peggiorata. Sempre di più, più informazioni, una miriade. Fatti, frammenti di memoria, informazioni senza un fine. Un diga aperta di potere psichico infinita a pressione nella limitata psiche del guerriero. Epoche, immagini, suoni sensazioni diverse, tutte insieme. Troppo per un cervello umano. Poteva mai Harlan sopravvivere a uno Tsunami di tale portata? -
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Il flusso eterno della storia, la cascata del tempo, il grande palco, la grande illusione. Nell’ordine del creato tutto trovava un posto.
Tutto ha un motivo, ma non tutto ha la consapevolezza della motivazione. Così come le galassie non si chiedono il perché del loro vagare, i buchi neri della loro esistenza e le stelle del loro brillare, così Amaterasu non si chiedeva del suo lottare. Avevano uno scopo, ma non un motivo.
Mnemosine non aveva il privilegio di poterlo ignorare. L’araldo voleva soggiogarla, lei in realtà lo stava lasciando fare, perché poco le importava. Non era quello il punto della questione. I destini del mondo sono cosa complicata e se il suo intervento era necessario, lei sarebbe intervenuta a prescindere, non per dovere morale, etico o obbligo, ma per sua natura. Lei era l’incarnazione di un’aspetto della realtà e la sua istanza non era altro che la conservazione del mondo stesso. Non poteva fare altrimenti.
Quello scontro le sembrava alquanto superfluo. Era piuttosto lo spirito di quello che un tempo era identificato come Harlan ad essere messo alla prova. Per le battaglie che si prospettavano nel futuro, era necessario che gli attori in scena fossero preparati, e quello scontro era un anticipo. Da qui il grande inganno di quel mondo. In un flusso continuo di informazioni ed eventi, dove causa ed effetto sono indissolubilmente legati, era possibile davvero il libero arbitrio? Avrebbe potuto il guerriero scegliere di non combattere?
Mnemosine sapeva la risposta, l’aveva visto prima che il tempo stesso fosse concepito, nella mente di G.E.A. stessa, ma si asteneva dal formularne il solo pensiero. Sapeva bene che una risposta del genere sulla natura stessa del suo universo avrebbe fatto crollare l’illusione. Doveva dare all’araldo la sua funzione, il suo scopo per questo non avrebbe fallito gli esiti di questo scontro.
Non era una questione di forza di volontà, quello era un concetto del tutto umano. La titanide era essa stessa parte della realtà. Non aveva senso parlare di forza di volontà perché paragonarla a quella umana ne avrebbe tolto completamente il significato, come se volessimo quantificare un numero finito moltiplicandolo per infinito o dividere per zero. Operazioni senza alcun senso.
Per la dea era una questione di necessità, di ineluttabilità. Ciò che doveva essere fatto, andava fatto. Era una coercizione esistenziale divina; su quello Harlan non aveva potere. Se voleva vincere quello scontro doveva trascendere la sua mente umana e avvicinarsi al suo spirito divino. La potenza di Amaterasu poteva forse sovrastare quella di Mnemosine, ma non poteva nulla contro l’istanza stessa della sua esistenza.
Così, mentre il potere del sole nascente sconvolgeva terreno e montagne con la sua volontà, là Mnemosione non fece altro che ubbidire alla sua natura, assolvendo al suo compito, come acqua che sgorga da una fonte.
Il suo corpo era stato danneggiato nell’impatto, sentiva che i suoi tendini e le sue ossa non le permettevano di muoversi alla velocità che voleva, eppure anche da quella posizione, mentre la terra tremava e provava a stritolarla, la mente della dea tenne saldo il suo potere.
Prima fu un pensiero, poi un’informazione, si condensò in Dunamis e infine fuoco di potere puro nel creato.
Il potere della dea fatto di luce incandescente si diramava per tutto il campo di battaglia, avvolgendolo come se fossero un essere vivo. Rabescanti composti da figure geometriche fiorivano su se stessi sbocciando in ogni direzione al passaggio dei pensieri della dea. Dapprima, la sue spire di potere si saldarono con i sigilli che erano sul corpo stesso di Mnemosine, poi alla terra agitata dalla volontà avversaria. Il suo potere la sollevò dal suolo, portandola via dal luogo di morte che il guerriero di Gea aveva preparato per lei.
Scie di luce brillavano come luce liquida nel creato, sfavillavano nell’aria rarefatta di quel luogo, abbracciavano ogni lingua di terra che l’araldo poteva creare. Al contatto fra le due emanazioni, la luce avvinghiava la terra, ingabbiandola in geometrie fluide, come privandole di energia. Era come se il potere di Mnemosine stesse cantando una ninna nanna alla terra agitata che la circondava, placandola dolcemente. L’energia della terra diventava energia del sigillo.
Le lingue di potere erano collegate fra di loro in una lunga catena incandescente, che aveva la sua chiave di volta in una forma che si trovava sotto i piedi della dea. Quello era il nucleo focale di un caleidoscopio di luce che si stava costruendo in quel luogo. In quel diagramma era custodito il potere che la dea aveva raccolto durante lo scontro, serbandolo gelosamente per il momento.
Le spire continuavano a muoversi ed espandersi, in una struttura che ricordava una piramide, ma che in realtà era simmetrica verso il basso, diventando un perfetto solido platonico, con ad un vertice il sigillo della dea, dall’altro, il guerriero di Gea. I tentacoli luminosi, risalendo il suoi colpi, lo avevano individuato, e si erano disposti intorno a lui formando una gabbia geometrica che lo avvolgeva da ogni lato. I punti di contatto erano disposti.
Mnemosine non sapeva certamente quale sarebbe stata la prossima mossa dell’avversario, ed aveva poco senso saperla. Lo aveva costretto al muro, senza possibilità di fuga. Avrebbe fatto quello che facevano tutti gli animali accerchiati: attaccare con il tutto per tutto.
Forse non era del tutto pronta al potere che si stava per riversare su di lei, ma poco gli importava. Che colpisse pure il suo corpo, ma è la mente che doveva preservare. Il suo avversario non era uno stupido, e aveva i mezzi per colpirla dove le avrebbe fatto più male. Toccava lei difendersi per quell’evenienza.
E la rabbia dell’avversario esplose in mille fendenti, che cercavano il suo corpo. Ma quando questi volarono dalla terra al cielo, non trovarono solo quello, ma l’aria saturata dalla bella trama creata dalla dea. A contatto con quel potere, in parte le lame ne venivano deviate, in parte si perdevano incastrare in quel dedalo di potere incandescente. La dea stava cannibalizzando la volontà del guerriero, facendo diventare il potere del nemico suo.
Ma più i secondi passavano, più la potenza di Amaterasu si dimostrava soverchiante. Probabilmente in altre circostanze, ne sarebbe stata travolta, ma il suo avversario era stato contaminato dal suo potere psionico, appianando il divario fra le due potenza. Così mentre veniva colpita dalle lame che non riusciva a ingabbiare nella sua sacra geometria, riusciva ancora a tenere salda la concentrazione.
Gli affondi penetravano nel suo spirito, fiaccandola nella sua più intima essenza, ma era ancora lontana dal cedere. Mentre il suo avversario cercava il suo corpo, lei aveva trovato la via. Lo raggiunse nei pensieri.
“…Il potere che possiedi è grande e tremendo, ma votato a un solo scopo. La vera domanda che dovresti chiederti, sei capace di domare la tua stessa natura e trascenderla?…”
Così, quella struttura dalla bellezza sfavillante rivelò la sua natura fatale. La chiave di volta, il sigillo principale iniziò a roteare su se stesso, e aprì la via della distruzione. Tutto il potere accumulato fu trasmesso prima dal punto di raccolta in alto al solido platonico intorno a lei e poi giù, nelle viscere della terra, alla gabbia che aveva preparato intorno al nemico, che si restrinse al comando.
“..fino a quando non avrai una risposta, il potere di Akasha ti sarà precluso…”
L’esplosione fatta del carico di potere dei suoi stessi colpi combinati a potere della dea doveva rilasciare un torrente di energia sul suo nemico, colpendolo da ogni direzione a corto raggio. Così comandò Mnemonsine sul creato. -
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Nome utente: Wandefullstar
Nome pg: Mnemosione
Casta, cloth e grado cloth: Titani, Soma dell'Ascia, VII
Energia: Viola
Link scheda:This -
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Sin dalla sua origine, l’universo si è fondato sulla sintesi di opposti. Materia e Energia, Spirito e Realtà, si sono sempre scontrati per dare vita a qualcosa di altro da sé in uno scontro generativo. A ben vedere, secondo questo schema, la battaglia fra Amaterasu e Mnemosine sarebbe stata comunque inevitabile.
In superficie poteva sembrare che le due forze potessero equilibrarsi sincreticamente. Da un lato la forza creatrice di Amaterasu e dall’altro la forza conservatrice di Mnemosine. Dove il Sole versava incessantemente energia sul creato, la Memoria ne registra il passaggio.
Ma le due istanze presentano una dissonanza di fondo nella loro intima natura che non permetteva tale armonia.
Laddove la creazione voleva partire da zero su tela bianca, la memoria faceva valere il suo eco sulla realtà, ricordando che quella tela bianca era un'illusione, e che il mondo ha una storia e un pregresso.
Laddove la memoria conservava lo status quo delle cose, la creazione invece metteva in moto l’universo con nuove storie, del tutto nuove e mai registrate prima.
Lo scontro che si stava attuando non era, dunque, il semplice capriccio di due entità che si spartivano i ruoli sul creato, ma era una forma di sintesi dell’universo. In quel duello, creazione e conservazione si misuravano in modalità distruttiva, una funzione ricorsiva della realtà ritrovabile in tutto il creato, come un frattale che fonda il multiverso stesso.
Non era uno scontro per misurare la mera potenza, ma un saggio sulla volontà più forte; il vincitore avrebbe avuto il controllo di quella partita.
Mnemosine partiva svantaggiata. Nella sua forma attuale era tremendamente limitata, privata com'era dell'accesso diretto al suo regno, contenuta nella sua forma ancora troppo umana. Dall'altro lato, Amaterasu poteva sfoggiare già tutta la potenza del sole all'alba, in grado di distruggere e creare interi mondi.
In quella situazione l’unico fattore che poteva rivelarsi decisivo a favore della dea della Memoria era la sua stessa intrinseca natura.
Mnemosine ricordava, come poteva altrimenti, e non solo le sue esperienze, ma tutte le esperienze del mondo. Lei poteva vedere il tempo passato, fin dalla sua creazione, quando lei stessa era parte di G.E.A. , null'altro che una funzione in un sistema complesso. Come tale, ricordava dunque ogni singolo pensiero ed ogni singola parte di sua madre.
Ricordava bene che in seno a lei, il pensiero degli araldi era già formato, come se ella stessa l'aveva formulato.
Amaterasu aveva una funzione ben precisa nell’ordine delle cose e le erano stati per questo affidati determinati poteri. Questo comportava che Mnemosine potesse facilmente intuire cosa era o meno in potere dell’araldo.
Amaterasu era impossibilitato a percepirla, né poteva liberarsi dalla sua morsa psichica in alcun modo perché semplicemente non era in suo potere. Quello che l’avversario poteva sperare di fare era cercare di sbilanciarla per recuperare terreno al fine di utilizzare il suo potere devastante. Il primo attacco dunque sarebbe stato brutale e multidirezionale: una mossa prevedibile già vista in eoni di battaglie.
Per quanto il nemico potesse cercare di destabilizzare e danneggiare il corpo fisico di Mnemosine, la sua psiche era ormai prede del potere della titanide, che si era installato nella mente dell'avversaria e avrebbe continuato ad eroderla come un lento veleno dalla natura letale.
Mnemosine dal canto suo doveva destreggiarsi con l’offensiva vera e propria, agendo di astuzia: da un lato doveva dotarsi di strumenti tali da cercare in qualche modo di colmare il vuoto di potere tra i due, dall’altro doveva portare lo scontro su un suolo a lei favorevole.
Sfoderò la sua ascia e armò le difese. Il tempo di un ulteriore movimento di quella danza letale era giunto.
Venne la prima ondata, come aspettato. Quel tipo di attacchi peccano di prevedibilità, precisione e intenzione. Per quanto fosse devastante il potere del sole nascente, era pur sempre un attacco che non aveva un vero e proprio fine. Il sigillo che aveva piazzato sul suo corpo già gli dava un vantaggio in termini di agilità sul nemico. Uno scatto in direzione contraria ed era già fuori dalla portata di minaccia.
La seconda parte sarebbe stata più difficile. Il diversivo l’aveva lasciata scoperta, e l’araldo poteva capire dove fosse ubicata anche non visualizzandola. Benché la sua natura fosse del tutto diversa, tuttavia, Amaterasu non avrebbe assaltato frontalmente, non avendo idea della reale ubicazione del nemico. Sarebbe rimasto quindi sul luogo e avrebbe optato per una raffica di colpi nella direzione approssimativa. Quei frangenti di secondo sarebbero stati essenziali per prepararsi a procedere verso quello che sarebbe accaduto dopo.
Vento. Il nemico possedeva nel suo arsenale una mossa dal potere devastante assoggettando quell’elemento e si stava preparando ad usarla. Quell’informazione sarebbe stata una variabile dipendente dal suo controllo. Avrebbe adattato le sua azioni in base allo scenario che si sarebbe presentato davanti. Questa plasticità di pensiero, che non esclude la pianificazione, ma ne è il diretto complemento, sarebbe stata la chiave di volta per vincere lo scontro.
Le raffiche agitate dalla signora del sole nascente erano tremende in violenza, ma prive di mordente. Non era quella la parte principale del suo attacco. Mnemosine fece affidamento ai suoi arti potenziati dal sigillo, ma non sarebbe stato abbastanza. Amaterasu la desiderava, la voleva vicino a sé, per sconfiggerla e dominarla, ma non per questo ci sarebbe riuscita. La dea fece bruciare la sua dunamis che travalicò i limiti del suo corpo, componendosi in un rabesco di energia fluttuante davanti a sé, sovrapponendosi alla sua ascia per sommarne i benefici, diventandone l’imbracciatura.
L’aria ruggiva intorno alla dea investendola in pieno. Per tutta risposta lei trincerò dietro la sua difesa, facendo valere la sua volontà di ferro anche in quel frangente. La corrente non riusciva a travalicarla e impattando su di essa si disperdeva in rivoli, ma in parte veniva a intrecciarsi con il suo scudo di potere, facendolo brillare di una sinistra luce cosmica, che catturava l’energia cinetica dell’aria.
Il nemico voleva attirarla a se, ma Mnemosine già sapeva quale sarebbe stata la seconda mossa avversaria. A quel punto, non avrebbe fatto più differenza sapere da dove sarebbe venuto il secondo colpo che avrebbe fatto esplodere la tempesta. Aveva dalla sua i suoi movimenti potenziati dai sigilli e la conoscenza della tecnica avversaria che le avrebbe permesso di rivolgere il suo scudo nell’angolazione desiderata giusto in tempo per intercettare la mossa nemica.
Quello sarebbe bastato. Amaterasu portò il suo colpo, Mnemosine ne intercettò le correnti e utilizzò il suo scudo frapponendolo fra sé e le correnti d’aria. L’impatto che doveva tranciarla ne fu deviato, non risultando in una forza di taglio ma in una massa critica che faceva pressione sul suo sigillo. La violenza impressionante del colpo non poteva né essere totalmente deviata, né totalmente assorbita. Nella stessa frazione di secondo in cui il rabesco si saturò del potere nemico, la forza del colpo si abbatté del tutto su di lei e tracimò come un fiume in piena che, superando gli argini, travolge tutto.
La dea fu scaraventata al suolo dal contraccolpo e l’impatto fu devastante. Al contatto con il suolo, sentì tutto il dolore che si trasmetteva nel suo corpo. Eppure, come in un domino, tutti i fattori che aveva calcolato le avevano permesso di avere salva la vita: la sua fisiologia da titano, la sua soma e la sua ascia, il potere del sigillo che ancora era presente su di essa, l’angolo di impatto, la frizione dell’aria, la neve. Tutto concorreva al suo servizio.
Non perse i sensi anche se era dolorante ovunque. Si sollevò in piedi a fatica, ma poteva. Nulla di seriamente rotto, anche se ci era mancato poco. Era tutta un livido. Il cratere generato dall’impatto le dava tuttavia un attimo per respirare, perchè la neve che si alzò creò una perfetta cortina per mascherarla. Anche quello, un fattore calcolato.
Se c’era una cosa a cui era abituata nella sua vita da mortale era il dolore, se c’era una cosa che il suo corpo da titano gli aveva donato, era la sua tolleranza, e se c’era una cosa di cui aveva imparato a fare a meno in battaglia, era proprio il suo corpo. Così, il suo potere mentale esplose di nuovo, avvolgendo il campo di battaglia e la mente dell’araldo.
Ancora una volta, l’araldo non l’avrebbe più vista. Al diradarsi della nube di nevischio, non avrebbe trovato il corpo della dea nel suo luogo reale. Sarebbe tuttavia apparsa alle sue spalle, una copia perfetta della dea nelle medesimo condizioni, affannata, dolorante:
“Sai, pochi sono a conoscenza della reale portata dei miei poteri…”
Gli avrebbe puntato l’ascia contro, e nel dolore avrebbe sorriso
“...questo è il potere contro cui ti stai misurando”
E sarebbe esploso dal petto dell’avversario un sigillo di potere che l’avrebbe avvolto ed intrappolato, frustandolo, impedendogli i movimenti, ma non solo. Le spire di potere infuocato l’avrebbero preso e colpito, e avrebbero scavato nel suo petto, fino a raggiungere la sua più intima trama. E da lì una voce sarebbe riecheggiata. Zmaj.
Panico, incomprensione, terrore, impotenza. Quella visione puntava a risvegliare tutte quelle sensazioni e pensieri negativi che avrebbero disarmato la mente avversaria.
“Adesso sei mio”
Un dolore lancinante l’avrebbe percorso nell’anima, come se qualcuno stesse sventrando il suo corpo dall’interno. Ma c’era qualcosa di più sotto.
Il dolore era solo una distrazione. Nella sua mente stava mettendo in realtà radice il secondo strato del sigillo mentale della dea. Compito di quel sigillo sarebbe stato celare la dea dal nemico. Ovunque l’avrebbe cercata, non avrebbe trovato che lo spazio aperto, le montagne, l’aria rarefatta, ma nulla di lei, ne delle sue tracce. Era il primo stadio di una dissociazione dalla realtà, un sentiero di follia che la dea stava stendendo come un tappeto sul cammino dell’avversario.
Quella geometria invisibile si sarebbe sovrapposta alla prima, rendendo sempre più debole il potere di Harlan, disperdendo la sua psiche e i suoi ricordi, soffocando la sua potenza e diffondendosi come sordido veleno di vipera. -
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Salve tutti. Sono un po' sparito ma dal famoso viaggio di nozze ho avuto un cambio lavoro, lavori in casa e 2 traslochi e mezzo, più una serie di casini infiniti in real. Questo mese dovrei riuscire a calmierare tutto e tornare a postare. Mi scuso per le attese di tutti -
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Edited by WandefullStar - 17/5/2022, 09:13 -
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Reach heaven through violence
Mnemosine non si concesse il lusso di sottovalutare il suo avversario neanche per un secondo. Il reggente della corte di mezzanotte era un’avversario di tutto rispetto che meritava un trattamento d’onore.
La dea innalzò la sua Dunamis oltre il campo di battaglia, varcando i confini di quel luogo fino ad arrivare alla fonte del suo potere: il Nexus. Al suo richiamo, quel regno versò potere nella mente dea, come se fosse acqua argentea risplendente di luce cosmica. Akasha fece risuonare la sue campane e le porte della biblioteca argentea si spalancarono al comando della sua sovrana. Memorie e oscuri segreti di Harlan si presentarono davanti a lei.
La dea richiamò alla memoria Amaterasu, il suo ruolo nel mondo, la sua storia e la sua natura. Era un compito particolarmente facile, perché i funzionamenti dell’universo le erano impressi dentro, traccia di quando lei stessa in passato faceva parte di G.E.A. Quelle informazioni tuttavia andavano aggiornate, analizzate nel contesto generale del tempo odierno ed infine relazionate al suo sostrato umano.
Passò in rassegna Harlan, la sua fisicità, le espressioni del corpo. Ogni minimo e singolo movimento, volontario e non, fu valutato, non solo nel mezzo di una battaglia ma anche in contesto quotidiano. Analizzò i movimenti del corpo e del viso, le espressioni volontarie ed involontarie, i suoni prodotti e come ogni suo singolo muscolo ed organo funzionassero e quali risposte avesse agli stimoli interni ed esterni. Indagò poi la sua mente, il suo carattere e i suoi schemi di pensiero. Il suo passato, la sua storia, i suoi sentimenti presenti e speranze per il futuro, per poi procedere con la sua emanazione cosmica, della sua estensione e in che misura variasse a seconda delle intenzioni e della predisposizione dell’animo del guerriero, non ultima la sua interazione con la Darian.
Intrecciò queste informazioni elaborando un modello iper-realistico del suo avversario creando diagrammi predittivi dei suoi attacchi, dei suoi comportamenti, finanche dei suoi modi di pensare, in modo da potere anticipare ogni singola sua mossa. Elaborò i suoi pattern di pensiero e schemi mentali e cognitivi nei minimi dettagli, e rimarcò punto per punto come l’umano e la forza che rappresentava interagissero, segnando limiti del loro potere, punti di forza e criticità. Tutto questo nel giro di un attimo, tale era il potere della signora della memoria, mentre l’araldo era intento a dare spettacolo di sé.
Mnemosine era dunque pronta allo scontro, mani congiunte davanti al petto, pronta a carpire ogni minimo segnale dell’avversario per elaborare altrettanto velocemente una strategia che la portasse alla vittoria.
Harlan stava per attaccare evocando cinque lame, le forme di Amaterasu e degli elementi. La dea mise in moto il suo modello e ne dedusse, traendo spunto dalla sue battaglie passate, che il guerriero avrebbe caricato frontalmente. In seguito, la Darian dell’araldo mutò di colore, virando sul bianco iridescente. Il suo avversario stava dunque per intrappolare tutta la luce di quel luogo, unire le lame in unico colpo frontale che sarebbe poi arrivato da una direzione non decifrabile alla vista. Non potendo prevedere a priori la traiettoria della lama e dovendo escludere la vista come forma dei informazioni per via della natura del colpo, la dea si sarebbe dovuta affidare ad altri sensi. Aveva già un piano.
Aprì le mani e inizio con movimenti circolari a intrecciare le sue dita, richiamando con quel gesto la Dumamis che si condensò in sottili scie cosmiche, un flusso di informazioni necessario al suo scopo. Quelle che inizialmente potevano apparire come pure linee di energia, fra i suoi palmi e le punte della dita si composero come forme geometriche sempre più complesse, scritte in un linguaggio sconosciuto al mondo, ma che non faceva altro che riportare le regole ultime della realtà. Con un colpo secco, portò le mani al petto e quei percorsi di luce si svolsero sul suo corpo, continuando a crescere e moltiplicarsi in arabeschi fiammeggianti che sottolineavano gli atri e le forme, come tatuaggi di luce animati di vita propria.
La preparazione era pronta, mentre il suo nemico caricava il colpo risucchiando tutta la luce del campo di battaglia. Da una prima comparazione, non poteva vincere l'avversario rivaleggiando in termini di mera forza cosmica. Il sole ardente era una fonte infinita di potere. La dea l'avrebbe battuto in astuzia e velocità. Chiuse gli occhi, si sarebbe affidata a tutti gli altri suoi sensi per elaborare le prossime mosse.
L’avversario avrebbe tentato di colmare la distanza fra loro prima di scagliare il colpo. Doveva capire dal suono che avrebbero prodotto i suoi muscoli se avrebbe caricato con il lato dominante o meno, e, percependo il rumore prodotto dalla Darian, dedurre quanto avrebbe inclinato gli atri, in maniera da prevedere la traiettoria del colpo. Una strategia molto risicata, anche perché tutto era affidato a un fattore tanto effimero come il suono dei passi.
Arrivò il primo passo. Il suono del suo respiro e il rumore prodotto dalla posizione del piedi e l’inclinazione delle altre parti del corpo tradivano approssimativamente la traiettoria, anche se c’era qualcosa che non la convinceva. Amaterasu disponeva di un potere cosmico immenso, quindi ogni suo colpo era potenzialmente letale, ma vi era una sorta di esitazione inconscia nei movimenti muscolari, una variazione del dosaggio della forza rispetto al modello di calcolo che tradiva un’intenzione altra. Solo un altro passo, e i suoi sospetti furono confermati.
Harlan era un’uomo di esperienza, e necessariamente sapeva che per sferrare un colpo efficace doveva colmare una distanza ben superiore a quei due passi. Elaborò queste ultime informazioni dedotte tramite il suo schema e, facendo affidamento anche sulla sua esperienza del campo di battaglia, intuì quello che sarebbe accaduto dopo.
Quella manovra era un diversivo, probabilmente l’intento avversario era accecarla e il fatto stesso di usare abilità legate alla luce lo confermava. Tuttavia, anche se adesso la dea aveva queste informazioni, il colpo dell’araldo non sarebbe stato meno letale. Inoltre, calcolando la distanza che ancora li separava, c’era un solo modo per il suo nemico di attaccare. Avrebbe probabilmente proiettato un colpo in avanti, e a giudicare dall’estensione dei suoi poteri, con una proiezione spirituale.
I suoi calcoli avvennero in un tempo infinitesimale per qualunque essere, tale era la natura della dea, un super computer organico creato all’epoca del mito, un tempo parte di G.E.A. stessa ed estensione dei suoi calcoli.
Il fine ultimo della sua serie di azioni avversarie le era ancora oscuro. Aveva bisogno di ulteriori informazioni. Le aree sicure calcolate incrociando le possibili traiettorie dei colpi, il diversivo e la sua proiezione, erano abbastanza delineate, ma con un margine di errore ancora troppo alto, per cui avrebbe aspettato l’ultimo momento prima di muoversi. La lama di luce stava per esplodere, e la dea aspettò l’ultimo attimo disponibile, quando le informazioni sarebbero state massimizzate prima di decidere come schivare. Solo quando finalmente Amaterasu decise di portare l’offensiva, la dea scartò agilmente di lato, evitando l’assalto spirituale.
Benché i due avessero la stessa velocità, la dea aveva provveduto ad avvantaggiarsi. In quel momento, i sigilli sul suo corpo risuonarono del suo potere e le informazioni incise in quelle spire interagirono con il corpo della dea, facendo viaggiare gli stimoli bio-elettrici del suo corpo a velocità impressionante, come se fossero su circuiti superveloci.
Questo permise alla dea di schivare il colpo dell’araldo, anche se non del tutto, poichè le informazioni raccolte sull’assalto principale erano ancora troppo parziali per potere calcolare una traiettoria del tutto sicura. La dea sentì scivolare il colpo fantasma sulla superficie delle sua anima, senza tuttavia riuscire a ghermirla. Una sensazione di gelo la percorse lungo la spina dorsale. Un colpo di striscio, non abbastanza da strapparle l’anima dal corpo, ma che bastava a saggiare l’intenzione del suo avversario.
Era riuscita ad evitare che al sua anima fosse presa da Amaterasu e portata nella sua dimensione spettrale, eppure un contatto ci fu. Una circostanza che decise di sfruttare a suo favore, implementandola nella sua strategia d’attacco.
Rapida la mente della dea creò l’illusione da dare in pasto all’avversario: una notte argentata intrisa di petali di ciliegio, un mare d’erba che ondeggia alla luce di una luna brillante nel cielo come la gemma Yasakani no Magatama. La dea creò questo mondo illusorio a partire dalle memorie di Harlan e Amaterasu ed anche dai dati che erano in suo possesso. Del resto Mnemosine aveva avvertito l’araldo; tutte le dimensioni che fanno parte del multi-universo, incluse quelle spettrali, vengono abbracciate dal Nexus. Il regno di Amaterasu non era altro che una marca di confine per lei.
Ma perché privare l’avversario della sensazione effimera di avere riportato una vittoria? La dea tentò di sfruttare il contattato fra le due anime, amplificandone possibilmente la sensazione fino a farla diventare quella di un colpo completo. Ecco l’illusione: Kusanagi si sarebbe abbattuta su di lei, l’avrebbe colpita, sarebbe caduta e i fiori di ciliegio avrebbero assunto al colorazione blu dell’Ichor.
Ma poi? Il vento si sarebbe placato, i petali sarebbero ricaduti, mentre la dea sarebbe apparsa dietro al guerriero, viva e vegeta, sussurrando soave nel suo orecchio
“Tutta qui la tua volontà di sottomettermi?”
Poi avrebbe estratto la sua ascia, il volto contratto in una smorfia brutale, e avrebbe iniziato a colpirlo, violentemente, senza tregua, tra le risate demoniache, e lo avrebbe impegnato e sfinito, e ancora colpito, con una raffica di colpi telecinetici, e avrebbe usato sigilli esplosivi. Senza pietà come una furia, dandogli pochissimo tempo di reagire.
“Come era? ..."
Ogni uomo imprime il proprio valore su se stesso… È la volontà che fa l’uomo grande o piccolo.
Tuttavia, questo era un mondo di avvenimenti illusori mentre la realtà sarebbe stata diversa. Quell’illusione sarebbe stata solo un diversivo, una cortina mentale che serviva alla dea per agire indisturbata e distrarre i sensi dell’avversario.
L’araldo di Gea aveva fatto un’imprudenza a proiettare così la sua anima. Aveva infatti lasciato il suo corpo e la sua mente in balia degli eventi nel mondo reale e la dea stava per approfittare di tutto questo.
La Dunamis di Mnemosine tentò di raggiungere la mente del suo nemico, facendo espandere il suo potere in maniera subdola. La dea avrebbe filato il suo stesso potere in un complesso rabesco mnemonico, intangibile e invisibile all’esterno perché applicato nella profondità della psiche di Harlan. Il suo subdolo potere si sarebbe attaccato alla mente del guerriero, privandolo delle memorie, indebolendone la mente e di conseguenza spirito, corpo e cosmo.
Alla fine dei conti, Amaterasu aveva un solo campo di battaglia favorevole, ma Mnemosine aveva tutto il creato a disposizione. Forse, era giunto il momento per Harlan di capire cosa fosse la sconfitta. -
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Edited by WandefullStar - 27/4/2022, 16:14 -
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PRELUDE
L' araldo del sud faceva fede alla sua nomea, molto diverso da quello del Nord…e dal signore del centro, che il reggente della corte di mezzanotte aveva citato. La dea li aveva incontrati, e aveva deliberatamente scelto di lasciarli seguire il loro cammino. Il piccolo lupo e il bambinetto dovevano prendere il loro posto nell'ordine delle cose.
Conosceva precisamente i loro trascorsi, e anche quali precise parole erano state dette da entrambi gli schieramenti, pur non essendo presente. Si erano davvero messi tutti di impegno per far sbottare Oceano, il benevolo Oceano, l’unico in grado di abbracciare tutti i dodici come un grande fiume cosmico. Fortunatamente, un titano non parla per un altro, e quello che era successo non inficiava minimamente i piani della dea della Memoria. Rendeva solo tutto più complicato per tutte e due le fazioni.
L’araldo del sud, rispetto agli altri, aveva una personalità molto peculiare. Un uomo forgiato dalla dea che guidava la sua mano, un guerriero fedele a se stesso e ai propri ideali, una spada tagliente affilata dal dolore e dalle battaglie. Questo gli faceva molto onore
“Purtroppo non posso che dispiacermi dell’ostinata miopia di voi araldi. Non poltriamo aspettando che il mondo vada in rovina, anzi. Noi abbiamo creato un qualcosa che serviva a farlo evolvere, ma coloro che sono venuti prima di noi hanno abusato della nostra creazione, piegandola ai propri voleri. Anche la madre lo ha fatto, per questo motivo tu, Harlan, stai parlando con me.”
Nonostante la madre aveva creato sia gli araldi che i titani, la differenza fra loro era abissale. Questi ultimi erano guidati da sentimenti e passioni, perché la madre aveva usato gli umani come soldati del suo esercito. Pure ripudiandoli, la madre aveva cercato di scalzarli usando la loro stessa creazione. Non era la prima volta che succedeva una cosa del genere. Mnemosine ricordava. Sapeva e non dimenticava, perchè non poteva dimenticare. Nessun dettaglio. Ma nonostante le circostanze, aveva i propri scopi da seguire. Non c'era spazio per altro.
“Ma non voglio discutere oltre di colpe e meriti. Per quanto mi riguarda, potete considerare me e tutta la mia stirpe come una macchia del creato da mondare. Non posso che compatirvi, non è nella vostra natura capire forze superiori a voi. Voi assolvete al compito che vi è dato dalla vostra natura, e per me questo è una condizione sufficiente per non considerarvi degli ostacoli al compito dettato dal mia di natura. Non ne faccio una questione di etica né di morale, anzi, considerato i precedenti, è già molto avere uno scambio di battute decente”
Eppure, per un breve tempo non era ella stessa stata umana? Poteva capire le ambizioni di quel guerriero? Odio, amore, superbia, determinazione, passione. Ogni volta che li metteva da parte per adempiere alla sua missione, un pezzo di quello che era stata la sua esistenza umana se ne andava, ma al tempo stesso si avvicinava all’essenza stessa dell’umanità. Il titano della memoria del resto è quello che più di tutti capisce le motivazioni che spingono un umano ad agire, essendo la custode della narrazione di tutte le vite umane. Meno si comportava da umana più riusciva a penetrare il segreto intimo dell’essenza umana.
Questo l’aiutò a capire l’uomo e il guerriero che aveva avanti. Sorrise, aveva preso una decisione. Fece esplodere la sua Dunamis, energia pura derivata dal dominio psichico della memoria stessa.
Per sua natura, non era né come cosmo né come altra energia. Ogni titano era un’aspetto della natura, così la sua manifestazione cosmica. Non era una corrente o una fiamma, ma puri filamenti di energia che cercavano di aggregarsi in schemi e diagrammi: la sorgente della conoscenza. Arabeschi, tracciati, simboli, si formavano in costante mutamento al manifestarsi del potere della dea. Le sua parole, erano antiche come il mondo stesso, più antiche della creazione.
“Giovane Araldo, non presumere di conoscere noi titani, come non presumere che l’impero di Amaterasu sia talmente esteso da potere sovrastare il mio. Il sole è solo una stella tra tante e gli elementi che comandi sono limitati a questa realtà mentre il dominio astrale di cui io sono essenza le abbraccia tutte. Come può un sasso comandare l’Oceano?”
Era bella in quel frangente Mnemosine, stupenda e terribile. Era la bellezza del mare in inverno agitato dai venti, il cielo della tempesta squarciato dai fulmini, il bagliore del magma che esplode dalle fondamenta della terra nella notte. Tale era la natura di un titano, non un simbolo di una natura altra, ma la potenza della creazione stessa. Eppure quella dimostrazione di potenza non voleva minacciare, né la sua voce alterata. Era semplicemente l’essenza della psiche che si versava nel mondo stesso.
“…Eppure la tua volontà sembra forgiata nel calore del sole stesso…chi sono io per oppormi? La potenza del Nexus si offre a chiunque la richieda per una giusta causa, e come tu non puoi parlare per i tuoi compagni, io non posso parlare per i miei fratelli. Tuttavia, devo riconoscere che hai scelto accuratamente il tuo interlocutore…farò quanto in mio potere per accontentare la tua richiesta, ma se dovessi cedere il passo, la corte di Mezzanotte servirà Akasha.” -
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Ciao ragazzi,
È risaputo che i miei tempi di postaggio non sono brevi, ma questa volta per amore di Lyga e Him annuncio che sono off per una settimana abbondante (in realtà già da qualche giorno sono off). Il motivo, come qualcuno sa e già mi ha cazziato, è che sabato mi sono sposato ♥️. Quindi mo sto in viaggio di nozze. Ci vediamo al rientro.
Baciuzzi
M -
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INTRO
Da molto tempo Mnemosine si era rinchiusa nella sua torre d’avorio. Aveva volutamente ignorato quello che succedeva nel mondo materiale, lasciandolo alla cura dei suoi fratelli e delle forze che al suo avevano il potere di combattere la minaccia della corruzione.
La sua mente, invece, si era ritirata nella sua dimora d’argento, Akasha dalla bianche mura, e osservava un mondo alieno ai più, mutabile come la risacca dell’oceano che ad ogni ondata cambia forma infrangendosi sulla battigia.
In quel luogo dalla notte eterna, entità dimenticate dimoravano in attesa di divorare il mondo. Nel mare oltre il Nexus, in un regno ormai ridotto al caos senza la sua guida, entità assopite da eoni bramavano di risvegliarsi e ancora oltre, stelle maligne correvano verso la realtà, minacciando di distruggerla. Era rimasta l’ultima sentinella della soglia oltre la realtà, ultimo baluardo di difesa da quegli orrori cosmici che vagavano senza spazio né tempo.
I due mondi dall’alto della biblioteca d’argento scorrevano in evoluzioni lente, circoli che si ricorrevano su se stessi. I suoi fratelli erano sorti, i suoi fratelli erano caduti, i suoi fratelli avevano fatto la loro parte; parte decisa milioni e milioni di anni fa, in intrecci occulti capaci di ingannare il destino stesso. Lei, come pochi altri, aveva questo dono.
Per la maggior parte degli esseri che non possono concepire il tempo a pieno, il passato è qualcosa di cristallizzato, impresso nelle memorie e percepibile solo attraverso la mente. Per la dea della Memoria, il passato era materia viva, fatta di nodi e sentieri d’oro e d’argento, che potevano generare interi mondi dalla vita effimera come il battito d'ali di una farfalla.
Il suo osservare il passato era la sua guardia, la sua maniera di prevedere e prevenire gli eventi che potevano portare a catastrofi future, e con quel potere era riuscita a tenere in piedi il mondo attuale nel quale viveva. Silenziosamente, osservando e macchinando nell’ombra.
Il pensiero di sfida di Ameratsu fu brezza di burrasca potata dalle sue bellicose intenzioni, e che si infranse lungo le alte mura di Akasha. Il suo canto di sfida faceva eco ad Achille, che sotto le mura di troia sfidò a duello Ettore. Ma se quel guerriero aveva una motivazione che sgorgava dal suo cuore furente, quella dello Shitennō del Sud era ben diversa. Nobile sfidare il nemico, ma se la ragione era futile non poteva sperare di piegare la volontà della dea. Per questo, l’esito dello scontro sarebbe stato molto diverso.
Tuttavia, al suo suono, la città d’argento animata dalla sola risacca del mare astrale parve riprendersi. Erano giunti a un nodo nella storia. Che il tempo scorra solo in avanti è un’opinabile opinione data in pasto ai più. Il tempo è simile a una corrente marina che quando arriva a un nodo, un punto focale nello scorrere dei destini, viene incanalata verso eventi futuri. È come un punto di incontro di molti precorsi, una convergenza nel flusso della storia, uno scoglio su cui si infrange il mare, qualcosa che gli umani si illudono di chiamare destino, ma che ha implicazioni più profonde sulla struttura stessa della realtà.
Da qui, l’atteggiamento della dea. Aveva a lungo confidato che, defilandosi dai guerrieri sacri a sua madre, le acque potessero calmarsi. Del resto, le servivano forze che badassero a contenere la corruzione, e quali migliori protettori se non i guardiani della realtà stessa. Ma alcuni scontri non possono essere rimandati in eterno, ma solo fin quando conviene. Pareva che la dea del passato non avesse più tempo.
Quindi, a mala voglia la sua mente scese da quel mondo etereo per ricalarsi nella materialità. Passò fra le sue stanze, fra gli occhi discreti delle sue figlie e ancelle, e si diresse avvolta dai suoi pensieri incontro ad Ameratsu, la dea che incarnava il concetto di creazione e distruzione, il punto di cerniera del circolo della vita.
Trovò l’araldo sul tetto del mondo, il monte Everest, una scelta di campo. Apparve a lui non in pompa magna accompagnata dalla suo corteggio o in sfavillanti veicoli, ma camminando nell’aria inquieta, vestita dall’armatura ancestrale che le aveva donato la madre, simbolo di potere e regalità.
I riflessi del sole si rincorrevano sulla superficie scura della sua Soma, animandola di bagliori di fuoco e d’oro, per poi spegnersi nel nero dell’ebano della materia antica della quale l'effigie era forgiata. Unico ornamento, una stola di candida pelliccia come la neve intorno a loro. La sua chioma fulva volteggia in volute, quasi come sospesa nell’aria, incorniciando il suo viso. I suoi occhi, specchi distanti di un mondo lontano, ingoiavano la luce solare in sfumature arancio e cremisi. La sua espressione, distante e antica, non faceva trasparire un singolo pensiero.
Finì il suo incedere a distanza dal reggente della corte di Mezzanotte, accompagnata dal suono del vento gelido d’alta quota. Lo osservò e lo trovò degno della sua fama. Uno spirito risoluto e affilato come una lama, che perfettamente rispecchiava il tono di sfida che era risuonato nel suo mondo. Per quanto la sua esistenza fosse una diretta conseguenza delle azioni dei Titani, non lesinò dal salutarlo come si deve a un essere del suo rango.
“Salute a te, Araldo. L’ardente cosmo del Sole ha illuminato l’eterna notte del mare astrale. Mi compiaccio che la terra abbia trovato dei custodi tanto zelanti nella sua salvaguardia, eppure mi sfugge il motivo di una tale sfida. Cosa spinge un eletto di mia Madre a combattere me, che sono la dea della Memoria, e che un tempo ero parte della madre stessa? La mia missione non è tanto diversa dalla tua, proteggere questo mondo da minacce e pericoli, seppure i miei occhi guardano oltre i confini della materia…Eppure tu mi sfidi. Sono curiosa di conoscere il motivo di questa follia direttamente dalle tue labbra”. -
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il principale nemico del diabete è stato trovato...
È LA BANANAAAAAAA
È LA BANANAAAAAA (cit.) -
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PLOT TWIST
Tramite una rift spazio temporale vi incontrate.