Inchiostro diVerso - Forum di scrittori e arte

Posts written by Miss Loryn

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    PERDERSI
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    PERDERSI

    Nulla aveva più senso, solo caos ed esaltazione. Mi muovevo al ritmo della musica tra buio e luci, la testa in fiamme e la voce concitata. L’intreccio dei colori mai uguale e la luminosità avevano esagerato perfino l’effetto della droga. Non avevo più il controllo dei sensi e quasi neanche il respiro, andava e veniva in spasmodiche risate tra la folla. M’importava solo di divertirmi, fare cazzate: la notte è così, è fatta per sentirsi vivi, senza regole o freni. La testa aveva iniziato a girare vorticosamente, troppo forte anche per me, lasciandomi in balia dell’onda umana che mi sballottava da una parte e dall’altra. Ero fatta, ero sbronza, ero folle.
    Stavo esagerando, così lui mi portò di fuori per farmi rifiatare, mentre io ridevo a crepapelle. La brezza fresca della notte mi entrava nelle narici facendomi pizzicare gola e narici, da troppo tempo esposte al fumo e all’aria viziata.
    «E smettila di ridere cazzo! Devo parlarti Irene, è importante.»
    Aveva bevuto e fumato più di me, eppure riusciva a stare in piedi, a tenermi stretta nell’angolo della strada impedendomi che mi lasciassi cadere sul marciapiede sporco.
    «Tu che vuoi fare un discorso serio, Michele? E lasciami, ce la faccio a stare in piedi anche da sola.»
    Appena provò a lasciarmi, fidandosi delle mie parole, andai giù con il sedere fino al ciglio del marciapiede. Avevo quasi sbattuto la testa sull’asfalto e continuavo a ridere come una pazza. Si era seduto anche lui, entrambi per terra con la schiena appoggiata al muro dove l’enorme murales di un pistolero sembrava volerci scaricare contro tutto il contenuto del suo tamburo.
    «Apri bene le orecchie, stronza. Irene, lo vuoi quel dannato chiodo?»
    Eccome se lo desideravo.
    «Che cazzo dici, non puoi permettertelo tu!»
    «E chi te lo dice che non posso.»
    Lo guardai dritto negli occhi, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di farmi felice. Per questo lo accettavo, mi faceva sentire fottutamente al sicuro.
    «Michele! Ho lo stomaco sottosopra, le mie budella stanno facendo a cazzotti.»
    «Vieni più vicino.»
    Strusciai addosso a lui, mi mise la mano sulla fronte; chinai la testa in avanti spingendo sul suo palmo: un violento conato di vomito, poi rovesciai giù un bel po’ dei miei succhi gastrici.
    «Sto meglio adesso.»
    L’odore dell’acido nella gola era qualcosa che avevo sempre mal sopportato.
    «Sei una droga per me, Irene. Vuoi sciacquarti la bocca alla fontanella?»
    Scossi il capo.
    «Non serve.»
    «Ce la fai a stare in moto?»
    Era un’autentica follia, come poteva chiedermelo?
    «Certo, per chi mi hai presa. Dove si va?»
    «Lo vedrai.»
    Chiuse la fibbia del giubbotto. Lo stemma con il teschio e i pistoni incrociati sulla schiena erano per me un’immagine ipnotica. Tutto era possibile osservando la sua schiena larga. Iniziavo a stare meglio, mi sentivo leggera e confusa.
    Il suo sorriso non la raccontava giusta, desideravo sapere cosa gli passava per la testa.
    Il rosso fiammante della sua moto mi accendeva il desiderio; la mano con il polsino nero che dava gas sul manubrio, la potenza del motore. Adoravo andare in moto, ne avevamo comprata una anche per me e lui mi aveva già dato alcune lezioni.
    «Ti amo deficiente.»
    Ci fermammo dietro l’angolo di una strada anonima.
    «Che ci facciamo qui?»
    «Non toglierti il casco, monta davanti e tieni acceso il motore; io torno subito.»
    «Perché?»
    «Lo vuoi il chiodo?»
    Sentivo che qualcosa non andava. Lo seguii con lo sguardo. Lasciai scivolare la moto oltre l’angolo della strada, l’insegna luminosa di un noto negozio d’abbigliamento mi abbagliò. Dalle ampie vetrine si vedeva un po’ all’interno.
    «Ma che cazzo ha in mente quello scemo?»
    Il cuore iniziò a pompare sangue, più dell’effetto della droga di qualche ora fa. Sudavo freddo, avevo capito. Alzai la visiera del casco per vedere meglio, non mi sbagliavo. Il teschio dietro la schiena di Michele si agitava in quella che sembrava una breve colluttazione, poi lo vidi uscire di corsa e correre verso di me.
    Era salito al volo dietro di me.
    «Irene brava, dai gas!!! Corri.»
    Lanciai la moto sulla strada. Piegai all’interno di una via stretta, era una strada chiusa.
    Tolsi il casco scura in volto. Stringeva in mano un coltello a serramanico, lo stesso con cui faceva spesso lo spaccone.
    «Ma che cazzo hai fatto?»
    La voce strozzata in gola, non volevo crederci.
    «Quella stronza di una guardia notturna ha opposto resistenza e sono stato costretto.»
    Anche la sua voce adesso era concitata, gesticolava frettolosamente.
    «Non cercare giustificazioni, diamine l’hai ucciso?»
    «Cazzo non lo so, è successo all’improvviso; l’ho colpito e poi sono fuggito via. Fammi guidare, se restiamo ancora qui rischiamo di farci trovare. Non vuoi finirei nei guai, vero?»
    Non poteva essere vero.
    «Sono furiosa Michele, possibile che sei così vuoto? Come che m’importa!?»
    Cercò di baciarmi, ma mi scansai. Ne avevamo fatte tante di stupidaggini, io stessa ero la prima a calarmi pasticche, ma avevo sempre saputo distinguere il confine tra il farsi un po’ del male e coinvolgere gli altri. Mordevo nervosamente il piercing sul labbro con la voglia di piangere; era come se il mondo mi fosse crollato improvvisamente addosso. Mi sentivo responsabile di qualcosa che non avevo fatto.
    «Torniamo là, ho intenzione di vedere cosa è successo. Non voglio che la mia vita sia rovinata, ho una coscienza.»
    «Ma sei scema?»
    Come faceva a non capire?
    Gli diedi le spalle, sentivo venire via le forze. Ogni cosa intorno a me sembrava diversa rispetto a prima; era come se all’improvviso mi fossi svegliata dentro un incubo. Ero furiosa e arrabbiata, ma soprattutto delusa da lui.
    «Irene, dai non litighiamo! La prossima volta andrà meglio.»
    Lo fulminai con gli occhi, avevo un gran voglia di prenderlo per i capelli e sbatterlo al muro.
    «La prossima volta? Tu non ti rendi conto di quello che dici, sei fuori di te.»
    «Porca puttana Irene; ma che posso farci se ti amo troppo?»
    Constatai che non c’era niente da fare. I suoi occhi mi avevano fatto cadere le braccia, sembrava più un bambino capriccioso che un delinquente; non aveva neanche più senso arrabbiarsi con lui.
    «Io devo andare via, lo capisci Irene? Non sono incensurato come te, se mi trovano un’altra volta sono cazzi!»
    Con un cenno del mento gli diedi la mia approvazione, non era un codardo anche se si dava alla fuga. In fondo anch’io lo amavo, aveva soltanto bisogno di sentirsi protetto per non sprofondare nel suo baratro, e poi riorganizzare le sue idee a mente fredda.
    «Vieni anche tu.»
    Lo conoscevo bene, sapevo che stava soffrendo anche se non l’avrebbe mai ammesso. Fu dura dare la mia risposta.
    «No, ti copro io se serve; sono o non sono la tua ragazza?»
    Non sapevo se per lui era la scelta più giusta, magari avrei dovuto restargli accanto e continuare a proteggerlo facendogli sentire il mio calore e la mia comprensione. Ma ero egoista, volevo soltanto liberarmi del senso di colpa e l’unico modo era accertarmi che non ci fosse scappato il morto.
    Ero stata forte e convincente, non gli avevo fatto trapelare il mio senso di angoscia.
    Era già schizzato via quando il suono di una sirena spezzò il silenzio di una notte divenuta troppo piccola per contenere le nostre anime.
    Mi accesi una sigaretta per calmare l’ansia, a passi veloci iniziai a tornare verso il luogo incriminato. L’adrenalina che avevo addosso e la nicotina portavano un effetto tonificante: non avevo più sonno, avevo già recuperato le consuete attitudini. L’ambulanza era sul posto, ed anche due volanti con i lampeggianti accesi. Un uomo in divisa armeggiava con la sua radiolina.
    «Maschio, italiano, 1 metro e 80 circa, aveva un giubbotto di pelle nero con il tatuaggio di un teschio sulle spalle.»
    La descrizione inchiodava Michele. Provai un tuffo al cuore, profondo, come quando ti svegli all’improvviso con l’orrenda sensazione di cadere nel vuoto. Mi feci coraggio e lentamente ad avvicinarmi; davanti alla porta a vetri del negozio una ragazza all’incirca della mia età con il grembiule dello Store stava piangendo.
    «E’ fuggito a bordo di una moto, modello sportivo; setacciate la zona, non dovrebbe essere lontano.»
    Mi aggiravo come un fantasma tenendomi a debita distanza finché dalla porta a vetri uscì la barella con un giovane sdraiato.
    «Signorina? Signorina per cortesia! Circolare, circolare. Cosa ci fa qui a quest’ora da sola?»
    «Io?»
    Lo sguardo del poliziotto che mi veniva incontro mi mise in soggezione.
    «Io non ho fatto niente.»
    Sussurrai stringendo le spalle.
    Mi sentivo piccola davanti a lui, e criminale al tempo stesso. Il mascara colato sulle guance mi conferiva un aspetto spettrale, sarei anche potuta morire. Il poliziotto mi aveva spinto via, ebbi all’improvviso un impeto di orgoglio, quasi uno scatto di nervi che tuttavia riuscii a mascherare bene dietro il mio sorriso bugiardo.
    «Mamma sta poco bene, cercavo una farmacia aperta per le sue medicine.»
    Era l’unica scusa che la mente mi aveva suggerito. Lo sguardo torvo del poliziotto si sciolse in una smorfia generosa.
    Intanto i medici con la barella caricavano il ferito sull’ambulanza. Lo avevo visto il suo volto sofferente, era ancora vivo.
    L’ambulanza schizzò via a sirene spiegate, per me non c’era più niente da guardare.
    Chissà se Michele stava bene. Avevo preso il cellulare decisa a chiamare quando la radiolina dei poliziotti portò la notizia che temevo. L’avevano già preso.
    Scappai via in lacrime.
    Mi trovarono che era già mattina: vagavo imprudente per le strade della città con l’intenzione di tornare a casa a piedi.
    Non ce l’avevo fatta, alla fine ero crollata.

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    Benvenuto!!!
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    Benvenuto.
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    Anche io ho scelto il racconto di j.dark. Molto carino, ben scritto e con una morale fantastica.
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    Questo racconto insegna che l'improvvisazione e il coraggio di osare pagano sempre!
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    Un mestolo al pari di una magica spada, il cibo l'arma per la resistenza.
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    Un po' troppo maschilista per i miei gusti, caro. Però strappa una risata.
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    Molto bello, ma lo avrei fatto continuare!
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    Penultimo turno del contest! ^^

    Io ho pubblicato.
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    Dangel981 è il primo a pubblicare. ^^
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    :witch:
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    Rompo il ghiaccio. ;)

    La Schiacciata fiorentina
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    La Schiacciata fiorentina

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    Mia nonna, originaria di quelle parti, la preparava spesso. Era una vera maestra nell’arte. Così ho imparato anche io, dalla migliore. Sarà che mi piace troppo giocherellare, trastullarmi con le mani, lavorare per bene.
    Poiché si tratta di una caratteristica ricetta del periodo di Carnevale, tutto è lecito e permesso. Ed io non ho regole o freni, scateno la fantasia. Mi dicono che so cucinare meglio i dolci che gli uomini. L’importante è ragionare con la propria testa e saper scegliere gli ingredienti giusti, specialmente il contenuto.
    Perché proprio la schiacciata fiorentina? Ovviamente perché mi piace schiacciare, usare molto le mani, per bene. Torturare l’impasto ai propri fini per ottenere lo scopo desiderato.
    S’inizia sempre da qui, vero?

    - 12 cucchiai di farina (circa 200 gr)
    - 8-10 cucchiai di zucchero (circa 150-160 gr)
    - 8 cucchiai di latte (circa 60 gr)
    - 6 cucchiai di olio (circa 30 gr)
    - 2 uova
    - succo e scorza di un’arancia
    - lievito vanigliato
    - 1 bustina di vaniglina
    - zucchero a velo
    - cacao zuccherato

    No, no, così non va affatto bene! Questa sembra piuttosto la dannata lista della spesa, asettica e senza lussuria. Perché preparare un dolce deve essere una libidine, il piacere e la sensualità devono scivolarci addosso con il fremito d’un gemito. Meglio qualcuno in serie.
    Quando preparo dolci sono spesso nuda, l’unico velo che tollero è quello dello zucchero. Mi piace l’odore dolciastro sul corpo, un po’ ovunque. Mi sporco per bene le mani, succhio col dito il preparato quando è ancora freddo.
    Inizio col mettere per bene in una ciotola le uova con lo zucchero, poi s’inizia a sbattere, la mia parte preferita. Un ritmo che mi ricorda proprio quello del sesso, prima più adagio, poi sempre più rapidamente. Mi eccita. Aggiungo la farina, il latte, l’olio, il succo e la buccia grattata dell’arancia, poi la vaniglina e da ultimo il lievito. Così sono certa che verrà bene e lui cadrà ai miei piedi.
    Lavorare bene è il segreto per ottenere un impasto morbido e fluido. Strano vero? Ho detto morbido, non duro. Deve essere rigorosamente morbido per la perfezione. Ed io sono maniacale in questo.
    Finalmente arriva il momento più atteso, l’imburrata! Imburrare e infarinare una teglia rigorosamente rettangolare di circa 20*26 cm. Certo, qui le misure che contano sono due. Verso l’impasto della schiacciata alla fiorentina nella teglia. Sono io che verso, leggete bene. Lo faccio lentamente, lo so fare bene.
    Finalmente si cuoce. In forno a 130° per circa 30 minuti, o comunque fino a che non assume un colore arancio dorato. Alla classica prova dello stecchino la nostra schiacciata non deve mai risultare asciutta o asettica. Quando è raffreddata la si può sformare su un vassoio o un piatto da portata.
    Manca ancora qualcosa? Spolverizzare di zucchero a velo, ve lo avevo anticipato all’inizio.
    Mia nonna, abile come poche, ci apponeva anche la decorazione del giglio con il cacao zuccherato. La cosa più buona che sia mai stata inventata, se l’ospite gradisce il giglio s’intende. Buona, ma non bisogna abusarne oppure verrà il mal di pancia.

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    La vacanza nel Sud Est Asiatico.
3194 replies since 29/10/2007
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