Posts written by Nathan Parker King

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    Panco & Pinco, Tom & Jerry, Stanlio & Onlio, Batman & Robin e poi c'erano loro: Nathan & Cameron. Anche ad un semplice sguardo superficiale bisognava comprendere come ci fosse qualcosa di magico in quello strano duo e non per forza dell'erba miracolosa o un pizzico di noce moscata, che di questi tempi sembrava esser tornata alla ribalta. Aspettava con ansia il ritorno della salvia e del rosmarino, ma questa era un'altra storia. Dopo un risveglio brusco, un arrivo assonnato frammentato da un panino imbottito recuperato al volo e dall'amico che sembrava volesse andarsele a cercare le difficoltà, visto che senza alcuna ombra di dubbio aveva scelto l'acqua come loro elemento per quella giornata, King si limitava a sopravvivere prima di iniziare davvero a far carburare l'unico neurone sano che possedeva. Neurone che sballottolò nell'acqua che occupava il suo cranio a causa del brusco movimento dell'altro elemento che aveva trasformato il duo in un trio. «Elegante, sarai elegante, ma un sistema di frenata controllata no? Anche uno di virata magari», si massaggiò lo sterno che era andato a sbattere contro la spalla dell'amico. Non sembravano essersi allontanati troppo, continuavano a sostare nella zona porto con giusto un pizzico di fondali che aveva rivelato loro bruciature e distruzione. Insomma, nulla di interessante ai suoi occhi, a differenza di quel galleggiante davvero interessante. «Ehi, ma è Sambuco quello! Dovremmo prenderlo, senza prestito!» Ma in realtà il suo buon cuore mentre l'amico recuperava il manufatto lo portò ad eseguire rapidamente con la bacchetta un semicerchio in senso orario toccando poi con la punta la boa. «Gemino!». Non solo la capacità di studiarlo velocemente fu cercata con l'incanto di duplicazione materiale, ma anche di lasciarlo momentaneamente al posto di quello afferrato da Cohen. «Su, in fretta, andiamo, il Ponente ci aspetta», disse ridendo apertamente a cavalcione dell'automa, stringendo con le cosce quelle dell'amico per non farsi prendere in fallo dai nuovi cambiamenti di virata dell'oggetto made in Sorrah.
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    Azione 1: gemino sulla boa che ha preso Cameron, la copia la mette al posto dell'originale
    PP: Tecnica, 13
    Incantesimo: Nome: Incantesimo di Duplicazione Materiale.
    Classe: Trasfigurazione
    Formula: Gemino
    Movimento: eseguire velocemente con la bacchetta un semicerchio in senso orario, poi toccare l'oggetto da duplicare, muovere il catalizzatore verso di sé, lentamente ed infine fare una stoccata verso una posizione libera.
    Effetto: Dopo aver toccato l'oggetto il vertice della bacchetta si illumina d'argento, luce che poi si riverserà nella posizione indicata dalla stoccata e lì andrà a comporre il duplicato dell'oggetto toccato in precedenza.
    In sintesi, prima si estraggono le informazioni riguardanti l'oggetto da duplicare e poi lo si duplica tramite il macro-gruppo dell'evocazione.
    Note: Date le informazioni estratte con questo incanto, si otterrà un bonus di +2, per tutta la role, nel trasfigurare od evocare l'oggetto bersaglio. Se sul bersaglio è stato già effettuato un Detector, Gemino non darà alcun bonus.

    Oggetti:
    1. Felpa con cappuccio:
    Felpa trasfigurata da Nathan che non è svanita col tempo e che per influsso di Elisa si è fuso con la sua corda, che ora costituisce inquietantemente il laccio che tende il cappuccio.
    Chi la indossa difficilmente risente delle temperature esterne, visto che fornisce -1 danni da fuoco e ghiaccio.
    2. Pendente in zaffiro dei Mari: quando indossato -1 ai danni subiti, +1 Tecnica
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    Un trillo. Poi un altro. Il dormitorio si era trasformato in una serie di trilli di messaggini inconfondibili. Nathan grugnì, tirandosi il cuscino sulla faccia per attutire i suoni molesti. Era sabato, pieno inverno, ed i suoi compagni non avevano ancora imparato a mettere la funzione silenzioso ai loro dannatissimi magifonini. Lui, a scanso di equivoci, aveva impostato sulla sola vibrazione prima ancora di togliere la pellicola protettiva allo schermo: odiava i suoni molesti e poi messaggiare doveva essere un'arte segreta non alla portata di tutti. Pensava di essere al sicuro, di tornare a sognare di conigli saltellanti dopo aver fumato pipe lunghe il triplo del loro corpo, quando una vibrazione proprio sotto l'orecchio non lo fece imprecare. «Ma chi cazzo è che rompe i coglioni a quest'ora?» Ecco, se solo Maverick avesse avuto il dono dell'udito fine -o semplicemente avesse hackerato il suo dispositivo magitecnico- l'avrebbe affatturato. Non ai livelli masochistici di Olwen ma poco ci mancava. «Ma non l'avevo lasciata ai M.A.G.O.?» Nonostante fossero a febbraio aveva ancora difficoltà a districarsi con le materie che aveva scelto oltre alle canoniche e diverse erano state pure le assenze per la sua sbadataggine vestita di menefreghismo. O forse era il contrario. Ad ogni modo al richiamo del professore si vide buttare le gambe oltre il bordo del materasso e dire “ciao, ciao” con la manina ai coniglietti fumati. Arrivò sbadigliando, con la bacchetta infilata nella manica della sua felpa magica -preferiva dimenticarsi perché fosse tale- perfetta per ogni tipo di temperatura, con ancora il segno del cuscino sulla guancia sinistra e i capelli schiacciati tutti da un lato. In mano il resto di un panino imbottito che aveva trafugato al volo al banchetto della colazione. «Ma c'è stata un'altra guerra? Chi è il vincitore?» Chiese a mezza bozza, masticando poi lentamente un boccone strappato con la forza degli incisivi. Si avvicinò a Cameron, curioso più degli animali che aiutavano i loro padroni che per quello che diceva il professore. «Eh?» Si volse a guardare l'amico ritrovato con fare confuso. Poi si volse verso Morrigan che sembrava circondato da robot mastodontici. COME AVEVA FATTO A NON VEDERLI? Si infilò quello che restava della colazione in bocca e poi annuì in direzione del Dioptase. Cercò di rimettere insieme le varie informazioni, fino a quel biglietto che l'altro gli mise sotto il naso. «Oddio, sembra quando usavamo i primi magifonini. Ricordi? Quelli con i numeri che dovevi digitare più volte per far comparire la lettera giusta», disse, provando a richiamare alla memoria la disposizione e sequenza di numeri e lettere salvo poi ottenere una sequela di lettere che nulla poteva aiutare a decifrare il messaggio, anzi, lo complicava. «Sei tu il genio tra noi due», ripassò il pezzo di carta all'amico che stava trafficando con il suo magifonino. Sembrò avere successo anche se forse non proprio quello che sperava lo studente del quarto anno. «Oh, calma, ci sono io, non ti lascio mica soffocare» -aggiunse un occhiolino da demente solo per risollevare l'umore- «vestis», aggiunse, trasfigurando gli abiti in una muta sperando rinforzata grazie al potere della felpa. «Non ti vado più bene come bestione?» scherzò vedendolo già con l'automa del mar del Baltico pronto a portarli alla ricerca di quello dei Caraibi e mettendosi a paragone con lui visto che piccolino non era un aggettivo che lo identificava. «Su amico, aiutaci a cercare quello che stiamo cercando».
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    Va con Cameron Cohen quindi non si chiede neanche perché vadano a cercare proprio quello dei Caraibi.
    Fondamentalmente non fa nulla se non disagiare.

    Azione 1: vestis. In combo col potere della felpa specialona.

    Oggetti:
    1. Felpa con cappuccio:
    Felpa trasfigurata da Nathan che non è svanita col tempo e che per influsso di Elisa si è fuso con la sua corda, che ora costituisce inquietantemente il laccio che tende il cappuccio.
    Chi la indossa difficilmente risente delle temperature esterne, visto che fornisce -1 danni da fuoco e ghiaccio.
    2. Pendente in zaffiro dei Mari: quando indossato -1 ai danni subiti, +1 Tecnica
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    Il feed di instagram, con attivo il filtro per i contenuti magici, era pieno zeppo di foto, video e balletti di chi si era preparato o era già nel vivo dello Yule Ball. Scorgendo lustrini, sete e tulle Nathan sentì per un attimo la mancanza degli States e di quelle feste -festini, a voler essere puntigliosi- dove l'alcol non era proibito come in quelle mura. Possibile che nessuno avesse pensato di correggere il ponch degli studenti? Mpfh, avrebbe potuto coinvolgere un paio di studenti, magari suoi ex compagni di scuola più fidati, metter su una colletta e procurarsi un paio di casse. O, perché no, quelle mini bottigline che di solito trovavi sull'aereo o nei mercatini più impensabili da smistare con strette di mano o scivolamenti in borsette opportunamente lasciate aperte. Stava delirando troppo. Fece per mettere via il cellulare e fare il suo ingresso solitario quando la tendina di un messaggio appena arrivato non occupò la parte superiore dello schermo. Jessico Calcetto Jess BO le aveva scritto.
    CITAZIONE
    Se vuoi riavere indietro il tuo amico devi salire sul tavolo e dire a tutti i presenti che tuo figlio è di Olwen

    Non riusciva a credere di aver pensato sul serio che il suo Responsabile fosse il papà del piccolo della corvina -un po' ancora lo pensava- finendo col passare gran parte del primo anno in punizione col runista per averlo aggredito in merito dopo una lezione con lui.
    CITAZIONE
    Scherzo, sono qui fuori, sto per entrare. Riservami un ballo, splendore.

    Il rumore di passi affrettati gli fece distogliere l'attenzione dal magifonino, bloccandolo e riponendolo in tasca come un automa mentre lo sguardo carezzava i pochi metri di seta verde che cingevano il corpo di Amelia Farley. Semplice, elegante, ipnotica. Deglutì. Un paio di volte, la gola asciutta ed il cuore che batteva all'impazzata. Amelia ne avrebbe sempre avuto un antro come dimora, qualsiasi cosa sarebbe successa tra loro da quel momento in poi. Il fatto che l'avesse cercato lei, andando a sporcarsi le sue preziose e costosissime scarpine nella riserva pur di parlargli avevano ridato spinta ad una relazione che aveva definito morente. Era lui che si era ostinato di soffiare sulle braci affinché venisse prodotta qualche scintilla a volare ad intaccare i ceppi asciutti e per niente avvolti dalle fiamme. Poi era arrivata lei, con un accendino, e aveva acceso un piccolo fuocherello che, a turno, cercavano di alimentare. Molto più lei, a voler essere sinceri. Le puntò il catalizzatore contro, indicando con la punta la stola pellicciosa che occultava le sue spalle, effettuando il classico movimento che accompagnava la formula. «Evanesco». Gli occhi a scivolare dal viso, passando per la gola, fino alle spalline sottili dell'abito. «Se mai dovessi avere freddo farò in modo di rendertelo», non si era accorto di esserle avvicinato, le dita a sfiorare l'avambraccio nudo in una morbida carezza. «L'importante è esser consapevoli di trovarsi poi i piedi a panzerotto per tutti i pestoni che ti darò». Dunque le offrì il braccio, invitandola a superare insieme quegli oscuri battenti, lanciando forse un messaggio o forse no. Il sorriso imbronciato, lo sguardo a cercare visi familiari e la mano libera a sventolare spasmodica quando riconosceva qualcuno. Notò qualche assenza, come quella di una delle rosse che aveva baciato per via di un gioco, così come la presenza di Evans, l'altra ragazza cui aveva fatto fare il casqué e persino quei piccioncini di Benjamin e Giada. Troppa magia nell'aria. Avrebbe infettato anche lui?
    Per ultima notò la Whitemore intenta a ballare un lento con un suo compagno di dormitorio. «Può dire tutto quello che vuole, ma gli Ametrin sono i migliori di tutti», un pensiero ad accompagnare la sua dama al centro della pista dicendosi pronto a seguire la melodia del lento. La mano sulla bassa schiena di lei, l'altra rimasta intrecciata ma molto più vicina ai loro corpi che tornarono a scontrarsi. Non era una bachata, una salsa o una rumba, ma un lento di quelli dove bastava stringersi e dondolare un po'. «Ti ho mentito», le sussurrò all'orecchio superando l'intreccio complicato della sua pettinatura. Poi senza darle alcun tipo di preavviso, esercitò una serie di pressioni e comandi al suo corpo che la portarono ad allontanarsi da lui, uniti solo dalle mani legate. Mani che la tirarono di nuovo a sé, compiendo dei giri fino a ritrovarsi di nuovo fronte contro fronte. «I tuoi piedi, con me, sono al sicuro» e no, non era uno di quei feticisti. Anzi, ne provava una forma strana di repulsione, meno li vedeva meglio si sentiva. Che fosse per quello che avesse imparato come prima cosa a non lasciare pestoni? «Quanti inviti hai rifiutato?» Perché era comunque un dannatissimo masochista, ma voleva sapere se aveva rifiutato perché aspettava solo il suo invito o se l'avesse sottratta a qualcun altro. O se, semplicemente, nessuno aveva azzardato a gestire davvero una ghiacciolina come lei.
    Nathan Parker
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    Risponde a Jessico. Interagisce principalmente con Amelia Farley.
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    Quando Em inviò una foto del vestito che aveva scelto per lei si domandò se quando diede il suo consiglio di moda fosse fatto di qualche erbetta magica di quel tizio strano di Denrise che la spacciava come tè. Per carità la Lewis era sempre bellissima ma quel vestito stravolgeva l'immagine che aveva di lei e non le donava come aveva pensato.

    Vedi di non spezzare troppi cuori stasera, il mio non reggerebbe.

    Digitò in fretta infilando poi il magifonino nella tasca del vestito blu notte che aveva scelto tra quelli che aveva perché in un taglio molto più sportivo e che gli permetteva di indossarlo senza cravatta. Non per nulla era ancora impegnato ad abbottonare i polsini della camicia bianco ghiaccio, lasciando gli ultimi due della fila principale aperti sul principio del suo petto. Ai piedi un paio di scarpe bianche sportive ma prive di ulteriori dettagli. Si passò una mano tra i capelli, cercando di ammorbidire il ciuffo che non sembrava volersi modellare senza l'uso di gel o lacche, che aborriva, preferendo lasciarli al naturale. La bacchetta fu l'ultima cosa che prese, i regali li avrebbe consegnati in un altro momento, magari proprio la notte di Natale, prima di dirigersi verso l'ingresso della Sala Grande.
    Non aveva una dama da attendere o da ripescare, sebbene il suo rapporto con la Farley fosse attaccato ad un filo non se l'era sentito di invitarla al ballo, forse perché non voleva sentire i vari paletti che la sua migliore amica gli avrebbe lanciato alle spalle una volta scoperto che avesse ripreso a vederla. A vederla, non a starci insieme. Una precisazione da vero idiota visto che, nonostante provasse ad essere indifferente, nonostante un paio di baci con alcune delle sue consorelle, continuava ad avere un debole per Amelia.
    Lo dimostrò il fatto che non le inviò nessun messaggio ma attese, con le spalle al muro e le gambe incrociate, il suo arrivo fingendo di mandare messaggi mentre in realtà con la coda dell'occhio monitorava la scalinata principale da cui avrebbe dovuto far la sua apparizione. «Solo cinque minuti, se non verrà entro» si disse, inviando un ultimo messaggio alla follettina che aveva molti centimetri di pelle esposta in più di quello che aveva previsto.

    Qualsiasi cosa accadrà questa sera ne parleremo domani, alla luce del sole.
    Ti voglio bene
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    Manda un paio di messaggi ad Emma Lewis, aspetta Amelia Farley vicino all'ingresso della Sala Grande.
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    L'immagine del Nathan strafottente stava ormai vacillando, tanto che dopo averla accusata di non averlo mai compreso, né dato il giusto peso a ciò che più volte aveva espresso tramite gesti, sguardi e baci, abbozzando qualcosa anche a parole, era scappato a portare al sicuro Bert ma anche per recuperare un attimo la calma. Aveva scrollato le spalle, oscillato le braccia, reindossato la maschera senza neanche controllare che fosse ancora intera.
    La trovò ad aspettarlo e lui non poté evitare di avvicinarsi e continuare il filo conduttore dei pensieri che dalla mente portavano alla bocca, rivelandoli senza neanche curarsi di ferirla o di esporsi davvero così tanto, usando termini importanti ma con tempi verbali che non sapeva fossero giusti o meno. Passato o presente poco cambiava, in fin dei conti, dato che a stravolgere tutto sarebbe stato il futuro. Un futuro ignoto, un futuro prossimo che portò la Farley a usare una “parolaccia“. Doveva essere sconvolta per decidere di usare quelle parole, per le guance colorate e gli occhi lucidi. Per una volta la vide davvero vulnerabile. Non indietreggiò, non oscillò nemmeno e non la fermò quando lo colpì in pieno petto, seppur non facendogli davvero del male. Erano nello stesso stato d'animo rabbioso, rancoroso, ma se lui era famoso per essere un libro aperto vedere l'umanità che si celava dietro quella coltre di ghiaccio lo annientò. Lo annientò al pari di quelle cose che non gli aveva mai detto, che aveva provato a fargli capire con il suo essere meno gelida e caustica rispetto agli altri. Arrivarono le lacrime e trattenersi per allungare una mano a spazzarle via fu davvero difficile, ma si appellò a quelle settimane di silenzio e d'indifferenza. Continuò a farlo persino quando metteva sul piatto d'argento la sua incapacità nel reagire a lui, allo spazio che aveva occupato dentro di lei, a quello che le provocava. Se solo avesse chiesto, se solo lei non fosse così rigida. Si sbilanciò, arrivando a cingerle i fianchi con un braccio per non rovinarle addosso, mentre lei si artigliava alla sua maglia come se stesse per crollare e impalarlo in un colpo solo.
    La verità dei fatti fu che lo fece lui stesso, lasciandosi cadere su una spada immaginaria infilzata nel terreno, perché all'ammissione di lei di essersi innamorata di lui sin dal primo istante non riuscì a trovare altra soluzione che baciarla. Con rabbia, dolore, denti e morsi. Ne tornava a rivendicare il possesso, ne rivelava quanto danno gli avesse fatto, di come aveva finito con il trasformare un galletto come lui in una persona fedele. La baciò, rubandole anche il più piccolo dei respiri, dei sospiri; una mano tra collo e mento, le dita intrappolate dai suoi lunghi capelli bianchi mentre la costringeva a seguirlo fino a mettersi sulle punte.
    L'irruenza del bacio finì, la fronte posata su quella di lei a riprendere il fiato che entrambi avevano perso. «Sono arrivato ad odiarti, Ame». Naso contro naso, occhi nei suoi e le mani che non lasciavano la presa su di lei, ma anzi l'avvicinarono ancora di più. «Non so se riusciremo a tornare quelli di prima», ammise, «tutto quello che posso offrirti, ora, è vedere cosa succederà, nessuna certezza». Le sollevò il mento, con delicatezza, affinché lo guardasse con quei suoi occhi cristallini in cui finalmente riusciva a vedere molte più sfumature. «Ti sta bene?» Le chiedeva tanto: nessuna certezza che sarebbero tornati insieme, nessun Nathan a rispondere presente ad ogni suo capriccio, ma soprattutto tentare di avere una piena fiducia in lui, di buttarsi in qualcosa su cui non avrebbe avuto il controllo. Era impensabile, quasi, per la Farley che aveva imparato a conoscere negli anni e, in qualche modo, gli avrebbe dato il peso reale delle parole che l'altra gli aveva vomitato addosso, cariche di rabbia.
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    Amelia era stata un pensiero fisso di Nathan per mesi, anni, sin da quando si erano incontrati sulla Galera al loro primo anno. Se all'inizio aveva pensato solo ad intrufolarsi anche nelle sue mutandine, col passare del tempo si era scoperto davvero interessato a lei, a desiderare di sorprenderla e di vedere quel suo raro sorriso spuntarle sul viso e sapere che era stato merito suo. L'aveva rispettata, mai tradita e amata sempre, anche quando erano stati lontani. Non una ragazza aveva più sfiorato il suo corpo -ad eccezione di Emma, ma lei era come una sorella per lui e quindi non rientrava nell'equazione nonostante i discorsi notturni alle Florida Keys- non un bacio e neanche uno sguardo di troppo. Il Parker dell'Ilvermorny avrebbe deriso e preso a calci il King di Hiddenstone e a lungo non gli era importato. Era andato imperterrito avanti per quella strada fino a quel momento in cui era sbucata nella radura. Ora si dava dell'idiota, perché magari avrebbe fatto meglio a divertirsi anche lui, a lasciarsi andare, a tornare sulla carreggiata del fregarsene e farsi qualsiasi cosa respirasse. Gli aculei di Bert si conficcarono nuovamente nel suo palmo: aveva arrestato le sue carezze. Se lo meritava. Come era convinto di non meritarsi quella replica alle mancate risposte ai suoi segnali di fumo. «Sì, Amelia, sarebbe bastato solo quello» rimarcò, guardandola con disprezzo quando lei stessa si servì del suo nomignolo per i ragazzi del campo estivo che la seguivano come una regina. Aveva avuto anche lui quello sguardo perso ed adorante che vi aveva scorto? Lo aveva anche ora o stava riuscendo a mantenersi freddo e distaccato come desiderava? E poi perché lo stava cercando? Cosa voleva da lui in quel momento, il caro vecchio suddito sembrava essersi ribellato. Si rimise in piedi, portandosi nella risalita Bert ed incamminandosi verso i laboratori per riportarlo al caldo. «L'hai fatto, mi hai rivisto, direi che non serve altro», le dava le spalle, non sapeva neanche se lo stesse seguendo fino a lì. «Scusa?» Voltò dapprima il capo, poi il corpo ruotò di conseguenza fino a trovarsela di fronte. «Quando, esattamente?» Gli occhi ora mandavano dardi di fuoco verso quel ghiaccio, alla ricerca di crepe per riuscire ad appiccare un incendio. «Se pensi davvero che mi sia divertito vuol dire che non hai capito proprio nulla di me e dei miei sentimenti». La lasciò, entrando velocemente nella struttura, lasciare un Bert recalcitrante nella sua gabbietta e riuscendo dopo un breve saluto ai presenti. Non sapeva se l'avrebbe trovata ancora lì, ad aspettarlo, ma se così fosse stato si sarebbe concesso il lusso di avvicinarsi, fino a stordirsi con il suo profumo e guardarla dritto negli occhi nonostante l'enorme differenza di altezza che li divideva. «Temevo di non essere abbastanza per te, abbastanza bravo, intelligente, carino... accettabile per i tuoi standard», scosse il capo non riuscendo a porre un freno, forse perché non voleva davvero metterlo. «Credo che non ti sia mai interessato davvero di me, dei miei sentimenti», la mano corse sul suo braccio avvolgendolo con le dita ma senza stringere troppo. «Perché io ti amavo, Farley, ma credo che per te non sia stato lo stesso».
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    Edited by Nathan Parker King - 30/11/2022, 19:49
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    Sembrava così lontano il giorno in cui, a zonzo con i suoi amici che dagli States erano venuti a trovarlo nel vecchio continente, vide il riflesso dell'argentea in una vetrina con un abito che la innalzava a divinità. Chissà se la chiesa abbandonata in cui l'aveva portata continuava ad ospitare ragazzi in cerca di fantasmi o nel tentativo di far colpo sulla loro conquista. Tra loro aveva avuto inizio lì la loro storia, anche se si erano scoperti il primo giorno sulla galera che li aveva portati a Denrise. Anche quella era infestata da fantasmi. Forse quello era un'avvisaglia sul tipo di legame che avrebbero avuto poi? La sensazione di vuoto che gli aveva provocato l'indifferenza di Amelia poteva essere paragonata a quella di un arto fantasma, qualcosa che credevi ancora di possedere ma che in realtà non c'era più.
    Immagine dura ma forse più vicina a descrivere quello che aveva provato negli ultimi mesi. A nulla erano valsi i tentativi di Emma di riportarlo a galla in un oceano illuminato dalle stelle che non avevano saputo rispondere -prontamente- alle sue richieste.
    Ma in qualche modo Cassiopea, Andromeda e l'Orsa Maggiore avevano lavorato per portare Amelia Farley a pochi passi da lui. In caso di maledizioni istantanee avrebbe fatto meglio a rivolgersi a qualche pantheon, magari quello norreno visti i legami che avevano con quell'isola.
    All'ombra di Sherlock Holmo, che quel giorno non ospitava curiosoni tra le sue fronde, Nathan accolse in maniera diversa il tentativo di dialogo che l'altra stava tentando di fare. Un vero e proprio rovesciamento delle parti.
    «Le cose semplici mi annoiano». La prima stoccata, forse più auto inferta, venne effettuata. Era proprio perché annoiato che in passato era saltato da un letto ad un bagno per trovare un po' di brio; era quella mancanza di semplicità nella nobile strega ad averlo attirato nella sua trappola.
    «Ah sì?» Un finto stupore fu quello che riuscì a mettere in scena, tastandosi con la mano libera le tasche fino a trovare ciò che cercava: un pacchetto di sigarette. Ne tirò una, afferrandola direttamente con le labbra. «Che strano, sono sempre stato facilmente raggiungibile», il rumore di una rotellina che azionava la fiamma del suo accendino fu l'unico rumore per diverso tempo. Un tiro e lasciò andare il fumo verso l'alto ed in vento contrario rispetto all'animale che continuava a starsene rannicchiato sul suo basso ventre, con un respiro più lento adesso. Sapeva che sarebbero bastati altri cinque minuti per sentirlo russare piano. «Pensa un po', per scoprirlo ti sarebbe bastato rispondere ad una chiamata o un messaggio» chiarì, non senza una vena di sarcasmo, la stessa che gli aveva invidiato quando aveva qualche dissapore con altri studenti. «Ma forse ti prendeva la linea solo per postare foto con i tuoi nuovi pinguini», un altro tiro rabbioso, trattenne più a lungo il fumo prima di liberarlo nell'aria. La testa si reclinò per osservarla al meglio, un sorriso strafottente sulle labbra strette.
    «Comunque, brava, mi hai trovato». Stava giocando sul filo del rasoio, ne era perfettamente consapevole, ma non le avrebbe reso le cose facili. Non era più il Nathan servizievole che aveva messo da parte qualsiasi cosa ogni volta che lo chiamava. Questo non significa che non gli costò nulla, perché per quanto volesse la Dioptase non gli era indifferente seppur avesse cercato di evitarla. Lasciò cadere la sua provocazione nel vuoto, così come non avanzò la proposta di raggiungerlo e sedersi accanto a lui e Bert, semplicemente si ritrovò a porgerle una domanda.
    «Cosa ti serve?»
    Nathan Parker
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    L'estate non era scivolata via come quella dell'anno prima. In tutta realtà se quella piattola della sua migliore amica non si fosse presentata alle Florida Keys e trascinarlo in ogni singola attività proposta dal villaggio vacanze, probabilmente l'avrebbe trascorsa solo a base di marshmellow arrostiti in qualche falò, tanti tentativi di prendere l'onda perfetta dall'altra parte degli States e nulla più. Non era più l'anima della festa.
    Quanto all'inizio del triennio, semplicemente stava facendo la macchietta in tutto tranne che nelle lezioni che lo interessavano davvero, impegnandosi in attività extra curriculari per non pensare. Per non pensare a lei. Come il solito maschio etero medio, ovvero un cretino, aveva rivisto Amelia in Sala Grande ma aveva deciso di non avvicinarsi, di non fare un passetto in più, manifestare la gioia della sua presenza come un cucciolo di cane.
    Decise di giocare al suo stesso gioco: l'attesa.
    Era estenuante fingere di non vederla, infilarsi in pertugi nei corridoi per non farsi vedere e non andare dritto da lei, prenderla per le spalle, scuoterla e poi soffocarla in un abbraccio. Non sapeva come comportarsi perché non si era mai trovato a dover fronteggiare una situazione del genere. Difficile risultava raccapezzarsi in un mondo fatto di sottigliezze e sentimenti, ci aveva provato ed aveva fallito.
    Forse avrebbe dovuto insistere un po' di più, forse non avrebbe dovuto crearsi un profilo fake per vedere ciò he pubblicava sui social dopo averla bloccata. -È stato già detto che un bambinone?- Alla fine, però, sembrava che la sua strategia avesse funzionato, tardi, ma l'aveva condotta da lui.
    A onor del vero credeva di esser stato bravissimo nel fermarsi in un posto in cui lei non avrebbe mai messo piede, almeno non volontariamente. Vederla così vicina, senza nessuno con cui confondersi o qualcosa di più di un olmo in cui nascondersi, fu un colpo, dritto in pieno petto. Bellissima, come sempre. Fredda, come sempre. Altezzosa, come sempre, constatò a quella domanda buttata così, come se lo stesse deridendo. «Buffo che sia tu a chiederlo», aveva arrestato le coccole a Bert, che non prese molto bene la cosa e lo morse al dito. «Ahia!» Scrollò la mano, studiando poi se ci fossero tracce di sangue. Non ce n'erano. Riprese a giocherellare coi polpastrelli sulla parte morbida dell'animale. «Come mai da queste parti?» Tornò a squadrarla coi suoi grandi occhi nocciola, cercando di mantenersi freddo e distaccato, proprio come lei le aveva insegnato.
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    Il triennio era iniziato con una piega un po' diversa. Caricato a molla dal nuovo percorso dedicato alla cura trascorreva buona parte del proprio tempo libero alla riserva delle creature magiche, in particolar modo nella zona riservata alle case di cura. Quella settimana la rotazione che effettuava tra La Casa dell'Acqua e della Terra lo voleva nel cuore della radura a prestare aiuto con alcuni animali che si erano feriti e persi in quella parte dell'isola. In particolare di un piccolo riccio che a causa della zampetta anteriore destra rotta non era riuscito a raggiungere in tempo la sua tana, per il suo meritato letargo. Era così spaventato all'inizio che non faceva che pungere ogni singola persona che provava ad avvicinarsi. Parker, con il bene placito della docente di Magia Verde, iniziò a tentare ogni sorta di escamotage per potergli applicare unguenti e bendaggi che avrebbero velocizzato la guarigione. Il primo era stato con il cibo: aveva provato con la qualità più pregiata di millepiedi essiccati, poi a freschi scarafaggi catturati da lui stesso dopo che quelli nel barattolo erano stati elegantemente rifiutati con un paio di buchetti sul suo avambraccio. Non demorse, giorno dopo giorno tornava a trovarlo e a farlo abituare al suo odore, alla sua voce che canticchiava canzoni abbastanza sconce e cibo freschissimo. Arrivò persino a trasportarlo con lui all'interno di una piccola gabbietta allo Sherlock Holmo, arrampicandosi sui rami fragili al solo scopo di fargli provare il brivido dell'altezza. Scoprì troppo tardi che non vi andava troppo d'accordo: aveva dovuto buttare via una delle camicie della divisa per il misto di insetti che non erano ancora stati processati dal piccolo stomaco. L'aveva soprannominato Bert, il suo amico Bert che ora se ne stava finalmente con una zampetta steccata e la pancia all'aria per ricevere i suoi grattini. «Ti ho abituato troppo bene, caro mio», sorrise l'ametrino, posando la testa contro il tronco dell'olmo -ormai vi si sedeva solo alle sue radici, la lezione l'aveva imparata- e gustandosi i raggi di un sole autunnale stranamente caldo.
    Nathan Parker
    King

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    The biggest misunderstanding about me is that I'm just a bratty, gobby idiot.
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    Ametrin
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    Con Emma Nathan si sentiva libero di esprimere ogni suo lato, anche quello che non pensava di avere come l'istinto di protezione. La sua mascotte, sorellina, e tanti altri diminutivi con cui era solita chiamarla, quindi proprio non capiva il perché di quella sua espressione stralunata ai difetti che aveva elencato di Jones o al perché avrebbe fatto meglio a tenersi distante o, per lo meno, a stare attenta al suo Thomas. Non conosceva il soggetto in questione ma la risma dei penedotati sì. Avrebbe voluto prenderla per quelle sue spalle esili e scuoterla fino a farle ritrovare la ragione ma si trattenne. Ovvio che l'avesse fatta sentire una principessa se quello significava l'accesso alle sue mutandine! Insomma, era l'A-B-C delle tecniche d'approccio. Avrebbe potuto distruggerle anche quel ricordo e proprio per quello preferì tacere per virare il discorso su quello che lo feriva ancora: l'allontanamento di Amelia. Sebbene non avesse più rapporti comunicativi con lei il ragazzo le era rimasto fedele, di fatto aspettandola, aspettando un evento che sembrava sempre più lontano dal verificarsi. E sentirsi dire che non si meritava chi non era capace di star con lui, un po' crollò. Perché aveva creduto che la sua ghiacciolina incarnasse la perfezione, dopotutto era stata la prima e sospettava ultima persona a farlo crollare in quel modo.
    Solo che non aveva pensato ad Emma. Non in quella veste.
    In realtà non ci stava pensando neanche in quel momento: il suo scopo era tirarle un tiro mancino, uno scherzo per farle capire però che lui era meglio di Lucas, Thomas e qualsiasi altro sbarbatello messi insieme. La vicinanza insopportabile, il tocco strategico, la voce roca e sensuale erano tutti stratagemmi e la Lewis sembrava esserci cascata con tutte le scarpe. «Penso che tu sia più che abbastanza per me», sebbene stesse scherzando con il corpo le sue parole erano serie. Ci credeva davvero nella superiorità di lei, che fosse troppo per lui, soprattutto per il Nathan che aveva conosciuto agli inizi di Hidenstone. «E no, non ti lascerei mai andare, te l'ho detto che gli altri sono stati dei folli a farlo». Quel gioco, quella vicinanza però rischiava di ritorcersi loro contro. Per una volta King ragionò con l'unico neurone che gli era rimasto e permise alla ragazza di allontanarsi da lui, solo dopo un bacio che lasciò sulla sua fronte. «Andiamo, farfallina, c'è un letto che ci aspetta». Il guadagnare riva, l'incamminarsi nuovamente verso la casa di quell'estate avevano dato il peso di quanto potesse tenerci alla consorella, da non voler rovinare quello che avevano per nulla al mondo. Una parabatai. Le allungò un telo mare. «Prima di fregarmi l'ennesima maglietta» le spiegò, mentre ne usava uno più piccolo per togliere l'umidità lasciata dall'acqua salata e dalla sabbia. Gambe e piedi erano un disastro, ma non aveva la forza di andare a sciacquarsi. «Se ti freghi tutto il letto ti spedisco a dormire fuori sull'amaca». Amica avvisata mezza salvata.
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    Avrebbe voluto dirle che quella faccia era nulla in confronto a quelle che aveva fatto in direzione del confratello, ma preferì tacere e gongolare alla rassicurazione della biondina. «Vorrei ben vedere», gongolò, arruffando piume immaginarie. Si chiamava pur King per un motivo, no?! Purtroppo per lui, però, Emma sembrava non voler mollare l'osso -leggasi Lucas- continuando ad insistere sul perché di tanta acrimonia verso il moro. «Oh, da dove vuoi che inizi?» Non gli aveva fatto nulla, personalmente, per quello che sapeva, ma ciò non significava che non avesse creato problemi a qualcuno che voleva bene. «Sembrava più una tua stampella che un fidanzato. Così in ansia che era un no praticamente a tutto», sembrava fosse il solo a ricordarsi il momento in cui Emma non credeva in se stessa, tanto da avere paura della sua stessa ombra. Non che le cose siano diametralmente opposte ora ma un netto miglioramento c'era stato. «E poi non mi sopporta neanche lui», mise il broncio come il migliore dei bambini, sbuffando nel sentire la sua affermazione successiva. «Sbagliato», si agitò facendo increspare l'acqua.
    «Sba»
    «glia»
    «to».
    L'indice paragonabile ai tergicristalli di un auto babbana. «Semplicemente per la mia migliore amica desidero il meglio e non smidollati o tipi che non sanno tenerselo nei pantaloni!» Che l'auror con cui era stata rientrasse nell'ultima categoria era poco ma sicuro. Rientrava in quella categoria in cui anche lui aveva militato, fino a quando una ghiacciolina non l'aveva fottuto alla grande.
    «Sai perfettamente qual è il suo nome», tutto il calore era sparito dalla sua voce, lo sguardo a volgere ovunque tranne che sulla sua amica. «Già, sparita, così e», prese un respiro, continuando a tenerla stretta a sé, «mi chiedo solo se valga la pena aspettarla ancora». Ormai erano mesi che non sapeva più nulla di lei, di dove fosse e come stesse. Non una risposta ad un messaggio, gufo o chiamata. Nulla di nulla. L'aveva lasciato senza avere neanche il coraggio di dirglielo.
    Se la sua mente vagava alla Dioptase, quella dell'Ametrina era tutta diretta a tutt'altro tipo di pensiero. «Eh?!» Fu la prima reazione istintiva. «Io e te?» Sembrava avesse appena avuto una botta in testa così forte da stordirlo, ma la studentessa sembrò quasi fare marcia indietro. «Mi stai davvero dando picche prima che possa provarci con te, Lewis?»
    Decise di vendicarsi. Se si fosse allontanata l'avrebbe ripresa per il polso e, delicatamente, l'avrebbe riavvicinata a lui, una mano a salire lungo il suo collo per scostare i capelli e fermarli dietro l'orecchio. «Proprio sicura?» Il tono di voce basso, roco, lo sguardo agganciato al suo mentre si avvicinava a lei, alla sua guancia, a quell'orecchio. «Non è che vorresti ripensarci?» Le mani salde sui fianchi, al di sotto di quella maglietta che gli aveva rubato, che sollevò per impartire l'ordine di allacciare le gambe attorno ai suoi. «Sai» si allontanò con deliberata lentezza per ritrovarsi vicini, a distanza di bacio, «noi due insieme, non sarebbe male come idea». Un bluff o forse no. Non restava altro che scoprirlo.
    Nathan Parker
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    Suggestione o meno,serial killer o meno, peperonata -oh, esiste una pizza ananas e prosciutto, vuoi vedere che non esiste una alla peperonata?!- o meno, Nathan Paker King accompagnò Emma Lewis al bagno da buon cavaliera qual era. E che cavaliere! Nessuna mano sul sedere, nessuna sbirciatina sotto la sua maglia che le aveva fregato per usarla come pigiama. Insomma, oltre ad una strusciata non tattica non c'era stato nulla. E che dire del suo essere cavalier servente, in ginocchio da lei per farla salire sulle spalle e poi buttarla nell'oceano?
    Il mood della paura e del sospetto avevano lasciato spazio a quello del relax e delle domande profonde che ogni tanto si sottoponeva. Sebbene poste in maniera saggia Nathan voleva sapere solo una cosa: per uno che si professa innamorato di una persona dopo quanto può riprendere a battere chiodo?
    C'era da dire che però lui fino. quelle vacanze alle Florida Falks non aveva più pensato al sesso, ma... le vacanze stavano finendo e quella rischiava di essere l'estate più triste sin dalla notte dei tempi.
    E chi, meglio della sua migliore amica che aveva amato uno stronzo, avrebbe potuto darle una risposta? Come due lontre nell'oceano, Nathan teneva vicino a sé Emma che però sembrò non voler assumere la sua stessa posizione. Forse perché voleva vedere meglio la sua smorfia di disgusto al sentirle dire di aver amato Jones. Ed una ola parte da lui, che torna a muovere le gambe per rimanere a galla, quando ripete che è stata lei a lasciarlo. Lo credeva quasi impossibile. Eppure si era liberata da qualcuno che le faceva solo del male, a suo modo di vedere. «Spero non amici come noi due, eh, se no mi offendo!» Ma il sorriso si spense al suono del suo nome per intero, in un tono che raramente aveva sentito da lei. Annuì all'accenno di Berlino, ben comprendendo dove il suo racconto stesse andando a parare. «Non c'è neanche bisogno di chiedermi se ti credo. Ovvio che sì!» La riprese bonariamente, circondandola con le braccia e stringendosela di più al petto. Probabilmente avrebbe sentito anche nascere la sua risata profonda prima ancora di sgorgare. «Forse dovrei costruirgli una statua, a questo Thomas, visto che ti ha fatto lasciarle Lucas». Le posò il mento sulla testa, continuando a cingerla e a lavorare per far rimanere entrambi a galla. «Però di una cosa mi spiace: è stato uno stupido, questo Thomas, a non cercarti più, dopo». Perché per lui era incomprensibile lasciare una come Emma dopo che aveva donato un momento così importante per lei. Perché se aveva bisogno di inzuppare il suo cazzo di biscottino avrebbe fatto meglio a cercare un'altra tazza. «No, ci ho ripensato. La statua la voglio solo per me». Per lui, il re dei migliori amici.
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    Nathan era uno di quelli che prima agiva e poi ci pensava.
    Secondo voi, uno come lui, avrebbe mai potuto pensare che la sua migliore amica si potesse imbarazzare o sentire incomoda ad essere posata sulla sua erezione mattutina? Che risposte, ovvio che no! Soprattutto se il suo risveglio era stato brusco ma anche un po' provvidenziale a causa del soggetto del suo sogno. Del suo incubo.
    Ma Emma Lewis, che arrossiva e lui non poteva vederlo -al più avrebbe potuto percepirlo se le avesse toccato il viso- si mosse fino a trovare una posizione più congeniale strappandogli comunque un gemito. Dannazione, era un ragazzino nel pieno della sua fase eccitativa(?) e che non andava a letto con qualcuno da mesi, cosa ci si poteva aspettare?
    Il tempo delle scuse non arrivò visto che, in barba ad eventuali intrusi, iniziarono una lotta di solletico perché in due non facevano un cervello. No, okay, Emma era più sveglia di lui ma sembrava perdere i suoi pochi neuroni sani quando era con lui.
    Lui che comunque riprese la situazione in mano -no, non quella che pensate voi- sollevando la puffetta fino a condurla verso il bagno esterno al loro bungalow. Sballottando un po', giusto per fare scena e farla ridere nella remota ipotesi che lui la lasciasse cadere togliendo le mani che si trovavano sotto le sue cosce, giunsero a destinazione dove King l'adagiò a terra, chiamò un lumos e perlustrò il bagno alla ricerca di eventuali intrusi. «Em, non mi ricordo neanche cosa ho mangiato per cena, vuoi che mi ricordi di come abbia lasciato la finestra?» Chiese, aprendo ogni singola anta ci fosse alla ricerca di eventuali mostri, facendo un po' scena. Come c'era da aspettarsi, non trovò nulla di interessante, tranne quella finestra che chiuse. Probabilmente l'aveva aperto lui stesso dopo la sua ultima visita.
    «Via libera, fifona» comunicò ridendo, chiudendosi poi la porta dietro ed appoggiandosi ad essa mentre scrutava l'oscurità illuminata debolmente dal suo lumos. Non vedeva nulla di preoccupante, così spense quel puntino luminoso e incrociò le braccia fino a quando non avrebbe udito un lieve bussare alla porta, segno che Emma fosse pronta a rientrare.
    «Cavalluccio o manina?» la prese in giro, accovacciandosi comunque perché, conoscendola, sapeva che avrebbe optato per la prima opzione. «Se mi prometti di non scalciare o russare ti concedo di dormire con me» annunciò, anche se ormai il sonno per lui era passato. «Oppure...» lasciò in sospeso, prendendo a correre non in direzione della sua stanza, bensì verso l'oceano in cui si buttò con la biondina ancora sulle sue spalle. Tutto quello che avrebbero potuto vedere, ora, era grazie al riflesso della luna piena di quell'acqua stranamente calda per essere quasi l'alba.
    Una volta riemerso sul pelo dell'acqua, mettendosi davanti a lei, iniziò a sollevare schizzi d'acqua col solo scopo di infastidirla.

    Ora era come una stella marina, che si lasciava cullare dal moto delle onde, legato ad Emma solo dalle loro mani intrecciate. No, non erano due stelle marine, ma due lontre. Avete visto quanto sono carine? «Dopo che è finita con Lucas, per quanto tempo ti sei sentita persa?» Era la prima volta che accennava al suo ex, ma anche la prima a voler parlare di Amelia. Le mancava, ma non sapeva cosa fare. L'avrebbe cercata? L'avrebbe rivista? Sarebbero tornati insieme o tra loro era tutto finito? Era convinto che lui non si sarebbe più fatto fregare da una ragazza, dai sentimenti e dal suo cuore. L'aveva fatto una volta e gli era bastato. C'era però da dire che non era tornato alla sua vecchia vita, come se il suo volare di fiore in fiore avesse stancato persino lui. «Dopo quanto ti sei avvicinata ad un altro ragazzo?» Prese una pausa, chiudendo gli occhi. «L'hai cercato o è capitato per caso?» Ora era lui ad arrossire, perché con Emma avevano sempre parlato di empowerment e non di relazioni se non la loro amicizia e quella che li legava alla loro famiglia. Non avevano mai parlato di Amelia, se non per tranquillizzarla del fatto che non l'avrebbe mai messa in secondo piano, perché lei era la sua migliore amica e sarebbe venuta sempre prima di tutto. Eppure, qualche volta, l'aveva lasciata indietro, troppo preso dalla Dioptase.
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    Correva. Era sul limitare di una foresta, ma più correva verso la radura più questa si allontanava. I muscoli gli dolevano, il respiro era così corto che le formule degli incantesimi erano spezzate così come i movimenti rigidi della bacchetta. Sapeva che doveva fare in fretta, che lei lo stava aspettando nella radura in cui erano finiti in una calda serata londinese. Sentiva i suoi lamenti, come se qualcuno le stesse facendo del male, il rumore dei rami secchi che si spezzavano sotto i suoi piedi. E poi un colpo. Ne seguì un'altro ed una manciata di altri più piccoli, ma ravvicinati. Il fastidio era ancora più reale della foresta in cui era. A quello si aggiunse il suo nome, abbreviato, poi una supplica. La voce era femminile ma non era la sua.
    Sgranò gli occhi ed invece del cielo scuro punteggiato dalle cime degli alberi Parker vide solo buio, immaginando però di trovarvi le travi a vista che producevano ombre allungate dal chiarore che sapeva venire dalla porta finestra lasciata aperta.
    Era nel suo letto nel bungalow che anche quell'anno i suoi genitori avevano affittato per l'estate e al suo fianco c'era Emma che lo scuoteva.
    Un sogno. Un incubo. Lo stesso che lo perseguitava da un po' di tempo. Non ne aveva fatto parola con la sua migliore amica perché non voleva affrontare la questione ad esso legato. Non voleva parlare di lei. Non poteva. Si stiracchiò, sperando che non l'avesse svegliata con le sue urla, incurante di essere solo con i boxer. Dopotutto non cambiava poi tanto visto che passavano quasi ventiquattro ore su ventiquattro in costume. «Che succede?» La voce roca, impasta dal sonno, la mano a passare sul viso per riscuotersi un po'. «Vuoi che ti tenga la manina, Lewis?» Scherzò, prima di sentirle dire di aver udito dei rumori sinistri. Non riusciva a vedere il suo viso ma chiaro fu il suo movimento che dal suo fianco, su quel microscopico letto singolo, la fece sedere su di lui, in particolare su una zona particolarmente presente nel momento del risveglio. «Em-» si interruppe, il corpo che iniziò a contorcersi per il solletico che l'altra finì con lo scatenare su di lui. «Guerra?» Erano due idioti, perché invece di partire subito in quarta alla ricerca di chi avesse prodotto suoni che avevano spaventato la bionda, si erano lanciati in una lotta all'ultimo solletico. Le braccia cinsero il corpo esile della sua consorella, i muscoli dell'addome vennero chiamati agli straordinari così come quelli della schiena per sollevare entrambi dal letto, permettendo di fatto alla ragazzina di cingergli i fianchi con le gambe.
    Una mano si staccò da lei per passare in rassegna, a tentoni, il comodino fino a trovare la bacchetta. «Non dovevi andare in bagno?» La prese in giro, iniziando a pensare che fosse tutto uno scherzo e che l'avesse svegliato appositamente perché magari aveva avuto un brutto incubo. In caso di equivoci le avrebbe pizzicato il fianco, giusto per divertirsi un po', pronto a sollevarsi dal letto con lei in braccio per scortarla verso il luogo designato al minimo cenno di assenso dell'Ametrina.
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    Non passare la prova di divinazione ai M.A.G.O. aveva gettato Parker nel totale sconforto per una serie di motivi: de Prèe era un pasticcino contro cui era impossibile pensare qualche ritorsione, oltre al fatto che gli serviva almeno un'accettabile per poter accedere al corso di cura dei viventi, il vero motivo per cui aveva deciso di ripetere due anni pur di frequentarlo e divenire magiveterinario.
    Per cui quando ricevette la missiva da parte del titolare della cattedra aveva iniziato a saltellare per la stanza, gettando pugni in aria un po' a casaccio, finendo il tutto con qualche movimento di bacino che poteva ricordare -molto lontanamente- il twerking.
    L'euforia lo accompagnò fino all'ora dell'appuntamento che gli aveva dato nell'ufficio personale, poco prima di varcare l'arco -adornato da una tenda in seta dalla fantasia orientaleggiante- che dava sulla sala d'aspetto. Non c'era nessuno oltre lui, così avanzò ancora fino ad arrivare alla porta effettiva del suo studio. Un paio di tocchi di nocca leggeri sulla porta prima di abbassare la maniglia a seguito di un eventuale invito ad entrare. «Salve, professor de Prèe!» Il docente avrebbe potuto riscontrare un luccichio gioioso nello sguardo, oltre ad un profondo senso di gratitudine che lo rivestiva come una seconda pelle. «Non so come ringraziarla per la possibilità che mi ha dato», annunciò, sedendosi dall'altro lato della barricata e sporgendosi verso il vate. «Mi dica cosa devo fare». Piegò il collo a destra e sinistra, aprendo bene le orecchie per la richiesta, per il compito da portare a termine. E che missione! Avrebbe chiesto di raccontargli qualcosa di più, magari un ricordo divertente -visto che si trovava ad "empatizzare" più con quelli per la sua anima da giullare- e perché no, mostrargli una foto per permettergli di visualizzarlo al meglio nel piano astrale e trovarlo e identificarlo nella realtà.
    Un paio di biscotti e un'intera tazza di tè dopo, Nathan si premurò di lavorare con le pietroline site all'interno di un bicchierino.
    Il bostoniano avrebbe dapprima svuotato la mente, allontanando i suoi pensieri più profondi e personali fino a cercar di far propri gli eventi eventualmente narrati dal docente. Si sarebbe immedesimato, creando un legame con l'uomo o perlomeno provandoci, prima di spargere le pietre sulla superficie dura della scrivania, il suo piano di lavoro per la sua prova M.A.G.O.
    Le falangi, lunghe ed un po' ossute, si sarebbero aperte a raggiera su di esse, calando il velo sui suoi occhi per concentrarsi sul richiamo di quell'antico cucchiaino così tanto caro al professore. No, a lui. Ne visualizzò il peso, l'intricato disegno inciso ed affinato, i graffi dati dall'usura e dal decorso naturale del tempo. Un cimelio di famiglia. Sprofondò, mentre l'energia più pura sembrava risvegliarsi, ripercorrere il suo corpo e giungere proprio sul solco tra le sopracciglia e poi qualche centimetro più su, volgendone poi il flusso continuo verso le sue mani aperte sul mezzo che avrebbe dovuto aiutarlo a ritrovare l'oggetto. Riaprì gli occhi convinto di percepire delle vibrazioni dalle sfere irregolari, con l'immagine che andava sovrapponendosi ad una struttura in pietra, seguita poi da uno zampillio ed infine un foro. Niente abbellimenti né ghirigori, solo nuda pietra ed acqua e sul fondo il bagliore argenteo del manico del cucchiaino.
    Tornato alla realtà il giovane avrebbe puntato lo sguardo sul biondo, cercando di mascherare un lampo di vittoria. «Penso di sapere dove si trova» e così dicendo si alzò di scatto, un breve inchino prima di buttarsi a capofitto verso gli esterni di Hidenstone. Sebbene non corresse il suo passo era così veloce da sembrare di star fluttuando per i corridoi, fino ai giardini. Avrebbe dovuto ringraziare la Beatrix per conoscere così bene quel posto e precisamente quella fontana. Le fontane emotive erano quattro, una per ogni emozione per l'appunto, ma Nathan si diresse con sicurezza verso quella posta a nord-ovest per il mero fatto che nella visione aveva visto il suo viso rappresentato in una maschera di puro terrore. La sua fontana era quella della paura. Sperava solo di non doverla bere.
    Ne ebbe la prova una volta arrivato lì davanti, sporgendosi oltre il bordo e rimirando i suoi muscoli tesi, la bocca atterrita ed il colorito pallido. Rimase incantato per qualche minuto davanti a quella immagine, prima di ricordarsi il motivo per cui fosse giunto fin lì, battere velocemente le palpebre per riacquistare la vista e scandagliare il fondo. Un paio di risvolti delle maniche della camicia e le mani si tuffarono per favorire anche il senso del tatto nel ritrovamento dell'oggetto. E lo trovò, nascosto sotto il bordo, il profilo duro, solido e poi una piccola cascata d'acqua che lo accompagnò quando lo riportò alla luce. Un piccolo check, per accertarsi che l'immagine che aveva visto fosse la stessa di quello che aveva davanti, ed il ragazzino tornò a rotta di collo verso lo studio, la cravatta a sbatacchiare qua e là e il cucchiaino stretto nella destra.
    Con l'affanno, il capello sconvolto e un pizzico di panico nella voce King avanzò, porgendo l'oggetto ad Andrè. «La prego, mi dica che è questo!»
    Nathan Parker
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