Posts written by JamesR

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    Le sue parole sembravano aver colpito nel segno, almeno per una parte dei presenti. Non avrebbe probabilmente mai saputo se a fare più effetto fosse stato il suo aspetto o le sue parole, tuttavia molti dei nobili risposero nel modo sperato alla sfuriata di James. Solo i nobili del Nord avevano declinato, nonostante fossero pronti a combattere in prima persona. Da una parte ammirava quegli individui: sebbene non avessero dato disponibilità dei loro uomini, di fronte alla battaglia non si stavano ritirando. Erano disposti a combattere i fanatici insieme al Roote, ma i loro uomini non erano disponibili. Perché? Cosa li spingeva a trattenere tutte le loro forze? Ci doveva per forza essere una motivazione più grande di quella fornita, se perfino di fronte al corpo martoriato di una loro Lady la risposta rimaneva la stessa. Ma perché mantenere gli uomini al sicuro, mentre tutto intorno si lottava?

    - Ebbene… - disse James rimanendo immobile di fronte a quei cavalieri, ma osservandoli negli occhi - Se questa è la vostra decisione, lasciate i vostri uomini e scendete voi in battaglia con me… Provate che bastate voi soli per sostituire centinaia di soldati, ed il vostro rifiuto verrà perdonato, almeno da me. Ma siate certi: se il vostro supporto non sarà utile, pagherete le conseguenze delle vostre scelte. Di fronte a Caleb, di fronte al Re. E di fronte a me. -

    Non aveva senso insistere, quegli uomini forse non avrebbero ceduto e non avrebbero fatto scendere in battaglia i soldati del Nord. In più James era davvero stanco di parlare, tutto ciò che voleva fare era combattere. Discutere con quei signorotti nella Sala era inutile. Dar loro più attenzioni del necessario, mentre cercavano di nascondersi o di fare la voce grossa, era disdicevole: tutti avrebbero confermato quanto detto da James. Tutti erano ratti, e sarebbero stati tali a prescindere dalla decisione. Uccidere gli assassini che avevano fatto soffrire Daeva, quello era il piano. Tutti quanti.

    Si avvicinò al prete poco distante da lui. Non sapeva bene cosa fare, non in quel momento. Voleva solo continuare a torturarlo, ma nel farlo avrebbe tolto tempo prezioso per massacrare gli altri responsabili, i suoi complici, che ancora giravano per Approdo. Si abbassò all’altezza del volto dell’uomo, che rimaneva accasciata per terra senza muoversi né lamentarsi, forse troppo sofferente per reagire.

    - Dove sono i tuoi sodali, dove mi stanno adorando in questo momento, prete? Dove trovo i miei seguaci, essere mortale? Dove posso apparire e folgorarli, mostrando la vera faccia di Dio? -

    Sussurrò all’orecchio del prete, cercando di ottenere informazioni da lui. Forse, in quello stato semivivo, avrebbe davvero scambiato James per il suo Dio. E avrebbe risposto, con tutte le informazioni utili. Oppure avrebbe rantolato, blaterando pazzie varie. In ogni caso, il Roote sapeva cosa fare. Non doveva pensarci due volte, non doveva aspettare altri ordini. Non gli serviva il Primo Cavaliere, avrebbe gestito lui la situazione. Chi lo avrebbe fermato? Il Primo Cavaliere, che non era presente? Chiedersi dove si trovasse sarebbe stato superfluo: l’inutilità di quella carica nei momenti del bisogno appariva evidente, non importava chi detenesse il titolo. Aveva convinto gli ultimi restii della Sala a partecipare: ora era arrivato il momento di agire.

    - Seguitemi tutti nel Cortile. Si scende in battaglia. -

    Così parlò James, indirizzandosi verso il luovo scelto. Lì avrebbe radunato le truppe, e poi le avrebbe indirizzate per tutta la città. Serviva un lavoro certosino, preciso e letale, per stanare tutti i fanatici. E lì i Lord e Cavalieri sarebbero tornati utili. Lo avevano seguito una volta, lo avrebbero fatto di nuovo: ognuno di loro avrebbe guidato un reparto, e ad ognuno sarebbe stata assegnata una zona di controllo. Tutti dovevano combattere.


    623 parole.

    James si dirige nel cortile per organizzare le truppe. Aspetto il prossimo turno per sapere tutte le truppe.

    Diplomazia: 28
    - Marzialità: 136 (45 forza, 57 destrezza)
    - Amministrazione: 2
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    Punti vita: 77.5
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    Non scambiò praticamente alcuna parola con Isabel, e tuttavia sembrava che la ragazza gli avesse dato via libera per andare in qualsiasi luogo volesse. Il dolore che continuava a tormentare James si era adesso impossessato della cugina della Mormont; il Roote sapeva cosa stesse passando, e voleva tanto consolarla. Ma, proprio come un tacito accordo, era stato deciso di andare verso la Fortezza Rossa. Forse la Snow non lo stava realizzando, ma il Cavallo dei Fiumi era sicuro che sarebbe stata d’accordo. L’obiettivo era uno solo: portare al sicuro il corpo di Daeva, affinché potesse essere pulito e reso più umano. Più grazioso, più pulito. Per darle almeno una degna sepoltura, degna della donna migliore dei Sette Regni.

    Voleva raggiungere la Sala Grande per un altro motivo: sapeva di trovare qualche persona importante lì. Qualche nobile, qualche guardia come minimo. Forse anche il Re, se si fosse degnato almeno quella volta di vivere intorno ai nobili del Regno, e non rinchiuso insieme a chissà quale consigliere, all’oscuro dal mondo. Arrivare nella Sala Grande serviva per scatenare la rabbia, forse proprio contro i presenti: cosa era successo? Come era possibile che nei nobili fossero stati rapiti dall’interno della Fortezza Rossa? E cosa stavano facendo i soldati, nel frattempo?

    Nessuno diede fastidio al passaggio di quel triste teatrino. Tra donne piangenti, corpi martoriati, uomini torturati e James che trascinava il tutto, quello spettacolo pareva uscito dalla penna del miglior drammaturgo di Westeros. Eppure era dannatamente reale, anche se James ancora non realizzava appieno. Aveva ancora la spada stretta in pugno, per difendersi da eventuali assalti. Era vigile, con gli occhi ben aperti: ogni via, ogni incrocio avrebbe potuto rappresentare una minaccia, un luogo in cui subire un’imboscata. E adesso doveva proteggere tre persone: Daeva, Isabel ed il prete. Già, perché stava mantenendo la promessa fatta a se stesso poco prima: non avrebbe ucciso il prete, non nel breve tempo. Doveva soffrire. James lo avrebbe trasformato in una figura poco simile all’essere umano, per poi esporlo all’intera Approdo. Sarebbe servito come monito, come minaccia per tutti i fanatici restanti. Ormai era diventata una questione vitale per lui; da argomento inutile, a cui prestava attenzione, l’uccisione di tutti i fanatici era diventato il suo obiettivo centrale. Non ne sarebbe rimasto nessuno. O meglio, i più fortunati sarebbero morti sul colpo. Gli altri avrebbero fatto la fine di quel prete, mutilato e torturato per le vie della città. E quello sarebbe stato solo l’inizio. Li avrebbe anche curati, questi fanatici, per non farli morire. Per continuare a farli soffrire fino alla fine dei tempi.

    Si meravigliò di riuscire ad entrare nella Fortezza Rossa, ed in ogni luogo volesse. Si meravigliò che le guardie lo riconoscessero, anche se forse lo guardavano troppo spaventate per poter reagire. O troppo pigre, dato il livello di sicurezza di quel luogo un tempo impenetrabile. Passò attraverso la Fortezza, per raggiungere la Sala Grande. Ma che razza di persona sarebbe stato, se avesse trascinato il corpo della donna amata davanti a tutti? In quelle condizioni terribili, non avrebbe usato il corpo di Daeva per farsi ascoltare dai presenti. Non sarebbe entrato nella Sala facendo leva sull’orrore della vista di quel corpo per far sì che i presenti obbedissero. No, sarebbe bastata la sola vista del Roote, e la furia della sua spada, nel caso.

    - Voi due… Prendete questo carretto e portatelo nelle stanze di Lady Isabel Snow. - disse il Roote rivolgendosi a due guardie trovate per i corridoi - Perdete di vista il corpo, e vi toccherà la stessa sorte di questo prete. Controllate questo carretto fino a quando non tornerò. Se ve ne andrete, lo saprò. E vi ucciderò. Se vi addormenterete, lo saprò. E vi ucciderò. Se non troverò questo corpo al mio ritorno, non ci sarà continente grande abbastanza per separarci. Vi troverò, e vi ucciderò con così tanta furia da farvi mendicare di non essere mai nati. Spero di essere stato chiaro. -

    Non servì altro, oltre all’ordine perentorio che diede ai due. E alle minacce che avrebbe portato a compimento, se non fosse stato rispettato il suo volere. Non seppe cosa voleva fare Isabel: seguirlo, insieme al prete, oppure accompagnare il corpo? Si mosse senza rispondere a questo quesito. Al contrario di Isabel, le sue lacrime si stavano asciugando, nonostante gli occhi fossero ancora insanguinati. Prese la corda che teneva il prete, e continuò a trascinarlo per i corridoio, verso la Sala Grande. Dentro di lui montava una rinnovata rabbia, che rischiava di scatenarsi su chiunque fosse presente. Man mano che si avvicinava, sentiva un vociare sempre più fitto: cosa c’era da discutere, mentre Approdo era sotto attacco da un gruppo di fanatici, e c’era chi blaterava nella sala, invece di combattere?

    Entrò nella stanza con passo calmo, quasi a voler fare in modo che tutti potessero vederlo. Come avrebbero reagito, alla vista di quell’essere mostruoso, ricoperto di sangue dalla testa ai piedi, con gli occhi dello stesso colore del sangue. Con un prete trascinato con una corda, irriconoscibile nella sua forma umana, tanto era stato torturato, e che lasciava una quantità indefinita di sangue per terra. La Sala sembrava abbastanza piena, sia di nobili che di guardie. Guardò negli occhi chiunque fosse vicino, senza tuttavia prestare attenzione ai loro volti. Che fossero amici o nemici, non aveva importanza. Che li conoscesse o meno, tutti loro erano colpevoli di non aver protetto la Fortezza e di non combattere i fanatici. La situazione non sembrava molto distesa, poteva vedere delle armi: forse un coltello, decisamente del sangue. Qualcuno stava litigando, come bambini. Ma non gli importò, tutto era ininfluente di fronte alla situazione di Approdo. E tutti avrebbero seguito James, tutti avrebbero seguito quando avrebbe detto. In caso contrario, avrebbero assaggiato la sua furia.

    - Come infanti… - disse dopo un tempo indefinibile, mentre continuava a passeggiare per raggiungere il centro della Sala, e oltre. La voce era roca, a causa della stanchezza, del suo stato d’animo e dei pianti che lo avevano fatto accasciare a terra - Vorrei tanto sapere di cosa state parlando, nobili signori di Westeros, mentre intorno a voi dei fanatici scorrazzano, rapinano, uccidono, mobilitano le folle. Vorrei tanto sapere, nobilissimi e coraggiosissimi signori, cosa state facendo per difendere la Fortezza, per difendere Approdo. -

    Vide il Frey, il nuovo Lord dei Fiumi. Una smorfia di disappunto si dipinse sul suo volto, di disgusto. Scosse la testa, guardando tutte le guardie ed i vari nobili. Una volta giunto nella parte opposta all’entrata, passando attraverso tutti i presenti nella sala, abbandonò il prete per terra, mentre con l’altra mano teneva ben salda la spada.

    - Quanti prodi cavalieri, qui, che imbracciano le armi pronti a combattere i fanatici. Che prodi, che coraggiosi, che eroi i nostri cavalieri… Avranno preso di sicuro dai loro Lord, così pronti a scendere in battaglia, senza macchia e senza paura. Ma come sono bravi, i nostri Lord. Guardali, mentre si preparano a combattere. Ma… Ma allora perché se ne stanno ancora chiusi in una sala della Fortezza, come ratti, come inetti, come reietti e scarti, mentre i fanatici rapiscono nobili… - il tono della voce si alzava sempre di più, mostrando tutta la furia del Roote parola dopo parola - Perché pensano a parlare tra loro, i prodi signori e cavalieri, mentre i fanatici uccidono nobili? - chiese urlando in modo rabbioso. Voleva spaventarli, tutti quanti.

    - Oh come mi piacerebbe sapere i tanto acuti problemi che state risolvendo, voi ratti, al posto di combattere. Come vorrei far parte della vostra importantissima discussione, che rivela la grandezza delle vostre cariche, mentre come vermi vi nascondete, tremate all’idea di combattere e difendere Approdo. Riesco già quasi a sentire le vostre voci… Qualcuno di voi avrà detto che questa non è casa sua. Qualcuno avrà detto che questa non è la sua battaglia. Qualcuno di voi supporterà perfino i fanatici. Tutto questo perché siete solo dei vermi, inetti, inadatti. Dei parassiti. Non sapreste neanche impugnare la spada in una battaglia. Figuriamoci combattere. E che bravi, i nostri coraggiosi e valorosi signori; ma che bravi, i nostri applauditi cavalieri, mentre abbandonano la battaglia impauriti. E se Daeva Mormont è morta, è merito vostro. Di tutti voi. -

    Cercò di ricacciare indietro le lacrime, anche se le sentiva vicino. Provò a tramutare quella profonda tristezza, quel vuoto sentito subito dopo aver pronunciato le parole, in rabbia. E si avvicinò a chiunque fosse vicino a lui. Squadrava ognuno dall’altro al basso, a partire dal Frey. Poteva sentire il loro respiro, mentre passava davanti al loro volto.

    - Frey, oh altissimo Frey… Tu cosa facevi, mentre Daeva veniva massacrata? E tu, cavaliere, quale armatura ti stavi mettendo, quando i nobili che dovresti proteggere venivano rapiti? Oh prode guardia, tu eri impegnato a pulire la tua spada dal sangue, mentre mi aiutavi ad uccidere decine di esaltati, non è vero? -

    Indicò il prete con la spada.

    - Ecco a voi uno di loro, un fanatico, una loro guida. Sicuramente grazie a voi è stato catturato. Sicuramente grazie a voi si trova adesso qui. Perché voi siete stati prodi, voi siete stati coraggiosi. Voi avete combattuto, avete ucciso. Voi avete difeso, avete eseguito i vostri compiti. O forse… forse mi sbaglio, forse invece eravate qui, a parlottare, a ridere, a scherzare. Vi siete leccati il culo a vicenda, non è vero? Ma che bravi questi signori, mentre si complimentano tra loro per ciò che sono: deplorevoli parassiti, inutili omuncoli. Ipocriti, villani, falsi, impauriti come conigli. Potrei perfino passarvi tutti per la spada, adesso, e tremereste come foglie, pensando comunque a come scappare, come nascondervi, come mostrare tutta la vostra inutilità. Oh ma siete molto bravi a pulirvi l’un l’altro, con la lingua. Ah che piacere quello, come siete bravi in quell’onorevole compito. Mi piacerebbe tanto sapere cosa state facendo, ora, per contrastare i fanatici. Perché io non vedo spade pronte a combattere, qui. Non vedo armature. Vedo solo dei piccoli omuncoli, degli infanti che piagnucolano perché non vogliono combattere. -

    Provava un disgusto profondo per tutti loro, un disgusto tale da non poter essere espresso con le parole. Voleva solo iniziare ad uccidere tutti loro, tutti quegli esseri inutili. Voleva vederli crollare a terra sanguinanti, mentre chiedevano pietà. Perché la morte di Daeva era colpa loro, di tutte quelle guardie, quei cavalieri e quei signori. E tutti loro meritavano la fine della Mormont. Più mille altre sofferenze.

    1733 parole.

    Un altro tiro per intimidire i presenti è sempre valido e ben accetto.

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    Voglio un po' piangere e disperarmi
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    Daeva... :(

    Ma il nuovo pg dovrà chiamarsi in modo simile e avere un prestavolto simile a Daeva, così James potrà impazzire del tutto e morire felice. Non si accettano compromessi.

    (Sì scherza, forse). In ogni caso bentornataaaa!
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    Sapeva di sembrare un essere alieno a quel mondo. Per come si muoveva, per il suo aspetto, per la smorfia del volto, per lo sguardo che aveva. Cosa provavano i popolani che lo osservavano passare? Disgusto? O forse paura? Erano terrorizzati, intimoriti? Oppure volevano solo voltare lo sguardo per evitare i conati? E cosa vedevano per primo? James, il carretto, il vecchio prete o Daeva? E cosa pensavano alla vista di un Lord, di un Cavaliere, che in quelle condizioni si aggirava quasi sperduto per Approdo, lasciandosi dietro una scia di sangue e di massacri?

    Il Roote iniziava a farsi domande strane, inutili, senza neanche sapere un perché. Non che gli importassero le risposte di nessuna di quelle domande, eppure la sua testa sembrava andare per conto proprio. Forse per dimenticare tutta la sofferenza. Forse per evitare che quel fastidiosissimo fischio, assordante, lo portasse alla totale pazzia. O magari per cercare di non pensare a Daeva, o per evitare di infliggere altro dolore al prete che trascinava. Che si stesse giocando o meno tutta la gloria e la fama che aveva conquistato, oppure che proprio grazie a quel massacro ne stesse guadagnando altra, James continuava a trascinare il carretto, come un condannato a morte trascina il proprio corpo verso il patibolo. Era la personificazione della sofferenza, con quella testa chinata, intendo a portare avanti il corpo adagiato della Mormont e quello del prete, legato nella parte posteriore e strisciante sulla strada.

    Stava quasi giungendo in una piazza quando iniziò a sentire in lontananza il latrato rabbioso dei cani. Non prestò subito attenzione a quel rumore indistinto, uno dei tanti che si confondeva con l’ambiente di Approdo del Re. Solo mano a mano che si facevano più vicini il Roote strinse con forza la spada. Era un gesto automatico, ma che altro aspettarsi da quel luogo così ostile? Che altro aspettarsi da una città che lo aveva rapito, sequestrato, e che aveva ucciso sua moglie? Effettivamente, egli non aveva la minima idea della condizione in cui versava la città. Nonostante decine di guardie avessero provato a farlo fuori, camminava come se nulla fosse, come se non fossero più possibili altre minacce alla sua vita. Ma non sapeva nulla di cosa lo circondasse, del motivo per cui quelle guardie combattessero. Non sapeva chi fosse partecipe a quella sommossa, o cosa stesse succedendo nella Fortezza Rossa. Perché se erano stati rapiti da lì, allora nessun Lord o Lady era al sicuro.

    Eppure non sembrava così pericolosa, la Fortezza. Se, come aveva appreso sentendo il vociare dei popolani, una ragazza del Nord, una Lady, era alla ricerca dei due nobili scomparsi, allora non tutto era perduto. La Fortezza era tranquilla, e ciò significava che loro erano stati rapiti; solo loro, e per un motivo specifico, che tuttavia ignorava. Capì pochi istanti dopo a quale ragazza del Nord i popolani si stessero riferendo: giungendo nella piazza, notò che di fronte a lui giungevano di gran carriera numerosi cani, seguiti da una ragazza, Lady Isabel, e alcuni soldati.

    Non ebbe bisogno di immaginare la scena successiva. Vide Isabel avvicinarsi a lui, contenta in un primo momento. Sentì l’abbraccio che lo avvolse, ma che non lo toccò minimamente. Non sentiva assolutamente nulla. Freddo glaciale. Forse per questo Isabel capì che qualcosa non andava. Egli non seppe ricambiare il gesto d’affetto: rimase immobile, senza spostarsi di un millimetro, mentre la ragazza si trovava a contatto con il suo corpo, ignorando l’enorme quantità di sangue che lo ricopriva. James non pianse, aveva finito le lacrime. Non gridò neanche; non aveva proprio le parole, e non avrebbe saputo neanche cosa dire. Rimase come una statua, mentre Isabel faceva l’amara scoperta della verità. Sentì le sue grida, distanti nonostante fosse vicina. La reazione era molto simile a quella del Roote. Ed egli avrebbe voluto con tutto se stesso trovare conforto e confortare a sua volta la Snow, ma non riuscì a fare nulla. Il dolore lo aveva consumato, e si trovava privo di forze. Riusciva ad andare avanti, a proseguire, a continuare a vivere solo grazie a quel carretto. Sapeva che era una sua missione quella di riportare Daeva al sicuro, nonostante fosse morta, e doveva completare quella missione a tutti i costi. Anche a costo della sua vita, della sua sicurezza. Quello era il suo unico compito, la sua unica missione, il suo unico scopo di vita.

    Girò lentamente lo sguardo verso Isabel. Lei avrebbe potuto vedere lo sguardo consumato del Roote, mentre forse si chiedeva perché non reagisse. Ma, forse, avrebbe anche capito che aveva sofferto così tanto, raccogliendo Daeva, che ormai gli era impossibile continuare a dimostrare alcuna espressione. Eppure, continuava a soffrire dentro. Terribilmente.

    Indipendentemente dalla Snow, James cercò di riprendere la camminata, forse aiutato, o quantomeno circondato, dalle guardie presenti, che tutto avrebbero immaginato tranne che finire in quella situazione. Doveva arrivare assolutamente alla Fortezza Rossa, e ci sarebbe arrivato. Nel minor tempo possibile.


    818 parole.

    Cerco di dirigermi verso la Fortezza Rossa anche in questo turno, se ad Isabel va bene.

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    Il vecchio soffriva in modo inumano. James riusciva a vederlo, nonostante la pazzia di quell’uomo lo avesse reso quasi immune al dolore. Rideva, il prete, mentre il Roote si accaniva su quell’essere, infliggendo terribili pene. Non avevano funzionato le tecniche del Cavallo dei Fiumi; l’uomo non appariva terrorizzato, ma anzi sembrava davvero vedere nel ragazzo il suo Dio, che tanto bramava e pregava. James, dal canto suo, non stava cercando di intimorirlo, né il suo era un tentativo di fargli implorare perdono. Egli era invece chiuso in se stesso, alla ricerca di un modo per affievolire il dolore per la perdita di Daeva. Le torture inflitte non avevano lo scopo di farlo soffrire, ma servivano al Roote per trasferire la rabbia, per incanalare in un’unica persona tutte le terribili emozioni che gli passavano per la testa in quel momento.

    Così, egli non si curò del sorriso del prete, né delle sue grida di gioia. Sentiva come si rivolgesse ad altre persone, eppure non vedeva nessuno intorno a lui. La situazione era talmente surreale, talmente inumana, che non capiva chi dei due fosse impazzito. Possibile che in pochi minuti, in un angolo del Continente, tutto quel dolore fosse sprigionato? James andava avanti quasi per inerzia, rinvigorito unicamente dalle grida atroci del prete, quando non era intento a ridere e ringraziare lo Sconosciuto per quella dimostrazione di fede. Forse non aveva capito che la sua morte non sarebbe arrivata quel giorno, e neanche in quelli a venire. Le sue sofferenze sarebbero continuate fino a quando non avesse perso la voce a forza di gridare, esausto per quelle sofferenze. Ringraziava lo Sconosciuto, ma avrebbe fatto lo stesso dopo giorni di sofferenza, isolato e privo di forze? Decise quindi di continuare ad infliggere nuovo dolore: se egli stava vedendo il suo Dio, in quel momento, evidentemente aveva un problema di vista, ed il Roote decise di rimediare colpendo l’occhio destro con la punta della sua spada. Ma non rimase lì a compiacersi della sofferenza causata. Forse altro sangue sarebbe sgorgato, dalle altre ferite precedentemente inflitte. Forse avrebbe gridato nuovamente, accecato in un occhio. Tutto ciò non interessava al Roote, che si era alzato nel frattempo per andare verso la ragazza che amava.

    Cosa pensava chi lo vedeva? Fino a pochi giorni prima la sua vita stava andando avanti in modo perfetto; un sogno. Si era sposato con Daeva, era stato nominato Cavaliere dal Re in persona, e si stava creando una propria strada nel mondo. Poi, all’improvviso, si trovava in una piazza, circondato da cadaveri divenuti tali per suo merito, grondante di sangue ed altri liquidi corporei di tutti coloro che avevano tentato di ostacolare la sua via. Accecato da un odio inumano, i suoi occhi apparivano animaleschi, irriconoscibili, rossi a causa del sangue, della rabbia e delle lacrime. I suoi capelli erano appiccicosi, anch’essi uniti tra loro con sangue e strani altri liquidi, compreso forse brandelli di corpi morti. Furioso, non riusciva a vedere altro se non il vecchio e Daeva, la donna della sua vita. Si trovava proprio dove l’aveva lasciata qualche minuto prima, quando il mondo gli era crollato addosso. Era morta, ormai non c’era speranza alcuna, e James lo sapeva. All’iniziale incredulità e pazzia si era sostituita la rabbia, poi succeduta da un senso di vuoto assoluto; cosa avrebbe fatto della sua vita, da quel momento in poi? Cosa avrebbe dovuto fare in quel preciso istante, in un mondo privo ormai di senso?

    Aveva paura. Mentre si dirigeva verso Daeva, fatta a pezzi in mezzo alla piazza, percepì un tremolio di paura. Aveva paura di rimanere solo. Aveva paura di se stesso. Sentiva di star regredendo ad un momento terribile della sua vita. Qualcosa che aveva sentito dentro di lui da sempre, ma che in un modo o nell’altro era riuscito sempre a contenere. Ma adesso stava crollando ogni muro che aveva costruito, ogni certezza della sua vita che aveva custodito gelosamente per non sentirsi trascinato da quella sensazione. La testimonianza di quella regressione erano gli atti che aveva e che stava compiendo. Senza quasi emozioni, senza empatia, terrorizzava, torturava, uccideva. James era quello. Una macchina da guerra, inumana. La sua vita era condannata a quello: non momenti di gioia, ma di terrore e di morte. Era ciò in cui eccelleva, e la vita sembrava ricompensarlo sempre, presentandogli situazioni in cui l’unico obiettivo era uccidere. Ma se in precedenza aveva cercato di soffocare quella pulsione, in quel momento stava finalmente accettando la sua vita. E non gli interessava di come gli altri lo vedessero, in quella piazza ed in tutto il Continente.

    Cercò disperatamente un carretto, qualcosa su cui poter posizionare le varie parti di Daeva. Si guardò intorno, prima di accasciarsi sul torso della Mormont, tremando. Come avevano potuto ridurla in quel modo? La sua Daeva, fatta a pezzi in una piazza qualsiasi, da gente qualsiasi, per un Dio inutile. Perché tanta pazzia, tanta ferocia contro la ragazza? Si sentì subito in colpa per non aver agito prima, per non essere riuscito a prevenire la situazione. La sua testa scoppiava, ogni secondo presa da una sensazione e da un’emozione diversa. Trovò la forza di guardarle il viso. Sembrava contorto dalla paura, con gli occhi spalancati. Ma erano tristi, ormai spenti. Gettò la testa sul suo corpo, lasciando anche il segno della sua testa insanguinata sul petto della ragazza. E pianse.

    Le lacrime sgorgarono senza ritegno, come un fiume in piena. Guardare Daeva negli occhi lo fece crollare immediatamente, e non esisteva alcun blocco che potesse fermarlo. Cercò di nascondersi sul suo petto, come alla ricerca di un ultimo abbraccio. Il corpo sembrava emanare ancora un flebile calore, ma non capiva se fosse quello della Mormont oppure il proprio. Si nascose; se era difficile guardare negli occhi la ragazza, era impossibile guardare il corpo, distrutto con tanta ferocia. Non seppe cosa altro fare se non cercare riparo su quel petto che tanto aveva amato, come ogni altra parte di Daeva. Singhiozzante, tremava come una foglia mentre il sangue e le lacrime si mischiavano sul suo volto e sui vestiti della Mormont. Voleva rimanere all’infinito in quella posizione, con la speranza che una flebile voce si facesse strada tra le labbra della ragazza. Sarebbe bastato anche un sussulto, qualsiasi cosa che testimoniasse come fosse ancora in vita. Non voleva riaprire gli occhi, tornare alla realtà, lontano dal suo corpo, senza più sentire neanche quel poco calore ancora presente. Perché avrebbe significato la fine. La distanza, per sempre.

    Rimase in quella posizione a lungo, mentre il prete agonizzante si trovava a pochi passi da lui. Non che si potesse muovere, data la situazione in cui si trovava. Come era strana quella situazione: come se due James, con due emozioni del tutto diverse, si trovassero nello stesso luogo, intenti a fare due cose in contemporanea. Passarono i minuti, molti, prima che il Roote trovasse la forza di alzarsi. Chiuse per prima cosa gli occhi alla ragazza, cercando di conferire un aspetto più rigoroso al corpo. Poi si alzò, con tutta la forza che gli rimaneva, per trovare un carretto su cui adagiare la Mormont, facendo attenzione a ricomporre al meglio Daeva nella sua interezza. A questo carretto legò anche il prete mutilato ed agonizzante; sarebbe stato trascinato, legato al carro in modo da strisciare sulle pietre e sulla strada. E si mise in cammino, verso la fortezza. Non sapeva bene dove stesse andando, probabilmente mosso per inerzia, conoscendo la strada tramite i ricordi. Ed Approdo avrebbe visto. L’arrivo di un demone insanguinato, accompagnato da una donna morta ed un prete agonizzante, fanatico, che gridava allo Sconosciuto. Forse, lo Sconosciuto era proprio arrivato. Ed era lui, davvero. Pronto a condannare le persone alla morte.

    1280 parole.

    Mi dirigo verso la Fortezza Rossa, quindi per questo turno verso la Sala degli Alchimisti e la piazza.

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    Una cosa era certa: James non aveva perso la propria forza. Non aveva perso lo spirito guerriero ed il coraggio necessario per caricare a testa bassa decine di soldati. Non che in quel momento fossero necessari, o almeno non apparentemente, dato che ciò che stava spingendo il Roote era pura vendetta, rabbia ed estrema tristezza. Tuttavia, ragionandoci a mente fredda nel futuro, non avrebbe potuto negare che la strage fatta fosse l’ennesima dimostrazione della sua forza. Era riuscito ad eliminare la maggior parte dei presenti, mettendo in fuga i restanti; solo un prete era rimasto dove si trovava, impassibile, per nulla spaventato né rattristato da James e dalla situazione in cui si trovava. Anzi, invece di scappare, egli si avvicinò al Lord di Isola dell’Orso, come a volerlo rassicurare, in un atteggiamento tipico dei preti.

    Che fosse un pazzo era evidente; non tanto per ciò che aveva sulla fronte, una stella a sette punte incisa sulla pelle, né per lo strano medaglione che portava al collo. Ma il modo in cui si comportava, davanti alla furia distruttrice di James, testimoniava la presenza di un uomo privo di senno. Questo sembrava intuibile anche dalle parole senza senso che uscivano dalla sua bocca. Parlava di un Dio inutile, parlava di religione. In una parola, blaterava. Perché stava aprendo la bocca? A cosa faceva riferimento, che pazzie stava raccontando? Il Roote appariva quasi confuso, non capendo cosa ci facesse un prete in quel luogo, e perché sentisse la necessità di parlare, di… Consolare? Eppure era stato lui, proprio lui, a decretare la morte di Daeva. Se non con l’atto pratico, quanto meno con il suo silenzio, dimostrando complicità. O peggio, egli ne era l’ideatore. Ma perché rimanere di fronte al Roote, allora, davanti a morte certa, se fosse stato l’ideatore della rivolta?

    La piazza improvvisamente si era svuotata, tranne per i corpi morti sparsi per terra. Quella era una rivolta. Fino a quel momento non ci aveva fatto caso, eppure Approdo era molto diversa da prima del rapimento. La piazza e le vie adiacenti sembravano vuote, prive di persone, nonostante la città pullulasse notoriamente di gente. Cosa stava accadendo? Il rapimento, guardie della città ribelli: l’ordine era stato spazzato via, ma per quale ragione? Sembrava che il prete fosse parte di quella rivolta, e di conseguenza, anche solo in minima parte, dove trattarsi di qualcosa di religioso. Forse le lontane rivolte religiose, a cui il Roote non aveva mai prestato molta attenzione, erano infine arrivate anche nel cuore del Continente? Se quella era la realtà, la morte di Daeva appariva ancora più priva di senso. Era stata uccisa per motivi futili, religiosi.

    James non riuscì a contenere la propria rabbia. Quell’uomo continuava a blaterare di inutilità, ma se tanto teneva allo Sconosciuto, il Cavallo dei Fiumi lo avrebbe presto accontentato. Il primo istinto fu di ucciderlo, subito, senza pensarci. Il modo in cui si comportava, ciò che aveva fatto, andavano ben oltre il limite sopportabile. Eppure, che senso avrebbe avuto? Egli desiderava così tanto raggiungere il suo dio; se avesse esaudito il suo desiderio, la vendetta sarebbe stata molto meno soddisfacente. Soddisfacente non lo era in ogni caso, dato lo stato in cui si trovava sua moglie. Ma capì subito che non avrebbe ucciso in un colpo solo il prete. No, serviva la sofferenza. Profonda. E non importava quanto fosse fanatico quell’uomo, poiché la sofferenza inflitta dal Roote sarebbe stata tale da far perdere in ogni caso la ragione. Non sarebbe andato sul sottile, con tecniche apprese solo vagamente in un passato remoto. No, l’obiettivo era creare dolore. Immediato. A cui si sarebbe poi aggiunto altro dolore, e poi altra sofferenza ancora.

    - La tua sposa si è ricongiunta ai suoi avi e la sua vita di peccato e sofferenza si è finalmente conclusa. Non lo desideri anche tu? Non desideri anche tu la morte dopo tanto patire, James Roote? -

    La morte dopo tanto patire? Quel prete non aveva idea di ciò che aveva combinato. Aveva rovinato la vita del Roote con un semplice gesto. Aveva fatto uccidere Daeva per delle sue fantasie bizzarre, e non contento si stava anche prendendo gioco del ragazzo. Sì, James aveva patito molto, e stava patendo in quel momento, nonostante l’arrivo di Daeva avesse portato gioia e tranquillità. Ma quei sentimenti genuini gli erano stati strappati dalle mani, dal cuore, nel momento in cui dei fanatici avevano deciso di fare a pezzi la Mormont. La maggior parte dei responsabili aveva fatto la fine che meritava. Ma quel prete non avrebbe avuto la stessa sorte: a lui non era riservato lo stesso privilegio della morte rapida, quasi indolore, poiché egli appariva più responsabile di altri. Egli appariva davvero convinto delle sue idee, tanto da diventarne martire. Sempre che il Roote decidesse di ucciderlo. Ma no, non era la morte che James cercava. Il prete avrebbe continuato a vivere a lungo, sempre e solo tra atroci sofferenze.

    Non disse nulla, non rispose a quell’uomo pazzo e inutile. L’unica cosa che fece fu caricarlo e gettarlo a terra, sporcando la tunica e la barba di sangue. Il sangue dei suoi sodali, morti per la furia del Roote che adesso si poteva concentrare su un singolo uomo, un singolo responsabile. Una volta gettato a terra il prete, strinse con forza la spada che aveva in mano (una spada qualsiasi, presa in giro) e con tutta la forza che aveva in corpo cercò di tranciare una gamba di netto. Se non fosse riuscito a separare la gamba dal resto del corpo con un solo colpo, avrebbe continuato fino al compimento di tale compito. Zampilli di sangue sarebbero schizzati ovunque, ma James era ormai immune a tale visione. Avrebbe gridato, il prete ormai divenuto monco? O avrebbe mantenuto il suo sguardo dolce?

    Ma una sola gamba non era sufficiente. Tranciò anche l’altra, ma facendo attenzione a non separarla dal corpo; non avrebbe più camminato, questo era certo. Doveva solo soffrire, e la gamba maciullata ma ancora attaccata al corpo (anche se per poco) appariva la scelta migliore. Il volto del Roote era ormai irriconoscibile, data la quantità di sangue che gli colava sulla pelle. Ma non aveva tempo di pulirsi. Non voleva farlo. Era troppo concentrato con quell’uomo.

    - Dov’è il tuo Dio, adesso? Perché non ti salva, facendoti morire? - gli disse il Roote quasi sussurrando all’orecchio. Dopodiché, fu la volta della mano. No, era inutile, non sarebbe più tornata utile a quel verme. Decise quindi di tagliarla di netto, aspettando nel frattempo che il dolore per le altre parti del corpo prendesse il sopravvento sul prete. Non stava più pensando a Daeva. Era diventato sovrumano, inumano. Era diventato…
    - Non ti accorgi, prete? Sono io il tuo Dio, sono qui per punirti, ma non hai compreso nulla. No, prete, tu hai mal interpretato. Io sono il tuo Dio, prete, ma tu non morirai ora. Tu mi hai adorato, ma io non sono ciò che tu speravi, prete. - disse il Roote aumentando il tono della voce al progredire delle parole. Stava impazzendo, forse? O forse l’uomo stava imparando ad avere terrore, impaurito da James? Chiunque, probabilmente, sarebbe morto di paura. Non solo per la presenza del Roote, ma per l’intera situazione.

    - Tu non morirai, prete. Non è questo il mio verdetto. Ma soffrirai, questo sì. Desideravi ricongiungerti al tuo Dio, non è vero? Eccomi qui, prete, sono qui per te. Ma io non sono il tuo Dio. Io ho ucciso colui che adoravi, e l’ho sostituito. L’ho ucciso, massacrato come i suoi seguaci, e con lui ho ucciso la sua passione per gli uomini. Tu lo adoravi, il tuo Dio, e lui adorava i suoi fanatici. Ma io l’ho ucciso, il tuo Dio, e ho ucciso la sua adorazione. Speravi di morire, per ricongiungerti con lui? Ma io l’ho ucciso, e tu non puoi più incontrarlo. Sono io il tuo Dio, prete, perché sono io la tua eternità. Non avrai ricompense, non avrai doni; sei destinato a soffrire, guardandomi negli occhi mentre preghi che il tuo Dio torni. Ma non tornerà, poiché io l’ho ucciso. Non potrà salvarti, mentre soffrirai. Prega, parla, maledici. Ma soffrirai in ogni caso, sapendo che il tuo Dio morto. E io l’ho ucciso. -

    James stava forse impazzendo. Non sapeva bene se credere alle parole che diceva oppure no. Credeva alla sofferenza che infliggeva, ma stava iniziando a credere anche alla sua natura divina. Era quella la pazzia? Era quello l’effetto della morte di Daeva? Non sapeva rispondere, sapeva solo che in quel momento il suo compito era uno. Infliggere pene atroci al prete, e farlo soffrire. Spaventarlo a morte. Ma lasciandolo in vita per poter continuare la sofferenza che si meritava. Mentre il Roote prendeva sempre più le sembianze di un Dio. Sanguinario. Violento.

    1465 parole.

    Non mi muovo dal posto, ma mi occupo solo del prete, in attesa di sue reazioni.

    Diplomazia: 28
    - Marzialità: 136 (45 forza, 57 destrezza)
    - Amministrazione: 2
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    Punti vita: 77.5
  8. .
    Il colpo inflitto al disgraziato davanti a lui ebbe l’effetto sperato. Neanche il tempo di rendersi conti di quanto stesse succedendo, ed i denti di James furono subito al collo del malcapitato, il quale non poté fare altro se non morire agonizzante, con il sangue che sgorgava come una fontana dal suo corpo. Non un grido, non un gemito. La forza e la rapidità del Roote non lasciarono scampo alla guardia, che finì a terra con gli occhi terrorizzati, mentre fino a qualche secondo prima aveva avuto il coraggio di prendersi gioco del Cavallo dei Fiumi e di sua moglie.

    Avrebbe voluto gioire, compiaciuto, di quanto appena fatto, sentendosi invincibile e vendicativo nei confronti di quell’uomo che lo aveva sfidato. Tuttavia, il pensiero andò subito a Daeva, la quale era scomparsa dal suo raggio visivo. Poteva sentire solo le sue grida, strazianti e disperate, con le quali forse cercava di invocare l’aiuto del Lord. Quelle grida lo misero in agitazione; un sentimento di ansia si impossessò rapidamente di James, tanto da costringerlo ad un respiro profondo per non lasciarsi dominare da un gelo immobilizzante e dai dolori che percepiva allo stomaco. Nonostante fosse ferito al volto, le uniche ferite che sentiva erano interne, mentali. Le urla di Daeva lo facevano sentire impotente, mentre cercava disperatamente di liberare le mani dalle catene. Non aveva tempo per ragionare e trovare un modo alternativo, quindi tutto ciò che fece fu caricare con quanta più forza possibile dritto davanti a lui, per riuscire a spezzare ciò che lo immobilizzava. Non ci volle molto per raggiungere l’obiettivo sperato, e appena riuscì nell’intento iniziò a correre all’esterno, cercando di prendere qualsiasi arma avesse la guardia morta. Non stava riflettendo sulle conseguenze: non sapeva cosa ci fosse all’esterno della struttura. In realtà, non sapeva nemmeno dove si trovasse questa struttura. Non che gli importasse, sul momento. Il suo unico scopo era quello di salvare la ragazza che amava, e fuggire insieme a lei. No, non fuggire. Combattere. Sentiva che la rabbia che aveva dentro di lui aveva bisogno di una valvola di sfogo, e quei soldati che lo avevano sfidato, imprigionato e picchiato, erano il bersaglio perfetto. Ma prima doveva trovare Daeva.

    La rabbia dentro di lui montava ogni istante di più, mentre raggiungeva il piano terra per uscire da quel buco. Ma la stessa rabbia scomparve, lasciando il posto ad una sensazione di sangue gelato, quando smise di sentire i lamenti della Mormont. L’ansia lo colpì ancora, ma questa volta lo lasciò senza fiato. Perché ci stava mettendo così tanto? Perché Daeva non gridava più, tutto d’un tratto? Cosa le stavano facendo? Continuava a sentire la folla presente davanti all’edificio, ma non più la ragazza. Proseguì, fino a giungere all’uscita, nonostante la morsa gli stringeva lo stomaco e i polmoni. Era impaziente di arrivare nella piazzetta. Voleva uccidere, uccidere tutti i presenti, nessuno escluso. Una furia ceca montava, rafforzata da una paura, una paura nascosta, che James non voleva neanche ipotizzare. Finalmente giunse al piano terra, e in un attimo distrusse la porta che lo separava dall’esterno. Si guardò intorno, probabilmente causando lo stupore di tutti i presenti, che non si aspettavano James libero e pronto al massacro, con il volto, la bocca e i denti insanguinati, come nei peggiori incubi. Dal canto suo, non aveva altro che la propria forza per uccidere le guardie lì presenti, ed era altresì immune a qualsiasi voce provenisse dall’esterno. Non sentiva niente, da quando Daeva aveva smesso di gridare. Era solo lui, contro chiunque si trovasse davanti. Chiunque avesse il coraggio di combatterlo. Chiunque su cui posasse il suo sguardo.

    Ma la prima cosa che vide, di fronte a lui, fu la causa della sua ansia. Non ebbe modo di pensare a nulla, la sua mente era vuota e priva di qualsiasi sensazione umana. La donna che amava, Daeva Mormont, era stesa a terra, come le bestie. Non solo era morta, ma quei presenti avevano deciso di ucciderla in modo diverso, doloroso, inumano: legata mani e piedi a quattro cavalli ancora lì presenti, era stata fatta a pezzi, tra atroci sofferenze. Rimase interdetto: possibile che fosse lei? Daeva, la ragazza che aveva conosciuto anni prima, che aveva imparato ad amare, che amava alla follia, fatta a pezzi in una piazzola di Approdo? No, non aveva senso. Non poteva essere. Che doveva fare? Cosa stava succedendo? Stava sognando, uno dei peggiori incubi? Non era lei la donna, era qualche persona diversa, che le somigliava?

    Non ebbe modo di respirare. Non riuscì a prendere fiato, né a chiudere gli occhi per vedere meglio. No. Sapeva che i suoi sensi non lo avevano abbandonato, che ciò che vedeva era reale. Era proprio lei, Daeva, irriconoscibile a causa delle torture a cui era stata sottoposta prima di morire. Le grida erano cessate perché era cessata la vita della ragazza. Era stata strappata dal Roote in modo ignobile, legata a dei cavalli, uccisa di fronte a un pubblico, felice e gioioso nel vederla soffrire e morire. La sua mente ancora non riusciva a reagire alla notizia. Stava solo osservando la realtà, non stava pensando. Non riusciva a trovare una spiegazione, non capiva neanche se fosse lei. Lo era, ma allo stesso tempo non lo era. No, Daeva doveva essere ancora viva. Non l’avrebbe mai abbandonato su quella terra, non si sarebbe mai separata da James, non in quel modo, non in mezzo ad una nuova battaglia da combattere. Probabilmente era riuscita a nascondersi, a fuggire da qualche parte, pronta per ricevere nuovamente James, per scappare di nuovo con lui. Sarebbero tornati in un luogo sicuro, ad Isola dell’Orso, a danzare nell’acqua, abbracciarsi, contare l’uno sull’altro. A combattere di nuovo, a dormire insieme di nuovo, a baciarsi, a comunicare le proprie paure, le proprie ansie. A costruire un futuro insieme, per Isola, per la figlia, per loro stessi. Come avrebbe potuto, Daeva, abbandonare questo, che tanto desiderava. Come avrebbe potuto lasciare James da solo, senza più nessuno su cui contare, senza un supporto? No, era semplicemente impossibile. Daeva era lì con lui, era pronta a combattere con lui, vero?

    Ma se era lì con lui, armi in mano, perché il Roote continuava a boccheggiare, senza aria nei polmoni? Perché aveva la mente in tilt, il nero assoluto, e vedeva in modo appannato? Se si trovava al suo fianco, perché i suoi occhi lo stavano tradendo? Perché sentiva il volto rosso, in fiamme, bagnato sebbene non piovesse? Perché, se era pronta a combattere insieme, tutto ciò che riusciva a sentire era un fischio costante, proveniente non dalle orecchie, ma dalla testa? Perché tremava, se stavano insieme? Perché tutto intorno a lui girava, e la vista di James era offuscata completamente? Piangeva, disperatamente; ma lei stava lì, perché disperarsi? Voleva dire qualcosa, chiamarla, sentirla al suo fianco, ma la bocca non rispose. Era asciutta, del tutto, e le labbra non riuscivano ad emettere alcun suono, non riuscivano ad aprirsi, men che meno ad esprimere parole sensate.

    Udì un grido. Rabbioso. Lo fece gelare il sangue. Chi poteva gridare in quel modo? Non era umano, non proveniva da una creatura a lui conosciuta. Era distante, e si guardò intorno per capire chi fosse in grado di emettere un simile suono. Tutta Approdo, probabilmente, lo aveva sentito. Troppo forte, troppo lungo, troppo… Intimo? Si guardò intorno, mentre tutti si erano rivolti verso di lui. Possibile il grido fosse il suo? Tremante, divorato dal dolore, con copiose lacrime agli occhi, rosso in viso e con il sangue sui suoi vestiti e sul volto. Ma allora era vero, quel grido non apparteneva ad una creatura umana. Perché se era stato emesso dal Roote, allora non vi era nulla di umano in lui. Non nel corpo in cui stava, non in ciò che sentiva, non nelle azioni che stava intraprendendo. Perché lui non stava percependo nulla, ma intorno a lui iniziavano a sgorgare fiumi di sangue. James era immobile, fermo con il pensiero ancora rivolto a Daeva, che per fortuna era viva. Ma stavano morendo delle persone, e vedeva la sua mano in movimento, anche se molto rallentata. Stava vendicando Daeva? E perché mai, se lei lo stava aiutando ad uccidere i soldati?

    Accanto alla donna fatta a pezzi, vi era una guardia che aveva intravisto prima, e due uomini religiosi, riconoscibili dall’abito che indossavano.

    - Daeva, uccidi loro! - disse in modo automatico rivolgendo la mano agli uomini appena intravisti, mentre egli continuava a far fuori gli altri presenti. Non ricevette alcuna risposta, ma sapeva che la Mormont si sarebbe diretta contro di loro. In battaglia erano legati come non mai, sapevano di poter contare sull’altro, sapevano di seguire ognuno le direttive dell’altra persona, come avevano sempre fatto. Funzionava, perché insieme erano devastanti, insieme erano una macchina da guerra mai vista prima. Ma quando pose di nuovo lo sguardo su quegli sciagurati, stavano ancora lì. Ma perché?

    Dalla bocca uscì flebilmente una sola parola. - Daeva… - farfugliò, con le lacrime di nuovo agli occhi, più di prima. Ma adesso non era più solo inumano. Non era solo cosparso ovunque di sangue. No, era anche furioso. Una rabbia mai sentita prima. Quegli uomini dovevano morire, ma dovevano anche soffrire nel frattempo. Urlò di nuovo, con quanto fiato avesse in gola, mentre sentiva le proprie vene sul collo dilatarsi notevolmente. Non era umano, perché quella rabbia non lo era. Voleva avvicinarsi alla donna stesa a terra, capire chi fosse; sapere se fosse Daeva o no. Ma lui lo sapeva, sapeva che la Mormont era morta. Eppure… Eppure combatteva con lui, no?

    1591 parole.

    Uso 20 punti forza per rompere le catene, ed uso 55 punti vita per uccidere 20 soldati. Cerco di spaventare gli altri che non riesco ad uccidere.

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    Punti vita: 77.5
  9. .
    Oh no, non sarebbe morto così.
    Lo avevano insultato. Lo avevano deriso. Avevano osato apostrofare Daeva in ogni modo. Avevano fatto tutto questo solo grazie al silenzio di James. Come in trance, non si era accorto di cosa stesse avvenendo intorno a lui. Ma si era svegliato. Si era appena svegliato. Ed era pieno di rabbia. Chi era quell’omuncolo che aveva rapito la coppia e che lo stava insultando? Come si permetteva, come osava? Erano queste le domande che svegliarono il Roote. Non importava dove si trovasse. Non importava in che stato fosse. Non importava l’atmosfera intorno a lui.

    - Vediamo se veder morire la sua cagna gli scioglierà la lingua. -

    Lo aveva detto davvero. Di fronte a lui, come se il fatto di avere le mani legate potesse contenere James. Oh no. Non c’era riuscito il Lord Maggiore, quando lo aveva mandato in esilio. Non c’era riuscito il freddo, quando girava nudo. Non c’erano riusciti i Greyjoy, quando lo rincorrevano. Non c’erano riusciti i traditori, quando lo combattevano. Chi era quel miserabile, allora, che cercava di compiere una missione troppo più grande di lui. Di Sir James Roote, erede di Harroway, che aveva combattuto in lungo e in largo, che era diventato una figura di spicco di tutti i Sette Regni, risollevandosi dal vortice in cui era finito. No. Si sarebbe pentito ben presto di quella sua arroganza. Oppure sarebbe morto James stesso, ma combattendo.

    Aveva le mani legate, e troppa rabbia in corpo per poter tentare di liberarsi in quel preciso istante. Ma colse la palla al balzo. Quando vide il verme avvicinarsi al proprio volto, non ci pensò due volte, ed agì in un istante. Facendo forza su entrambe le braccia dietro la schiena, il Roote fece uno scatto (per quanto permettessero le catene) per azzannare qualsiasi parte scoperta della guardia (ndr. stavo pensando al collo o alla faccia, però non so le loro armature quindi lascio al mod la scelta), in modo così violento che avrebbe quantomeno stordito l’uomo. Oppure, se non stordito, avrebbe gridato così tanto da far intervenire qualcuno dall’esterno. Forse. Ma l’intento del Cavallo dei Fiumi era quello di far male. Ferire. Il più possibile. E ben venga se fosse riuscito ad azzannare il collo del malcapitato. Sarebbe morto nel giro di poco, con tutto il sangue sparso per la cella, e probabilmente un pezzo della sua carne tra i denti del Roote. Il quale avrebbe sputato a terra quel misto di pelle e sangue, pronto per trovare una strategia e liberare le proprie mani.

    Il fine non era solo quello di causare dolore, ma anche quello di spaventare gli altri. Con la bocca insanguinata, gli occhi pieni di odio e rabbia, chi avrebbe osato affrontare il Roote?

    457 parole.

    Attacco → 14*79/10 + corpo a corpo 5*3 + (potenza arma in attacco *(numero mani+1)/2) + liv. competenza Arte del Combattimento a Cavallo * 3 (se a cavallo) = 125.6

    L’attacco così forte serve anche per far impaurire eventuali altre guardie. Non ricordo se esistano dei calcoli, in ogni caso lascio tutte le statistiche qui:
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    - Intrigo: 47
    - Conoscenza: 9

    Inoltre, devo ancora aggiungere alla scheda tutte le ricompense ottenute precedentemente, ma penso che ormai essendo iniziata la role debba usare le statistiche presenti, senza aggiungere a posteriori le ricompense. Sbaglio?
  10. .
    Nonostante James (io) fosse estremamente impegnato, era apparsa in sogno una divinità superiore (Freene) che aveva destato il Roote dai mille impegni, e gli aveva fatto apparire una verità mai vista fino a quel momento: era necessario che il Cavallo dei Fiumi facesse qualcosa, qualsiasi cosa, per dare l'impressione di essere vivo e vegeto (in altre parole, devo postare per evitare di morire).

    Questa visione, quindi, fece preoccupare molto James, che di conseguenza iniziò a lavorare sodo (inserire lavoro a caso), affinché l'obiettivo fosse raggiunto (ovvero, non morire).

    In effetti, aveva ancora molto da fare, a partire dalla ricostruzione della propria casa fino al rapporto decisivo con Daeva, per avere un erede e rimanere Lord di Isola dell'Orso. Tuttavia, questi impegni erano al momento troppo gravosi, così il Roote decise di rimandarli a data da destinarsi (le faremo sapere), e, contento di aver pubblicato almeno un post per continuare a vivere, tornò immerso nelle proprie faccende.
  11. .
    Che dire, il qui presente narratore non avrebbe mai pensato che un semplice tentativo di procreare con Daeva facesse incazzare così tanto Putin da fargli scatenare una guerra. Si capisce la foga del momento e l'attrazione verso la Mormont, d'altra parte entrambi hanno molto a che fare con gli orsi, tra Isola dell’Orso, lo stemma dell’orso della Casata, e Putin che cavalca l’orso (potrei andare avanti per ore) , ma così è un tantino eccessivo no?
    Anche perché invadere l’Ucraina solo per non esser riuscito a raggiungere la Mormon per primo era un po’ come uccidere il Re perché il vicino di casa di Approdo non aveva salutato. Non c’entra un cacchio, direbbe Freene. Non c’entra un metalupo, direbbe il Lord del Nord. Non c’entra un cazzo, direbbe il narratore.

    Dopo siffatte premesse assolutamente necessarie per il prosieguo del post, con il duplice intento di raggiungere più in fretta le 600 parole e di ricevere il premio Nobel per la Pace, tutta l’attenzione si sarebbe finalmente concentrata su James (o così sarebbe dovuto essere). Tuttavia, dal momento che il moderatore era stato preventivamente avvertito delle modalità di risposta della coscienza di James (vale a dire totale improvvisazione e minima descrizione della role effettiva), concentrarsi solo sul Roote sarebbe stato certamente spiacevole e del tutto ingiusto nei riguardi del moderatore, a cui era stato appunto promesso tutt’altro (senza la sua vera approvazione, ma questo è solo un dettaglio inutile).

    Ebbene, nonostante la lettera arrivata fosse di per sé un buono spunto per una role decente, il semplice fatto che James (sempre me) non avesse mai avuto la minima idea che Irrihal appartenesse ai Fiumi… Riformuliamo: il semplice fatto che James non avesse mai avuto la minima idea di chi fosse Irrihal fino a due secondi fa, fa capire molto sulle reali conoscenze di ciò che avrebbe compiuto (assolutamente niente). Ma non c’era da stupirsi: numerose volte il Roote aveva compiuto azioni senza sapere cosa/come/perché/con chi/contro chi stesse facendo, solo che prima d’ora non era mai stato descritto in questo modo. E non prendiamoci in giro, non giudichiamo il povero James per questa sua condizione, poiché nessuno di noi è davvero senza colpe (salvo la sempre citata Freene, che invece sa così tante cose che mi maledice per quanto in realtà io non sappia niente). Vi potreste quindi chiedere, perché continuare a giocare se non si segue la storia? Fatevi i fatti vostri.

    Le richieste di Irrihal e della comunità fiumana erano quelle descritte nel post precedente, ed a James era stato assegnato il compito di pacificare tutti gli abitanti e fare un bel girotondo tutti insieme all’insegna della pace e donando soldi durante un concerto tenutosi per sensibilizzare le dure condizioni dei poveri fiumani (We are the world, we are the Fiumi). Per fare ciò avrebbe senz’altro dovuto interpretare la parte della rockstar di Westeros stile Freddie Mercury con a fianco tutti i vari Lord e le varie Lady che avrebbero formato il famigerato gruppo dei Queen-disiamoquiperaiutareifiumi (nome lungo direte voi, fatevi i fatti vostri risponderebbe l’autore). Tuttavia, dal momento che nessun membro della band si trovava ad Approdo del Re in quel momento (forse sì, ma mi sono già dimenticato i personaggi presenti elencati da Fre, e non ho voglia di cercarli di nuovo), e gli unici musicisti disponibili erano di categorie inferiori, il Live Aid Fiumi sarebbe stato posticipato a data da destinarsi, portando con sé l’abbandono del progetto da parte di James, che invece doveva agire in fretta per salvare i poveri fiumani (e prendere gli oggetti necessari per un’altra, l’ennesima, libera con Daeva).

    Il piano del Roote, una volta esclusa la prima scelta, sarebbe stato quello di travestirsi da testimone di Geova ed andare a tediare bussare ad ogni singolo vicino del luogo in cui si trovavano i fiumani (in questo specifico punto James non aveva la minima idea di cosa stesse scrivendo/facendo, poiché intento contemporaneamente ad ascoltare notizie sul troppo-ormonale-e-innamorato-di-Daeva Putin), chiedendo sul motivo per il quale non volesse accettare come fratello religioso un altro essere umano come lui, e minacciandolo delle ire funeste del potente Gesù nel caso in cui non si accogliessero i fiumani. Non solo: oltre a ciò, il Roote avrebbe anche dovuto diventare egli stesso un profeta, per riuscire a convincere gli abitanti del fatto che i suoi conterranei non fossero profughi, ma che in realtà fossero dei vincitori della guerra e si fossero stabiliti ad Approdo in quanto vincitori. Che equivale a dire “Non sono fascita, però…”. Ovvero: è una cazzata (oggi proprio on-fire eh).

    Tuttavia, come una brava giovane marmotta (?), il Roote avrebbe provato a convincere i vicini usando tutto il suo potere, la sua attrazione, le sue relazioni privilegiate con il Re ed altri Lord, la sua fama, il suo prestigio, e insomma avete capito. Tutto questo perché il giovane Roote non aveva avuto né voglia di creare una strategia diversa da quella vagamente proposta nel post precedente né aveva voluto descrivere nei minimi dettagli la cosa (giuro che è una situazione momentanea, poi tornerò a descrivere tutto. Forse).

    In ogni caso, qualcuno di voi potrebbe sostenere che una role del genere non sia valida, e sono qui per fare l’apologia del mio stile. Apologia necessaria in quanto con questo tentativo di spiegazione sono costretto ad avvisare i mod che anche il prossimo post con Daeva sarà sullo stesso stile. Chiamatela, se volete, Trilogia. Di seguito l’apologia: sfido chiunque a scrivere più di 900 parole di pura improvvisazione senza dire assolutamente niente (sì, so che non è un’apologia, ma se è per questo so anche che scrivere 900 parole è molto semplice, tuttavia mi serve per allungare maggiormente il brodo).

    Potrei quindi continuare questa saga molto a lungo, ma lascerò che le forze riposino per James Roote 3, la Vendetta (dopo rispettivamente James Roote 1, l’Apparizione ed il qui descritto James Roote 2, il Ritorno). Ringrazio quindi il caro Wukong per sorbirsi tutto… questo. Ma al Cavallo dei Fiumi servivano gli oggetti per poter godersi una notte di fuoco con la Mormont (alias pasticche blu), e questo era il prezzo da pagare per raggiungere l’obiettivo.
  12. .
    E dunque eccoci qui, nuovamente insieme, il lettore con il narratore, e James da una parte in attesa di sapere quale sarebbe stata la sua prossima mossa. Era evidente a tutti (tutti chi?) che il portafoglio del Roote, nonostante fatiche micidiali, fosse effettivamente molto poco pieno, e questo causava un problema di grande rilievo; senza denari, non avrebbe potuto comprare rimedi divini, altresì chiamati pillole blu della catena Pfizer-Irrihal, per poter ottenere il claim permanente su Isola dell'Orso.
    Il qui presente narratore, che avrebbe potuto descrivere la scena in modo molto preciso, era tuttavia posseduto da una pigrizia innata, e dal momento che per il primo post della libera oneshot non esistevano limiti minimi o massimi di parole, egli si sarebbe solamente limitato ad illustrare ai moderatori la richiesta di ottenere soldi, in modo da ottenere un PNG casuale che potesse dar lavoro al magnifico Cavallo dei Fiumi.
  13. .
    Il ritorno ad Approdo del Re era sembrato eterno, sia a causa della sua pressoché totale solitudine, nonostante la presenza dei suoi fedeli compagni, sia a causa dei traumi causati dalla battaglia per riprendere Harroway. La situazione appariva ironica, poiché figlia del medesimo evento, ovvero il dado allo stesso tempo malefico e salvatore di Albi: se da una parte la mano fatata del moderatore era riuscita nell’impresa di far riconquistare la propria casa ad un James molto poco attivo, dall’altra la vittoria portava con sé migliaia di morti (che per il bene della storia narrata faremo finta siano evaporati nel nulla per intervento divino). La catastrofe quindi avrebbe dato inizio ad una valanga di conseguenze spiacevoli, come l’avvertire i vari Lord (quelli rimasti in vita) che i propri eserciti erano stati spazzati via da una banda di barboni fanatici (bisogna ricordare che James non aveva idea di chi fossero i nemici, poiché si era bloccato all’inizio dell’assedio) e dalle truppe Roote traditrici, molto probabilmente per gelosia nei confronti della magnificenza del Cavallo dei Fiumi.
    Ebbene, durante il ritorno verso Approdo, che non faceva altro che testimoniare l’autoproclamato titolo poc’anzi menzionato e mai ufficialmente concesso dai moderatori, giacché non aveva avuto neanche il tempo di pulirsi dal sangue che subito aveva dovuto rimettersi in marcia, non ebbe modo di parlare molto, poiché i suoi compagni erano alle prese con pensieri simili (meno l’assillante dubbio di come sarebbe andato tutto se la mano di Albi fosse stata ancora più fatata, anche se va già ringraziato così). Il tempo per pensare, invece, era molto. Non che ci fosse molto altro da fare durante il viaggio, tuttavia i giorni per postare una libera che concedesse a Freene il privilegio, l’onore ed il sommo piacere di fare un tiro bimbi stavano giungendo al termine, cosicché il viaggio venne velocizzato e James (o chi per lui) dovette affrettarsi a scrivere un post semi decente.

    Arrivato ad Approdo, si ritrovò davanti una scena impressionante: non che ci fosse niente di particolare, tuttavia la voce narrante del Roote non aveva idea della situazione della città. Non sapeva cosa fosse successo o come si presentasse dopo la guerra, dato che non avendo avuto tempo per finire la propria quest, figuriamoci se ne avesse avuto per leggere quelle degli altri. Inoltre, a questo si aggiungeva l’inclinazione a non interessarsi delle quest altrui e fare affidamento sui riassunti salva vita della già citata Freene, che tuttavia in questo caso non erano presenti (o non erano stati letti). Per questo il narratore prese la licenza di descrivere la situazione come impressionante, tanto qualcosa di sconvolgente ad Approdo del Re c’era sempre.
    Se questo fosse stato un post serio, avrei descritto tutto nei minimi particolari, compreso i pensieri del viaggio; però, come potete capire, James era ad Approdo solo per due motivi, ovvero far fare il tiro bimbi a Freene e, notizia dell’ultima ora, fare una role con il Re e il fedele amico Caleb (no, non il cane. E no, non la smetterò mai di fare questa battuta). Tuttavia, già il fatto di teletrasportarsi magicamente in un luogo diverso vi fa capire il livello di questa libera, e quindi prenderemo per buono l’arrivo in città di James e la sua sistemazione, nonché l’incontro strappalacrime con Daeva, che nonostante gli interminabili appelli a lei rivolti da parte del narratore per tornare, aveva deciso di abbandonare spiritualmente (ma non fisicamente) il continente.
    In questo contesto, il qui presente narratore avrebbe dovuto descrivere l’unione di James e Daeva, una png fredda che ben poco aveva a che fare con la reale Daeva degli albori, colei che si divertiva a sgozzare isolani, bere il loro sangue e gridare abbasso la monarchia (il famoso Corona-virus, N.d.R.). Probabilmente se la Mormont fosse stata presente spiritualmente la libera sarebbe stata ben più articolata, dettagliata e spiritosa, tuttavia la freddezza con cui il personaggio aveva accolto James (scaturita dal fatto che il narratore aveva richiesto ai mod una libera oneshot, per non dover interagire e per scrivere quello che voleva, e dal fatto che non era stato descritto in alcun modo il personaggio di Daeva all’interno di questa role) aveva fatto sì che l’intera libera fosse stata scritta da un’unica mente e con solo tre obiettivi in mente, nessuno dei quali di carattere sessuale; per prima cosa, vi era l’ormai noto desiderio di Freene. In secondo luogo, James voleva ricevere per forza di cose il titolo Cavallo dei Fiumi, ma aveva deciso di non scrivere niente di rilevante per aggiudicarselo, ma solamente sottolineare questo desiderio (Freene, parlo con te, un desiderio esaudito a te ed uno a me). In terzo luogo vi era l’ennesima richiesta di cambiare il volto della madre dei Roote, tramite una piacevole operazione divina.

    Vi chiederete come mai il narratore abbia deciso di non descrivere nei dettagli l’unione con Daeva. Probabilmente, i più veterani si saranno domandati “perché con Daeva no, e con Elisabeth, che era ancora più PNG dei PNG, sì?” Ebbene, purtroppo non esiste risposta, e Alberto Angela non si trova a Westeros per illuminarci sui misteri del mondo, e quindi saremo costretti ad andare avanti nella storia. Inoltre, leggendo il titolo appare subito chiaro come il narratore-James sia estremamente addolorato per la perdita della compagna: descrivere vicende sessuali con una quasi-morta è sicuramente di cattivo esempio, nonché macabro e scandaloso, funereo, tetro, spettrale e lugubre, con un aggiunta di immoralità, indecenza ed oscenità (grazie Treccani).

    Va detto, ad onor del vero, che la suddetta libera era stata scritta con un obiettivo ulteriore rispetto al semplice soddisfacimento del desiderio dei moderatori. Per la precisione, tale secondo motivo era la possibilità di procreare e non perdere il controllo di Isola dell’Orso, almeno momentaneamente, per poter poi decidere con calma i progetti futuri, ma senza privarsi a priori di un seggio. Fu così, con queste motivazioni e con questo preambolo, che una volta arrivato ad Approdo del Re ed essersi incontrato con Daeva in una lacrima strappastoria, giunta la notte i due protagonisti decisero di tornare nella camera a loro assegnata, godendosi quei momenti di intimità e segretezza altresì chiamati sesso sfrenato con un PNG (chi non vorrebbe provare l’ebrezza?).

    Finì così la storia d'amore descritta in maniera quasi seria tra James e Daeva, portata avanti fino alla sua decisione di emigrare spiritualmente, e conclusasi con un post di siffatte dimensioni (modeste) e di altrettanto modesta pregiatezza. A meno di ritorni clamorosi, il narratore avrebbe anche potuto descrivere la fine ingloriosa di Daeva, ma non avendo voglia avrebbe terminato qui il suo post, con somma tristezza e (altre parole di Treccani che non ho più il piacere di cercare). Ordunque addio Daeva, insegna agli angeli ad ascoltare senza un orecchio.
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    Altre truppe fresche arrivavano; non tutti i Roote avevano tradito ed anzi, James si stupiva di quanti effettivi avesse a disposizione, sia in quel momento sia in totale prima della guerra. Non aveva mai riflettuto realmente sul numero, dando per scontato che fossero pochi, troppo inferiori rispetto alle altre casate. Eppure, in quel momento, quando aveva necessità di ogni uomo disponibile, ogni soldato in più sembrava una ricchezza.
    Si girò di nuovo verso la Torre Storta; la guardava molte volte, forse più per coscienza che per controllare sul serio cosa stesse accadendo. Quello che aveva richiesto, il suo incendio, non importava molto ai fanti sul terreno, di territori diversi. Ma il Cavallo dei Fiumi si chiedeva ripetutamente se quanto stesse facendo fosse giusto; era cresciuto con quella locanda, che rappresentava in un certo senso Harroway. No, l’avrebbe fatta ricostruire, ma in quel momento non aveva bisogno di freni sentimentali. Doveva riconquistare la propria casa prima di poter pensare di aggiustarla.
    Capì che il fuoco spaventava i soldati, vide tutti loro girarsi verso la locanda, come se all’improvviso una divinità avesse deciso di bersagliarla con il fuoco. Non voleva che il panico si propagasse nell’esercito, e sperava che la presenza di Lord Mooton sul campo fosse sufficiente per non far distrarre coloro che si trovavano sotto le mura. Gli altri, vicino alla taverna in fiamme, erano sufficientemente imbevuti di sangue e di furia per non preoccuparsi, continuando a combattere e lanciare fiaccole.
    James osservò con piacere che le scale erano appena state fabbricate; non era ancora sceso in prima persona in battaglia per un semplice motivo: sapeva bene che il vero scontro si sarebbe combattuto all’interno delle mura, e non fuori. Quello che era accaduto in quegli istanti -compresa la lotta alla Torre Storta- non rappresentava altro che un preambolo; lo stesso era successo durante l’assedio di Delta delle Acque, solo che adesso non aveva Caleb a disposizione.

    -Signori, è giunto il momento! Portate le scale sotto le mura, si inizia la scalata!- gridò con rabbia e furore il Roote, cercando di trasmettere la stessa determinazione ai soldati. Su quelle dieci scale sarebbero saliti in tutto circa duecento uomini, sufficienti forse per creare una prima testa di ponte sulle mura, lasciate sguarnite dai nemici. Tuttavia, aspettava con impazienza che fosse completato l’ariete, per poter avere il vantaggio effettivo dato dal numero dei suoi soldati.

    -Prima che i fanti portino le scale e salgano; arcieri, voglio un cielo coperto di frecce!-

    Disse agli arcieri. Aveva bisogno di pulire qualsiasi residuo rimasto sulle mura, prima di far iniziare la scalata ai soldati; in quel modo, avrebbe potuto uccidere qualche altro soldato (se fosse stato sulle mura) prima di far salire i suoi.

    455 parole.

    - 140 fanti Mooton (più il Lord) e 60 fanti Roote scalano le mura
    - Gli arcieri sparano una salva di frecce prima che i soldati portino le scale
    - I 300 soldati di prima fanno altre 10 scale
    - 240 fanti, 100 arcieri, 50 picchieri e 40 cavalieri Roote attendono
    - I 610 fanti rimasti (oltre quelli impegnati in battaglia) continuano ad attendere

    Ho fatto un contro generale per capire quanti soldati a disposizione ho, tra Roote e fanti non impegnati in battaglia, dimmi pure se ho sbagliato qualcosa.
  15. .
    Vide tornare Jon di gran carriera, e non fece in tempo a voltare lo sguardo che una notizia improvvisa, ma facilmente intuibile, lo raggiunse. I soldati nella Torre Storta erano Roote, non solo Smallwood. Questo significava che anche all’interno delle mura non tutti erano nemici, ma anche soldati della sua stessa Casata. Traditori.
    Non tutti si erano uniti a quei vigliacchi, a testimonianza di questo vi erano gli arcieri che stavano bersagliando le mura, trovati nel bosco. Molti altri probabilmente si erano nascosti nei dintorni di Città di Lord Harroway, eppure molti altri erano passati subito dalla parte del nemico, senza difendere la propria patria o quantomeno scappare per poi potersi ricongiungere con i lealisti. Una furia cieca si impossessò di James, il quale avrebbe voluto rompere con le proprie braccia il portone della città, così da poter entrare ed uccidere tutti coloro che avevano osato valicare i territori del seggio familiare. Rimase comunque fermo, sapeva che avrebbe dovuto riprendere Harroway con l’intelligenza, e non con la sola forza bruta.
    I corni di guerra provenienti dall’interno delle mura lasciarono presagire una sventura; cavalieri nemici si stavano dirigendo contro gli arcieri, cercando di ucciderne quanti più possibile. Cos’era quella, disperazione? Avevano mandato a morire decine di cavalieri, richiudendo subito le grate. Ma non poteva perdere tempo a riflettere. Guardò subito i fanti che attendevano poco sotto; era il momento della loro entrata in azione.

    -Lord Mooton, prendete 200 uomini e portateli di fronte agli arcieri! Fate in modo di uccidere i cavalieri che si trovano lì.-

    I soldati, insieme al loro capo, avrebbero fornito una protezione sufficiente contro i cavalieri, e la presenza di Lord Mooton avrebbe garantito a tutti quegli uomini una figura di riferimento; un capo che combatteva con loro.
    Ma il ritiro dalle mura dei nemici aveva aperto una nuova parte dello scontro: non era più possibile battersi a distanza.
    Fu così che iniziò ad impartire gli ordini al resto dei fanti che attendevano. 300 di loro avrebbero dovuto costruire rapidamente 10 scale, così da poter iniziare a scalare Harroway e far valere la superiorità numerica. Non solo, perché altri 90 soldati avevano il compito di costruire un ariete, così da sfondare definitivamente il cancello.
    Volse poi lo sguardo verso la Torre Storta. Quella deviazione stava facendo perdere uomini al contingente lealista, ed in più tratteneva un contingente importante lontano dal luogo centrale dello scontro. Bisognava fare qualcosa di più, qualcosa che avrebbe fatto capire l’assoluta tenacia del Roote e dei Lord. Con le sole armi avrebbero impiegato troppo tempo ad annientare i nemici, tutti nascosti nella locanda.
    Ordinò quindi a quei soldati di accendere delle fiaccole e buttarle sia sopra la taverna, sul tetto, sia lanciarle dentro la locanda. Se non le fiamme, ci avrebbe pensato il fumo ad intossicare i soldati nemici. Era chiaro dunque che nessun soldato lealista sarebbe dovuto entrare; il loro compito, a quel punto, sarebbe stato uccidere chiunque avesse provato ad uscire dalla locanda, e continuare a gettare all’interno fiaccole incandescenti.
    I Frey, invece, avrebbero dovuto evitare la carneficina. Il loro compito era unicamente di distrazione. Se avessero tenuto lì i nemici sotto pressione, ma senza morire, avrebbero portato a buon fine il loro dovere.

    536 parole.

    Lord Mooton e 200 fanti cercano di uccidere i cavalieri e si mettono a protezione degli arcieri
    300 soldati costruiscono 10 scale
    90 soldati costruiscono 1 ariete
    I soldati alla taverna insieme al Bracken cercando di far incendiare la locanda lanciando innumerevoli fiaccole e sempre circondando l’edificio, così da uccidere coloro che provano a scappare.
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