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Posts written by edate7

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    tunedguy57
    Dei Quicksilver DEVI assolutamente avere "Happy Trails", "Quicksilver" e, secondo me, anche "Shady Grove". Buoni ascolti....
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    Adesso è il turno dei misconosciuti, almeno sotto il loro nome di band psichedelica, dei "Frumious Bandersnatch". Hanno prodotto solo un EP (autoprodotto) e un album nel 1968 pubblicato però nel 1996 (A Young Man's Song). Completamente disinteressati alla rivoluzione sociale di quegli anni frementi, erano degli ottimi musicisti che trovarono poi posto alcuni nella Steve Miller Band (David Denny, Jack King, Bobby Winkelman, Ross Valory) che insieme a George Tickner costituirono il primo nucleo dei Frumious, mentre Tickner raggiungerà Schon e Rolie (dai Santana) nei Journey. Il loro LP è un insieme di cavalcate furiosamente acide e chitarristiche insieme a qualche brano primigenio della band. Niente di memorabile (si ispirano musicalmente ai Quicksilver Messenger Service ma senza minimamente raggiungere questi maestri), ma una band sicuramente curiosa...
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    E' un libro molto bello e, ahimè, attualissimo in molte parti del mondo.
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    Vero, riprendere queste vecchie registrazioni mi sta facendo ringiovanire! E che musica! :b:
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    lucior
    L'importante è che tu stia bene e "adesso". La musica psichedelica è roba (molto buona) di almeno 55 anni fa.... :P :D
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    Nel 1968 piomba sulla scena psichedelica californiana il secondo album dei "Kaleidoscope", il mitico (allora come adesso) "A Beacon From Mars". Il gruppo dei Kaleidoscope era formato da cinque musicisti (al basso Chris Darrow, violinista e tastierista Fenrus Epp, voce solista Solomon Feldthouse, chitarrista David Lindley, alla batteria John Vidican) che si caratterizzano per l'uso, assolutamente rivoluzionario all'epoca, di strumenti diversi e mai utilizzati prima - il "tabla", ad esempio - e per la miscela unica di melodie provenienti dalle parti più disparate del mondo. Nel loro capolavoro, appunto "A Beacon From Mars", la straordinaria capacità musicale e creativa dei cinque si estrinseca in due lunghissimi brani, "Taxim" - da molti considerato il loro zenit - e il brano che dà il titolo all'album. Due brani etno-psichedelici straordinari: il primo, caratterizzato da un crescendo musicale che sembra non avere fine, il secondo, più acido, dove appare per la prima volta l'uso dell'archetto di violino sulla chitarra, antesignano dell'uso che ne farà in futuro Jimmy Page. Gli altri sei brani dell'album non sono dei semplici comprimari, anche se non all'altezza dei due citati, ma completano il quadro di una band eclettica che si scioglierà nel 1970, dopo altri due, ininfluenti, album. Troppo complessa la loro proposta musicale per avere un valido riscontro commerciale sia pure in un mondo musicale che stava rapidamente evolvendosi verso forme diverse di espressione e di comunicazione. Peccato, se solo avessero venduto di più...

    Edited by edate7 - 8/5/2024, 15:50
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    Parliamo adesso dei "Blue Cheer", considerato (non a torto) uno dei gruppi "seminali" della psichedelia west-coast anche se non hanno avuto il successo che avrebbero sicuramente meritato. Tratto caratteristico della loro musica era l'uso di una chitarra elettrica distortissima suonata a tutto volume, un batterista travolgente - ricorda un po' Keith Moon - un bassista (che è anche il fondatore del gruppo) che detta metronomicamente le orge sonore.
    Il primo, indimenticabile disco (da avere per tutti gli amanti del genere) è assolutamente il primo, dal titolo in un improbabile latino: "Vincebus Eruptum", 32 minuti di musica vomitata a volumi assurdi sul malcapitato ascoltatore. Ad un primo approccio, il disco sembra un opera di Hendrix: stesso tipo di chitarra distorta, registrazione piuttosto approssimativa, si nota "solo" subito che manca il virtuosismo geniale di Hendrix, ma per il resto, all'ascolto distratto, potrebbe sembrare un bootleg di Jimi. Non è diminutivo, questo, anzi è indice di un percorso proprio sulla strada della psichedelia dettata dall'uso di strumenti distorsissimi costituenti un muro di suono: molti musicisti li giudicano gli antesignani del genere "stoner" (si nota particolarmente nel brano "Out Of Focus"). Il disco è molto bello, specie il primo brano (una cover acidissima di "Summertime Blues" di Eddie Cochran). A questo disco sarebbe seguito, pochi mesi dopo come era spesso nell'urgenza rappresentativa del proprio status creativo, il secondo album ideale complemento del primo, molto bello ma appena sotto all'esordio fulminante, dal titolo "Outsideinside" da avere come completamento della fase più acida dei Blue Cheer. I nostri incideranno in totale sei dischi, con gli ultimi tre meno importanti dei primi tre (il terzo da avere è l'eponimo "Blue Cheer") per le nostre analisi, ma significativi dell'evoluzione del gruppo verso il gusto corrente dell'epoca.
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    Lucio, sapevo (o meglio, confidavo) che ti sarebbe piaciuto. Da giovani si ascolta, qualche volta, distrattamente (io mai, ero troppo maniaco con la musica per "distrarmi"); da grandi si prestano più attenzioni a suoni per di più oggi, purtroppo, dimenticati.
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    Può darsi, Lucio. All'epoca, era abbastanza usuale trovarsi di fronte musicisti meno preparati (almeno all'inizio della loro carriera) ma più pervasi da una sorta di furore iconoclasta contro il sistema. Tutti si improvvisavano, chi più chi meno; bastava avere qualcosa da dire e si incideva un disco. Ma non tutti riuscivano a trovare la loro strada: soprattutto in quegli anni sorgevano gruppi (e, spesso, "che" gruppi) quasi ogni giorno: farsi spazio era veramente difficile, dovevi essere sia stilisticamente che artisticamente sopra gli altri. Il paragone con la musica suonata e cantata oggi è impietoso: oggi non si inventa niente, o meglio, basta essere di bella presenza, un buon/ottimo ballerino(a) e il successo ti arride. Poi se non sai cantare e non sai suonare non importa quasi a nessuno e questo spiega il successo dei Maneskin che, almeno, sanno suonare strumenti veri e non campionamenti più o meno scimmiottati... i Maneskin fanno notizia perchè sono UN gruppo moderno che sa suonare (attenzione: ce ne sono anche altri, ma sono abbastanza fuori dallo star-system usuale e non sono stati pompati dalla Casa discografica come i Nostri), ma negli anni 50-60-70 TUTTI sapevano suonare e/o cantare, c'era un esplosione quotidiana di idee che hanno portato alla musica così come la conosciamo. Pensare, oggi, a creare musica psichedelica è da fuori di testa: non ci sono più le ragioni, nè quelle politiche, nè quelle più strettamente musicali.
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    Propongo adesso un gruppo della scena americana di San Francisco pressocchè misconosciuto anche se ormai diventato di culto: i KAK. Furono autori di un solo album nel 1969 (dal titolo "Kak" o "Kak-Ola", non ho mai capito), piuttosto ispirato ai primi Quicksilver Messenger Service, a Donovan, a qualcosa dei Grateful Dead. L'album, come dicevo oggetto di culto (io ce l'ho registrato in cassetta quasi "ai tempi") è stato ripubblicato una ventina d'anni fa in CD con l'aggiunta di alcune tracce bonus.
    Il disco oscilla tra la psichedelia sognante dei Quicksilver ("Disbelievin' " ) con brani più legati alla tradizione folk-rock californiana ("I've got time", "Flowing by") o a qualche episodio più lungo e lisergico ("Trieulogy: Golgotha/Mirage/Rain"). Ascoltato oggi, pur nella sua ingenuità, ci si chiede come i KAK non abbiano sfondato seppur supportati da un gigante della discografia americana come la Epic Records: la loro musica è molto varia, non originalissima ma pienamente calata nel periodo: basti guardare anche la copertina del disco, in tradizione "figli dei fiori". Gli esecutori sono parecchio bravi, specie, a mio giudizio, il bassista (Joe Dave Damrell) e il chitarrista (Dehner Patten). Il fondatore dei KAK Gary Lee Yoder, chitarrista ritmico, allo scioglimento degli stessi qualche mese dopo la pubblicazione dell'album, visti gli scarsissimi riscontri commerciali, confluirà poi nei Blue Cheer, altra band significativa del panorama psichedelico americano.
    (segue)
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    Grazie, Federico.
    Continuerò, perchè sono appassionato di musica rock pur sapendo suonare a malapena il campanello di casa. Ci sono ancora una ventina (o forse più) di gruppi da sviscerare, da quelli più conosciuti alle piccole perle nascoste...
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    Continuo l'analisi della musica psichedelica con un gruppo ben più conosciuto dei Blues Magoos il cui destino, travolgente nel secondo e terzo album, vide in questi soli tre episodi (altri album furono incisi con formazioni profondamente cambiate rispetto ai primi tre album) l'apice dei Love. Gruppo molto significativo nell'evoluzione della musica psichedelica americana, ebbe il merito di cogliere le ansie e anche le stanchezze del "flower power" tipico di quei tempi. I Love erano capitanati da Arthur Lee, un musicista scomparso nel 2006, triste destino che accomuna tutti i Love originali tranne il batterista del gruppo, Michael Stuart, ormai votato ad una nuova vita come fotografo.
    Gli album fondamentali per farsi un'idea del gruppo sono il secondo, "Da Capo" del 1967, un album molto complesso, che presenta una psichedelia mischiata con jazz o addirittura con melodie barocche anche mediante l'uso di strumenti a fiato e il loro capolavoro "Forever Changes" sempre del 1967 pubblicato nel bel mezzo della stagione dell'amore; ogni brano del disco è però pervaso da forti temi di solitudine, aspetto che faceva un po' specie nel momento di esaltazione collettiva che rappresentavano quegli anni di "peace love and music". In questo disco dei Love si può poi addirittura intravedere, nelle pieghe di una psichedelia oserei dire quasi barrettiana, i primi vagiti di quel movimento e di quella musica che sarebbe esplosa, specie in Inghilterra, sotto il genere "progressive". I Love si scioglieranno ufficialmente nel 1970, ma di fatto erano già evaporati dopo "Forever Changes" del 1967.
    (segue)
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    Ciao a tutti.
    Come sapete, negli anni dal 1967 al 1971 venne fuori prepotentemente, sia sulla spinta di droghe "creative" - LSD - allora non ritenute dannose (e invece lo erano, eccome) che dei movimenti socio-politici del tempo, un filone di musica molto interessante conosciuta come musica psichedelica, che ha avuto grandissimi esponenti più in America che in Inghilterra; basti citare i Jefferson Airplane, i Quicksilver Messenger Service, i Grateful Dead, Jimi Hendrix... "di qua" i primi due album dei Pink Floyd, qualcosa dei Cream...

    Se avrete pazienza, il mio vuole essere un piccolo viaggio (non esaustivo, ovviamente) nella pletora di gruppi e gruppetti, quasi misconosciuti, spesso nel loro piccolo estremamente significativi specie nel prosieguo di alcuni generi presenti ancora oggi nel rock con nomi diversi. Ogni osservazione, e/o aggiunta, sarà ovviamente benvenuta.
    Comincio le mie segnalazioni con un i Blues Magoos.

    Un disco molto significativo dei Blues Magoos è la loro opera prima, "Psychedelic Lollipop", che definirei "proto-psichedelico" (ascoltare, in questo bell'album del 1966, la traccia "Love Seems Doomed") e che contiene una hit, ripresa l'anno dopo dagli inglesi "The Spectres" (poi diventati Status Quo), la celeberrima "(We Ain't Got) Nothin' Yet" il cui riff ispirerà i Deep Purple nella loro "Black Night".

    I Blues Magoos furono i primi, insieme ai 13th Floor Elevator, ad usare il termine "psichedelico" nella copertina di un loro disco nel 1966, un anno prima della nascita "ufficiale" del movimento della musica psichedelica che durerà, come detto, quattro intensi anni per poi tramontare mestamente. Oltre questo primo album, i Blues Magoos incisero altri due dischi di inediti prima di sciogliersi definitivamente nel 1968.
    (segue)
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    Jure Pompa
    Questo è lo smagnetizzatore.
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    Compra quello che costa meno, sono tutti uguali.
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    Potrebbe essere, Federico, però lo smagnetizzatore è sempre utile…
434 replies since 1/3/2014
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