| CITAZIONE I Passi perduti Caminito, qua el tiempo,haborrado…” (dal tango argentino “Caminito”)
Al parco Ruffini, quello che io chiamo il mio sentiero dei passi perduti, un tappeto soffice di foglie gialle che mi accompagna via via fino all’ingresso del Palasport e dopo una rampa di scale si trasforma nel verde vivo del contorno del campo da gioco, il mio praticello. Sul mio praticello cammino e raccolgo le idee mentre i giocatori effettuano il riscaldamento, il mio praticello calpesto nervosamente durante le fasi più concitate delle partite.
Tra arrivo e partita, il rituale è il solito. Lasciare il giubbotto nell’attaccapanni all’angolo dello spogliatoio, scrivere sulla lavagna la formazione avversaria con le nostre marcature abbinate, disegnare i principali schermi d’attacco dei rivali, attendere che il massaggiatore Roberto finisca il lavoro di bendaggio e massaggio, controllare che tutti i giocatori siedano quietamente e siano in grado di prestare attenzione. C’è il discorso di rito, il riassunto del lavoro compiuto in settimana, le indicazioni per la gara imminente, le disposizioni speciali, le raccomandazioni individuali, e si cerca anche di toccare i tasti che ispirano la sinfonia giusta nello spirito del singolo e del collettivo. Nell’ora e mezza di guerra non c’è tempo di meditare su quando sia impietosa la guerra stessa. Non ci sono santi, ci debbono essere vincitori e vinti. Non è un lavoro d’ufficio, questo, non c’è routine; non è lavoro d’artista, non ci sono pennellate di rifinitura; non è neppure una battaglia, dopo la quale a volte non risultano né vinti né vincitori. E’ una piccola guerra, dalla quale escono inevitabilmente trionfatori e sconfitti. La vittoria da sempre e comunque una sensazione di esaltazione, di euforia, di leggerezza, di felicità. La sconfitta…. eh, la sconfitta è come una ragnatela appiccicosa e schifosa che si attacca addosso, è una sensazione sgradevole, come quando sei vestito con abiti pesanti e all’improvviso viene un gran caldo e tu sudi e soffochi e magari sei in treno e sai che la doccia è lontana milioni di anni luce. La sconfitta è come una notte resa insonne da dolori lancinanti, allo stomaco, e tu non hai più pastiglie, è come la sete quando il frigorifero non funziona e dal rubinetto cola acqua giallastra. Ma non è niente di più. Non è una tragedia, nessuno muore, nessuno è ferito gravemente. Si può pure rimediare ad una sconfitta, basta analizzarla con calma, capirne le cause, pensare e predisporre i rimedi. Possibilmente il giorno dopo, quando la mente è più fredda. Al massimo un’ora dopo la fine della partita bisogna tornare in sé. Dire: “Ma io quando perdo divento pazzo, soffro come un animale ferito, non mi controllo”. Se sei fatto cosi, amico mio, non vivrai a lungo. E neppure allenerai a lungo, te lo garantisco. E’ questione di scuoter via le ragnatele, di arrivare a casa e fare la doccia, di arrivare alla farmacia di turno e procurarsi le pastiglie, di sopportare un po’ di sete. Non si può allenare con continuità ed efficacia nel tempo, se non si ha la capacità di discernere, se si è preda delle passioni, se non ci si rende conto in quale realtà viviamo. I problemi veri sono quelli esistenziali, è già così difficile vivere in armonia con la natura. Anch’io mi lascio travolgere, ma da cose che sono al disopra della mia capacità di comprendere. Guardo in TV “Quark” e mi sconvolgono le immagini trasmesse da un Mariner che sorvola a bassa quota Marte. Osservo anch’io la nebulosa che è al centro di Orione e mi sento perdere nell’infinito. Cerco di stare con i piedi per terra, di vivere nella natura a me più vicina, e magari mi sommerge un’ondata di tenerezza alla vista occasionale di un micetto odi un cagnolino. Natura, vita, specie, evoluzione, universo, estinzione, razze: Dio, come mi gira la testa! Per fortuna esiste il mio sentiero dei passi perduti che imboccherò per molti mesi ogni due domeniche, sotto i piedi un tappeto prima giallo oro poi verde prato, sul capo prima un soffitto di rami e foglie intrecciati, poi una cupola luminosa. E nel cuore un senso di angoscia per l’avvenimento imminente, ma una pace smessa dalla coscienza del dovere ti ma n a. Chissà, forse sarà cosi il sei accompagnerà verso la nera incoscienza della morte o verso più improbabili Campi Elisi.
Il poeta o vulgo sciocco…La primavera produce i fenomeni più strani, come il raffreddore da fieno, lo sbocciare dei fiori, il germoglio delle piante; fa nascere l’amore, provocare udori e tremori, le ginocchia traballano, il capo gira. Nel quadro di questi fenomeni primaverili, io vengo colto da un attacco pseudopoetico. I miei lettori mi perdonino e mi compatiscano.
Dido Guerrieri
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