Spedizione a Socorro
Tutta la storia del mio viaggio in Mar Rosso, di cui ho raccontato abbondantemente, abusando della pazienza dei lettori, era partita da lontano, molto lontano. Non voglio fare la cronistoria, perché potrei ripetermi, ma sicuramente, leggendo qua e là, si possono capire i meccanismi e i successivi passi, che mi hanno portato a conoscere determinate persone e che, di conseguenza, mi hanno favorito nel riuscire a vedere posti che mai e poi mai avrei potuto sperare di visitare.
Generalmente, le nostre avventure cominciavano con una telefonata. Per me quella volta arrivò da oltre oceano e, più o meno, era di questo tenore: “ ciao Ferdi, fra quattro giorni andiamo in Baja. Se il tempo mantiene, proseguiamo per Socorro. Dimmi quando arrivi, che mando l’autista a prenderti.”
Dire di no sarebbe stato molto maleducato, per cui non restava che aderire all’iniziativa, cercando di non farsi ammazzare da moglie e clienti. D’altra parte “si vive solo una volta”e altri amabili detti dello stesso tenore, erano la roccaforte da cui difendevo la mia traballante ragione per potermi andare a fare due settimane da Dio, in posti dove i pesci si pesavano con la bilancia della pesa pubblica!
Fu così che dopo il solito lunghissimo volo che attraversava un pezzo di Europa, l’Oceano Atlantico e tutti gli Stati Uniti, arrivai a Los Angeles dove venni prelevato e trasportato a velocità folle a Newport, dove avevamo appuntamento per imbarcarci. Almeno così pensavo. Invece una volta arrivati, mi resi conto che il programma prevedeva un party per il viaggio inaugurale dell’Osprey. Perciò niente storico gruppo di pesca sub zozzoni, scalzi, in manica di mutande e pronti a tutti i tipi di casini immaginabili. No, niente di tutto questo. I partecipanti alla festa, almeno quelli che non sarebbero partiti in crociera, erano tutti tirati a lucido: blazer di rigore per gli uomini e le signore pronte per una sfilata di alta moda, come per un avvenimento della massima importanza sociale. Io ero l’unico in braghe corte e maglietta.
La musica era fornita da una band di quattro musicisti, che spaziavano dai Beatles a Sinatra.
Jim ci spiegò, tra una coppa di Dom Perignon del ’75 e l’altra, che stavamo festeggiando la realizzazione di un sogno cominciato tanti anni prima. Un sogno che si chiamava “Osprey”, appunto. Effettivamente quella barca era una meraviglia. 30 metri di alluminio fuori tutta, larga 7, con un albero di 35 metri, era nata e cresciuta nei cantieri Stephens di Stokton (San Francisco) tre anni prima. Aveva tutte le comodità che si potessero desiderare, più qualcun’altra. Aria condizionata, forno a microonde, tre frigoriferi e due freezer. Lavastoviglie e lavabiancheria con essiccatore; quattro bagni con doccia e uno con l’idromassaggio!
Due gruppi elettrogeni fornivano l’alimentazione elettrica a tutto questo ben di Dio. Poi c’era un compressore e un bombolone sempre carico di aria compressa, per garantire una rapida ricarica degli autorespiratori.
Quattro cabine, una per l’equipaggio, tre per gli ospiti con tre cuccette l’una e quella del comandante con letto matrimoniale, garantivano una sistemazione da grande albergo agli occupanti.
Lo spazio sottocoperta era occupato da un ambiente soggiorno-camera da pranzo-cucina, che era una bellezza per l’arredamento, arricchito da due enormi pannelli di cristallo su specchi, con incisi dei barracuda che nuotano in branco su una formazione di coralli. Il tutto illuminato da finestre, che non osavo definire oblò, con vetro fumè.
Naturalmente nel salotto c’era l’impianto stereo, due televisori, la macchina per fare il ghiaccio, un aggeggio che ci dava in continuazione le previsioni meteorologiche, con tanto di carta degli Stati Uniti presa dal satellite.
Moquette bianco crema dappertutto, prudentemente ricoperta di tela per limitare i danni provocati dal futuro passaggio di pesci sanguinolenti.
In coperta avevamo due gommoni “Avon”, uno di quattro e l’altro di cinque metri, con Evinrude rispettivamente da 50 e 75 cavalli. E due jet ski, per i più depressi!
Tutta questa elencazione delle attrezzature di bordo e delle varie comodità, nonché dei sofisticati apparecchi (era il 1983!) per la navigazione, l’ho fatta per sottolineare che razza di fortuna avevo avuto a conoscere quelle persone. Una cosa è andare in posti primitivi con mezzi limitati e approssimativi. Ben altra è quella di avere tutte le comodità e attrezzature a portata di mano, senza rinunciare quasi a nulla. Meno romantico, d’accordo, ma ci si poteva stare!
Il party andò avanti fin verso le 9, poi rimanemmo solo noi “pescatori”. Avevamo fame, così trovammo un ristorante dove mangiammo delle costate di bue e patate al forno, bevemmo uno Zinfandel californiano, che combinato al Dom della festa, una volta tornati a bordo, ci consegnò a Morfeo con leggera piacevolezza.
Meno piacevole fu il risveglio, perché qualche litro di vino (a testa!) era difficile da metabolizzare. Per di più la giornata era una vera ciofeca: a parte un ventaccio teso, una pioggia battente si rovesciava su di noi, colpendo la tuga del motor sailer con dei goccioloni sproporzionati. Non male come inizio di una crociera!
Parlando di crociera, dovevamo ritoccare gli ultimi preparativi, specialmente quelli riguardanti la cambusa, perciò andammo a fare la spesa in un supermercato lì vicino, dove non mi parve vero trovare autentica pasta italiana, tra le migliori, sotto forma di penne e spaghetti.
“ Mai andare a Socorro sguarniti di avvolgibili e maltagliati” (Famoso proverbio a sud del Tropico del Cancro!)
Acquistammo anche il necessario per festeggiare il compleanno di Tony, che sarebbe avvenuto di lì a pochi giorni.
Tornammo a bordo, caricammo la gabbia anti squalo, che era l’ultima parte mancante di un bagaglio subacqueo da spavento e, come Dio volle, a mezzogiorno ci staccammo dalla banchina e prendemmo il mare. E che mare! di quelli che consigliano di stare davanti a un bel caminetto acceso, con un fiasco di chianti e le caldarroste.
Ma da bravi “avventurosi” non ci facemmo intimorire, issammo le vele e via, alla faccia di Eolo e Giove Pluvio!
Per dare un’ulteriore dimostrazione di insanità cerebrale, scaricammo Jim duecento metri a largo di una baia più o meno ridossata, perché aveva un appuntamento di lavoro nel pomeriggio a San Diego. Non potevamo accostare più di tanto, così il nostro amico e anfitrione affrontò quel tratto di mare sott’acqua, con l’autorespiratore in spalla. Naturalmente qualcuno lo avrebbe raccolto a terra.
Ci avrebbe raggiunto poi con il suo aereo.
Navigavamo di bolina, gli oblò di sinistra spesso immersi, su delle onde niente male, che ci fecero apprezzare l’ottima tenuta di mare dell’Osprey. Non essendo necessaria la mia presenza, mi ritirai in cuccetta a smaltire la stanchezza del viaggio, la sbornia della sera prima e un odioso raffreddore che probabilmente mi ero beccato in aereo.
La barca andava meravigliosamente, ma all’interno noi rotolavamo come birilli e, quando fu l’ora di cena, la maggior parte degli “avventurosi”era ridotta maluccio per il mal di mare. Dick aveva preparato una zuppa di pollo Campbell’s: mi sembrò un’ottima idea. La minestra di uccellaccio fu onorata solo da George, Dick e me. Gli altri non si fecero vedere.
Come sempre vennero stabiliti i turni di guardia, così tra il dover stare al timone e la quasi impossibilità di dormire a causa del rollio, non dormimmo molto.
La mattina seguente, mi venne risparmiato l’ultimo turno e potei recuperare qualche ora di sonno.
Il mare sempre agitato e il cielo grigio, non erano di aiuto all’ottimismo. Poi, come sempre accade da quelle parti, le nuvole cedettero alla prepotenza del sole, tanto che i miei amici ne approfittarono per prendere un po’ di tintarella.
Mentre navigavamo, uno yellow tail ( un tipo di ricciola) di quattro chili, ebbe la brillante idea di abboccare a una delle lenze trainate a poppa. Sarebbe servita per la cena, peccato che Dick l’avesse uccisa una seconda volta, cucinandola in maniera irraccontabile! Venni pregato di cuocere degli spaghetti con un sugo semplice e veloce, cosa che feci di buon grado, ma con esito imbarazzante. Ma quei “buongustai” non ci fecero molto caso, anzi, li finirono con sorprendente voracità. Sicuramente perché li avevano mangiati con l’insalata..!
Andai in plancia a seguire la nostra navigazione sul radar e a un certo punto si ruppe il pilota automatico. Un grosso guaio, perché non era uno scherzo pilotare a forza di braccia quel bestione con quelle onde. Fu un’altra notte movimentata dai rotolamenti nelle cuccette e dalla tensione di tenere la barca in rotta, senza far sbattere le vele e prendendo il mare in modo, diciamo, indolore.
Il 5 dicembre ci accolse con un sole radioso e caldo, che mitigava il fresco dell’aria piuttosto frizzante. Procedevamo per 120° SE a circa 12 nodi. In cielo, all’improvviso apparve l’aereo di Jim, che ci sorvolò un paio di volte a bassa quota e proseguì verso Punta Abreojos, dove avevamo appuntamento. Si trattava di una grande baia, riparata dal vento, in cui erano ormeggiati alla fonda, diversi pescherecci. Una lancia di pescatori messicani ci portò a bordo Jim, con un suo amico, Jack, un vicino di casa,.
Altri pescatori vennero a farci visita, tanto non avevano molto da fare. Offrimmo loro delle birre e quelli ci regalarono un cesto di gamberi.
Con la mia nota faccia tosta, chiesi se tante volte avessero avuto anche delle aragoste, perché volevo riscattare l’orrido spaghetto della sera prima, con una ricetta insegnatami da un mio amico ristoratore di Roma. I messicani me ne portarono ben cinque e, per non essere da meno in quanto a faccia tosta, si invitarono a cena. Evviva, mi ritrovai a cucinare un piatto mai fatto prima, per quindici persone! Il risultato fu strepitoso: difficile sbagliare, con quegli ingredienti. Quasi due kg di spaghetti spazzolati nel giro di pochi secondi e pentole e piatti “lavati a secco” con pane, tortillas e unghie…I gamberi, fatti in padella con il vino, ebbero un ottimo successo. Finimmo con un paio di chili di gelato, annaffiato da generose cucchiaiate di Kalhua.
Non mancò il film dopo cena. Così in “prima serata”vedemmo “10” con Bo Derek, dopo di che ce ne andammo a dormire. Finalmente!...