PescaSub & Apnea

I racconti del Mammut

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moment90
view post Posted on 10/10/2011, 16:11




Finalmente mi sono messo in pari..!E' davvero emozionante leggere i tuoi racconti, e penso che anche un filmato risulterebbe troppo banale..!Così ci dai l'occasione di immaginare e sognare cose che forse purtroppo la mia e le prossime generazioni difficilmente riusciranno a vedere!

Ps: Vogliamo il tuo libro sopra al comodino prima di andare a letto!

:bye1.gif:

Mattia
 
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diverfisherman
view post Posted on 11/10/2011, 21:13




CITAZIONE (Seriol Killer 645 @ 8/10/2011, 23:47) 
quello che state leggendo è la "brutta" copia di quello che poi metterò nel famoso libro. Se mai riuscirò a finirlo, per evidenti limiti di età!

Invece di farti le pippe davanti al PC, muoviti a finire sto benedetto libro
 
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Seriol Killer 645
view post Posted on 12/10/2011, 13:04




CITAZIONE (diverfisherman @ 11/10/2011, 22:13) 
CITAZIONE (Seriol Killer 645 @ 8/10/2011, 23:47) 
quello che state leggendo è la "brutta" copia di quello che poi metterò nel famoso libro. Se mai riuscirò a finirlo, per evidenti limiti di età!

Invece di farti le pippe davanti al PC, muoviti a finire sto benedetto libro

Così parlò Hemingway... :fisch.gif:



Little and Great Hanish

Pulii il mio red snapper e consegnai solennemente l’ancora a Greg, con la preghiera di non rovinarmela e di custodirla con la massima cura possibile. Lui si fece una gran risata e, tutto contento, la fece sparire sottocoperta.
Lasciammo Jabal Zuqar intorno a mezzogiorno e come ci allontanammo dal riparo delle sue coste, subito ricominciammo a soffrire le onde di un mare che in quattro giorni, non si era mai calmato. Brian aveva fatto il pane, senza nessuna invenzione sinistra sul tema, perciò potei impadronirmi di tre panini, allo scopo di bloccare il mal di mare e mi misi all’interruttore direzionale (bella questa definizione!).
Navigavamo a vista verso Little Hanish, con il tormento del mare in prua che limitava il nostro avanzare e ci faceva sbattere da tutte le parti, essendo impossibile restare in piedi senza un punto di appoggio. A un certo punto, quando l’isola era a circa tre o quattro miglia, non sopportando più quell’andazzo, che ci faceva guadagnare due metri e perderne uno e mezzo, la lasciammo alla nostra destra e, prendendo le onde al mascone, ci dirigemmo verso Great Hanish.
Fu una scelta fortunata, perché, oltre ad avere una navigazione meno stressante, dopo un po’ il mare cominciò a scadere fino a calmarsi completamente. Non sembrava vero!
Arrivammo in una bella rada, con una splendida spiaggia di sabbia bianca che le faceva da cornice verso terra. Ci stavamo riprendendo, un po’ increduli, da quelle montagne russe che ci avevano strapazzato come uova: non se ne poteva più. Negli ultimi giorni avevano messo a soqquadro viscere e cervelli degli umani, rendendoli sgradevolmente bestiali. In quella apparente, ritrovata serenità, mettemmo in programma un barbecue da fare a terra, sotto la luna piena e accarezzati dalla luce di miliardi di stelle. Che poesia, che occasione, che esperienza invidiabile stavamo mettendo in cantiere, per suscitare tutte le invidie possibili in chi avrebbe poi ascoltato questi racconti!
Dovevamo andare a fare “la spesa”, naturalmente sott’acqua, così preparammo tutto per la pescata di approvvigionamento.
Un paio di miglia distante da dove ci trovavamo, c’era un isolotto, Peaky Island, sul quale dirigemmo il gommone per iniziare una nuova scorribanda, alla scoperta della fauna di quell’isola, che io mai avevo sentito nominare.
Come al solito, Bob e io scegliemmo di andare in apnea, mentre gli altri si immersero con gli ARA.
Purtroppo l’acqua era sporca, però c’era un eccezionale movimento di pesce. Il mio amico, a fianco a me per una volta, perché di solito appena in mare stavamo lontani chilometri l’uno dall’altro, faceva frequenti immersioni a mezz’acqua, per vedere meglio cosa ci fosse sul fondo. Mi passò vicino uno squalo, ma soddisfatta la curiosità, si diresse verso terra, senza darmi particolari preoccupazioni. Qualche branco di carangidi curiosissimi, ma di modeste dimensioni, si avvicendavano nell’affiancarci. Nuotavamo in mezzo a un fiume d’argento, quasi fossimo dei pesci anche noi. Poco più in fondo c’era una testuggine che avanzava goffamente con quelle ridicole zampe, ma mi sarebbe piaciuto tanto avere gli stessi suoi risultati nel coprire spazio sott’acqua con le mie super tecnologiche pinne!
Purtroppo, poco dopo Jim ne sparerà una, con la squallida scusa di usarla per il BBQ della sera. Se lo poteva risparmiare, perché…che lo dico a fare? Ce ne sono tanti di “perché”.
C’erano molti red snappers, che giravano nervosi sul fondo, ma non avevano nessuna intenzione di farsi avvicinare. Con degli agguati tra le rocce riuscivo a portarmi a tiro, ma non sparai, perché preferivo godermi lo spettacolo, inoltre mi bastava quello che avevo preso a Jabal la mattina.
Anche diversi squali si avvicinarono e la cosa mi infastidiva parecchio. Ronzavano sempre intorno, facevano finta di niente, ma non si lasciavano sfuggire nulla di quello che facevo, sempre pronti ad approfittare di una distrazione o di una leggerezza per fregarti. Quando arrivò il gommone con il resto della compagnia, il rumore del fuoribordo li mise in fuga. In compenso, una grande ricciola di una trentina di chili si avvicinò. Io scesi sul fondo per aspettarla, nascondendomi alla meglio dietro un ventaglio corallino e lei non esitò a venirmi a guardare meglio. Lo sparo causò la solita reazione esplosiva: da una parte io risalivo a prendere aria, con il fucile libero in mano, dall’altra il pesce fuggiva con la freccia di traverso nel corpo, passato da parte a parte, tirandosi dietro il pallone. La boa saltava sulla superficie dell’acqua e, quando trovò Bob, rimbalzò anche sulla sua testa. Successivamente arrivò dalle mie parti, così potei afferrare la sagola per cercare di frenare quel carosello. Temevo fortemente il ritorno degli squali e già immaginavo che all’altro capo del filo si stesse consumando un orrido banchetto. Recuperavo piano, piano la ricciola, per non correre il rischio che, forzando, si potesse troncare l’asta. Sempre pensando ai “pinna nera” che potevano tornare da un momento all’altro, per maggior sicurezza, salii sull’Avon. Il pesce tirava come un cavallo, costringendomi a cedere cima per assecondarne gli scatti repentini per guadagnare la libertà. Il solito gioco in cui il sub deve comportarsi da “cannista”: riprendere la lenza solo quando la preda, che ha ingoiato l’amo, concede delle pause dai tentativi di fuga. Potevo vederla nuotare, nella tipica posizione di fianco che assumono quando vengono colpite, sempre più vicina al tubolare da cui conducevo quella lotta. Avevo le mani che mi dolevano: quel prolungato tira e molla mi aveva anchilosato le dita e quelle improvvise ripartenze mi avevano abraso i palmi, dopo aver strappato i guanti che indossavo. Per non parlare della schiena e delle spalle, che avrebbero avuto bisogno di un tagliando completo tra le agili dita di una massaggiatrice di Bali! Quando pensavo seriamente di dover rinunciare, la ritrovai, ormai sfinita, che galleggiava esanime di fianco al gommone. Con una mano afferrai la freccia e con l’altra il peduncolo caudale. Ci fu un’ultima, debole reazione, ma ormai era solo questione di abusare delle mie terga per tirarla a bordo. Con mia grande gioia era tutta intera nella sua bellezza, senza aver perso neanche una squama. Possente animale che aveva combattuto con la nobiltà che si addice a un eroe. Vincere un fiero e onorevole avversario, dà lustro a una cattura, che altrimenti sarebbe solo un fatto banale. Concedetemi questo pizzicotto di retorica, dato che il ricordo è ancora molto vivo.
L’asta, invece, era pronta per diventare un manico di ombrello!
Tornai nuovamente in acqua, ma solo per riempirmi gli occhi di tutto quello che c’era in quel mare incredibile. Sì, non avevamo il massimo della visibilità, era ancora mosso, ma dovevo immagazzinare più ricordi possibile di quello spettacolo sottomarino, pensando a quando sarei tornato in Italy, dalle mie parti.
Ero a pochissimi metri dalla costa, in poco fondo, quando mi passarono, sempre come treni espressi e a distanza di super sicurezza, una ventina di mitici “cefaloni”.
“Bye, bye cari”, pensai, “e chi vi tocca!”
Venni raccolto dai miei amici e, una volta a bordo, tutti raccontavano mirabolanti storie, sottolineate quasi tutte da un allargare le braccia, per evidenziare le dimensioni della creatura marina di cui stavano parlando. Nuovamente era stata una giornata che non avremmo scordato facilmente.
E non sapevamo che il bello doveva ancora venire. Quella sera stessa…! :cry:
 
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KiraLaGuerriera
view post Posted on 12/10/2011, 13:20




:woot: :clapping.gif:

CITAZIONE (moment90 @ 10/10/2011, 17:11) 
Ps: Vogliamo il tuo libro sopra al comodino prima di andare a letto!


Mattia

Quoto. .E co :wub: :D n tanto di dedica
 
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view post Posted on 12/10/2011, 15:57
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Big Denticiaro

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bella Ferdì ..
Libro autografato anche per me !!
 
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maria766
view post Posted on 13/10/2011, 15:27




Mi metto in coda...
Anch'io voglio la mia copia (la dedica è gradita !!! :rolleyes: )
 
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view post Posted on 14/10/2011, 15:19
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Spigolaro

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compimenti!!!
 
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Seriol Killer 645
view post Posted on 17/10/2011, 17:00




Un Barbecue indimenticabile

Come raccontavo, era stata una giornata piena di avventure, sia sopra sia, soprattutto, sotto il mare.
Davanti a un gin tonic, i riassunti di quanto ognuno aveva visto, vissuto e metabolizzato per un perenne ricordo nei secoli, si moltiplicavano e si arricchivano di particolari, che nella prima edizione, cioè appena usciti dall’acqua, erano stati trascurati. Eravamo felici come ragazzini a Natale, entusiasti di quelle esperienze mai neanche sognate, delle quali eravamo stati gli attori protagonisti. Eravamo allegri e pronti alla battuta, spensierati e impazienti di andare a terra per celebrare la giornata con una cena speciale.
C’era un frenetico andirivieni, con i due canotti, dall’Osprey alla spiaggia. Eravamo tutti coinvolti nel portare qualcosa a terra, affinché questa grigliata si potesse realizzare senza grandi intoppi.
Ci sparpagliammo nell’entroterra, alla ricerca di legna da ardere: ce ne serviva parecchia, perché oltre alla tartaruga, c’era da fare il red snapper. Avremmo cotto anche delle patate, avvolte nella carta stagnola, sotto la brace.
Scavammo una specie di cratere, ci mettemmo rami di palma e altri relitti di legno trovati in giro e accendemmo un poderoso falò. Era uno spettacolo stare intorno a quelle fiamme che si alzavano a pochi metri dal mare, su quella sabbia candida. Poco più al largo, vedevamo il nostro motor sailer placido, alla fonda in una laguna con acqua quasi immobile. Noi eravamo indaffaratissimi intorno alle fiamme, che oltre ad essere la nostra cucina, erano anche la nostra fonte di luce. Io filettavo il mio pescione e George, spostato più in là, stava squartando la malcapitata testuggine. Operazione che non gli invidiavo perché, a parte la pena che mi aveva fatto quella bestia, il mio amico, imbrattato di sangue, con il coltello in mano, illuminato dalle fiamme ondeggianti del falò, sembrava uscito da un film di Quentin Tarantino.
Avevamo portato due grandi ghiacciaie Coleman, con vino, birre, acqua e bibite varie: sembravamo organizzati, ma ogni cinque minuti ci accorgevamo che mancava qualcosa ed eravamo costretti a fare la spola tra la spiaggia e l’Osprey. Questo, naturalmente, fece girare gli umori di qualcuno al peggio e si innescò un perverso meccanismo che piano, piano cambiò l’atmosfera fin lì tranquilla e rilassata che stavamo vivendo.
Per la disorganizzazione Jim se la prese inizialmente con moglie e figlie, accusandole di scarsa attenzione e conseguente approssimazione nel preparare quell’evento. Quelle si rivoltarono come bisce, perché ne avevano le tasche piene di vedere pesci, mare, orizzonti, senza mai scendere a terra per fare un po’ di sano shopping in qualche centro commerciale o andare in un ristorante e poi in discoteca a scatenarsi in danze che tenessero in allenamento i loro ombelichi, stanchi di giacere a prendere quello stupido sole, che tanto è uguale, sia in California, che in qualsiasi altra parte del globo. Ma come ci poteva venire in mente di andare a Great Hanish, dove si sapeva che Prada e tutto il resto dei “fashion trend setters” non avevano voluto mettere neanche una bancarella?!
Insomma l’improvvisa rivolta muliebre aveva spiazzato decisamente il comandante, il quale cominciò a trattare tutti a pesci in faccia, per riequilibrare il proprio assetto, divenuto traballante all’imperovviso. Le signore si allontanarono stizzite e offese, a naso in su, verso il buio.
Il piccolo Josh, non avendo capito la delicatezza del momento, moltiplicava i suoi sforzi ( ma non gli era di nessuna difficoltà) per rompere le palle a tutti. Buttava sabbia nei bicchieri, gettava oggetti di plastica nel fuoco che ci sarebbe servito per cucinare, “sparava” improvvisi fasci di luce con una torcia potentissima, in faccia a noi che cercavamo, nonostante tutto, di goderci il fuoco, il buio e il cielo stellato. Ma la perla del suo devastante imperversare, fu quando raccolse un ciocco di legno di qualche chilo e, con andatura traballante a causa del peso, si avvicinò a Bob e glielo fece cadere a un millimetro dal suo ditone offeso e sempre dolorante. Il nostro amico, per istinto di conservazione e per un cieco, improvviso terrore per quello che avrebbe potuto essere e che, solo per un miracolo, non fu, inviò il pargolo nocivo a quel paese fino alla settima generazione.
Questo fatto non sarebbe stato rilevante, ma l’invettiva venne lanciata nel momento in cui Nancy riemergeva dalle tenebre dell’entroterra nelle quali si era ritirat poco prima ed essendo all’oscuro ( è il caso di dirlo, perché non si vedeva una mazza) di tutto l’antefatto, prese la cosa molto male e si irritò ancora di più. Il che moltiplicò la distribuzione di pesci in faccia da parte del marito.
In mezzo a tanta serena armonia, George aveva terminato la sua opera di squartamento e cercava di mettere in piedi una cena a base di tartaruga marina. Lui aveva provveduto a ridurre la malcapitata “caretta caretta” in qualcosa dicucinabile, ma aveva avuto l’ingenuità di affidarsi a Lulù Borgia per quanto riguardava gli ingredienti. Il che voleva dire avere a disposizione, sostanze universalmente conosciute ed usate tra i fornelli per il loro apporto di sapide note inconfondibili, quali stuzzicadenti, scaglie di cascami di formaggio, sbiaditi caratteri di vecchi giornali, acqua minerale liscia, crune d’ago e voglie inappagate di vergine sorda ai titillamenti del sesso.
Insomma, la situazione si poteva rappresentare in questo modo: una padella, pezzi di carne assortiti di tartaruga maschio (scoperta recente, grazie all’autopsia), un miliardario americano incazzato, un ragazzino rompicoglioni, la di lui mamma di pessimo umore e uno sparuto gruppo di bravi ragazzi, che non chiedevano altro che di cenare in pace, godendosi quel posto e quell’atmosfera (potenzialmente) idilliaca.
Ah, dimenticavo il cane, ma quello, poveraccio, era troppo occupato a fare cacca e pipì, trattenute da tre giorni di navigazione inclinati a 45 gradi!
George, come dicevo, con quegli ingredienti e quel pubblico, doveva preparare da mangiare: missione impossibile! Se non che, per una sorta di istinto di conservazione, con Greg andammo a bordo e caricammo cipolle, pomodori, peperoncini, olio, sale etc e quando tornammo, demmo una mano al nostro scoraggiato compagno, volgendo una serata che era cominciata malissimo, in una simpatica occasione per stare insieme, dopo aver sotterrato le varie scuri di guerra.
La testuggine, cucinata in una specie di stufato, era squisita e il red snapper alla griglia, non fu da meno. E questo, insieme a dell’ottimo vino californiano, servì a far riequilibrare gli umori di tutti.
Tornammo piuttosto “allegri” al nostro yacht e mi sembrava un miracolo, dati i sinistri inizi di serata. Depositammo nelle cuccette tanta di quella sabbia, che avremmo potuto piantarci un ombrellone. Ma il sonno al quale subito ci abbandonammo, sistemò tutto. Quel barbecue non lo avremmo scordato facilmente. :wacko:











 
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KiraLaGuerriera
view post Posted on 17/10/2011, 21:54




E dopo avere letto l'ultimo racconto...quasi a Mò di favola della bonanotte. ..Posso spegnere il cellulare. ..E chiuderr gli occhi e sognarr di naufragare su questa bell isola. ..Notte ferdino. ..E notte a tutti
 
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SEPPIA2011
icon1  view post Posted on 18/10/2011, 17:29




bel nto , continua così, a stupirci come sempre . :clapping.gif: :clapping.gif: :clapping.gif: :clapping.gif:
 
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maria766
view post Posted on 18/10/2011, 18:31




Che storia.....momenti veramente difficili da dimenticare....
Soprattutto arrivati alla parte :angry:
Ad ogni modo alla fine tutto è bene ciò che finisce bene.. avete passato una magnifica serata, onorato le prede nel migliore dei modi e anche noi ne abbiamo goduto ancora una volta nel leggerti...
Grazie Ferdi!!!
 
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Seriol Killer 645
view post Posted on 20/10/2011, 18:04




Sabato 23 febbraio Great Hanish


Alcuni di noi preferirono, dopo la cena sulla spiaggia, rimanere a dormire a terra. Quindi l’ondata maggiore di sabbia doveva ancora arrivare. Aspettavo fiducioso…
Svolgemmo alcune operazioni di riassetto della cucina, riordinammo il pozzetto, cercammo di ripulire dalla sabbia i locali sottocoperta, insomma volevamo rendere vivibile e decorosa la barca che ultimamente era stata un po’ maltrattata.
A metà mattinata tornò il gommone, così potemmo andare a pescare. Scegliemmo una punta riparata a trecento metri da dove ci trovavamo, ma non ci piacque, quindi tornammo nel punto in cui eravamo stati il giorno prima. Fuori il mare era sempre molto mosso, lì invece, era calmo e senza corrente.
Mi buttai e ricominciai a fare la posta, nella speranza di ritrovare i red snappers. Ce n’erano più numerosi e più grandi. Anche alcuni branchi di carangidi, non enormi, nuotavano avanti e indietro.
I soliti squali, facevano la loro fugace apparizione, per poi tornare dietro le quinte, in attesa di qualche evento per loro interessante. Trovammo e prendemmo tre aragoste, ci avrebbero fatto comodo per la cena. Subito dopo fu la volta di due snappers, sparati da me e da Bob all’aspetto. Bei bestioni di una decina di chili. Un gigantesco barracuda mi passò appena fuori tiro e risultò lontano anche per Bob, che aveva tentato di intercettarlo. Arrivò uno squalo curioso, che si fece un giretto e se ne andò elegantemente, senza fretta. Io avevo fatto diversi aspetti ed ero un po’ stanco, così mi avvicinai alla costa dell’isolotto, su un fondale di non più di cinque metri.
Notai con la coda dell’occhio qualcosa alla mia destra. Mi voltai e rimasi a bocca aperta al passaggio di una quindicina di cefaloni di proporzioni enormi.
Io seguito a chiamarli “cefaloni”, ma è corretto dar loro il nome vero, che è milk fish o, per gli amanti della precisione scientifica, Chanos chanos.
Comunque li vogliamo chiamare, passavano sempre come treni, a distanza di super sicurezza, senza degnarti della minima attenzione. Mi dissi di stare più attento, perché se fossi stato più concentrato, chissà…E mentre così pensavo, venni superato, questa volta sulla sinistra, da un altro branco di questi pesci. Non ebbi neanche il tempo di spostare il fucile, che erano fuori vista. Mi rammaricai, perché non li aveva visti nessuno. Che rabbia!
Passammo tre ore tra un avvistamento e l’altro. L’ultimo riguardò dei barracuda, mai visti così grandi, ma non ci fu verso di portarli a tiro. Poteva sembrare che stessimo perdendo tempo, ma in realtà le emozioni si succedevano incessantemente. Quella ricchezza di fauna era dovuta alla vicinanza dello stretto di Bab el Mandeb, che immetteva nel Mar Rosso le acque dell’Oceano Indiano. E, secondo le mie aspettative, il massimo delle libidini subacquee, lo avremmo trovato nell’arcipelago dei Sette Fratelli: le acque più ricche di creature marine di tutto il mondo!
Quando dovemmo uscire dall’acqua per tornare a bordo, lo facemmo con un certo rammarico, perché lasciammo una situazione entusiasmante, per trovarne una deprimente. Evidentemente gli strascichi fumantini della serata precedente, ancora non si erano sopiti. In più dovevamo risparmiare carburante, che tradotto in termini pratici, significava limitare a due ore al giorno l’uso del gruppo elettrogeno, con la conseguenza di non poter cucinare, non avere ghiaccio, di avere poca pressione dell’acqua per lavarci e così via.
In più ogni dieci minuti si rompeva qualcosa: una volta il desalinizzatore, un’altra il pilota automatico, poi toccava al timone o a qualche verricello, seguivano le avarie di un gabinetto o del navigatore satellitare, per non parlare di radio e sonar. Tutto ciò non serviva a rasserenare gli animi, specialmente quelli di chi era abituato a comodità indiscusse e che non accettava il fatto di trovarsi in posti dimenticati da Dio, dove si doveva confrontare con la natura, che non concede molto alla poca sostanza artificiale di apparecchi che funzionano solo con l’elettricità.
Era un peccato non apprezzare quei posti, unici e meravigliosi, proprio perché erano lontani dalla cosiddetta civiltà. Per questa ragione avevo legato con qualcuno e meno con altri. Quando Ahmed se n’era andato, avevo perso un grande compagno di scorribande subacquee. Con il suo “good” “no good” ci intendevamo perfettamente, non avevamo bisogno di altro.
A quel punto, purtroppo, si era rotto qualcosa. Probabilmente la convivenza “forzata” di tanti individui in uno spazio ristretto come una barca, aveva causato degli attriti che io alleviavo rifugiandomi in mare. L’unico guaio era che non ci potevo restare ventiquattro ore, perciò i periodi a secco, cercando di evitare questo o quello, erano abbastanza spiacevoli.
Tra un’avaria e l’altra, riuscimmo a tornare in acqua, per giocare con squalotti pinna bianca che si erano mostrati un tantino sfacciati, avvicinandosi troppo a noi. Li tenevamo lontani, pungendoli sui fianchi con la punta dell’arpione. A uno tirai perfino la coda: mai vidi fuggire un pesce così velocemente in vita mia! Anche se non sparammo un colpo, quell’immersione andò ad aggiungersi a tutti gli entusiasmanti ricordi vissuti fino allora. Non sapevo, in quel momento, che sarebbe stata l’ultima avventura in acqua di tutto il viaggio.
Mentre eravamo in acqua, altre barche erano arrivate per ripararsi dal mare mosso: una francese, una tedesca, una neozelandese e un’altra americana. Dovendo partire, non fraternizzammo. Il tempo di aggiustare un fanale di via che si era rotto e alle nove salpammo. Fuori il mare era ancora ostico, agitato da un vento che soffiava e fischiava a quaranta nodi.
Dopo il mio turno di guardia al timone, raggiunsi la mia cuccetta. Era tutta bagnata, un vero piacere!. Mi spostai sotto quella di Peter, che era solo piena di sabbia…
Quando mi svegliai, Jim e Nancy stavano terminando il loro turno. Feci colazione e presi io il timone. Mi sciroppai quasi quattro ore alla guida dell’Osprey. Incrociammo molte navi russe, provenienti dall’isola di Perim o dai porti dello Yemen del sud. Mi si accesero le speranze di trovare un passaggio verso Suez su uno di quei cargo, dato che presto sarei dovuto sbarcare.
Con un mare sempre gagliardo, ci avvicinavamo alle isole dei Sette Fratelli, che rappresentavano un po’ la ragione di tutto quel viaggio. Di posti superlativi, ne avevamo visti tanti, però per arrivare ai Seven Brothers avevamo rinunciato ad andare a vedere il relitto dell’Umbria, non ci eravamo immersi alle Dahlak e non ci eravamo fermati alle Farasan né a Suakin, tutti posti celebratissimi i cui nomi erano rimbombati per anni nelle nostre orecchie e nel nostro immaginario attraverso i racconti mirabolanti, raccolti in libri e documentari, dai pionieri della subacquea mondiale, quali Hans Hass e il comandante Cousteau.
Ora finalmente ci avvicinavamo al clou di tutta la crociera, le isole che pochissimi conoscevano e delle quali si conosceva quasi nulla. Sapevamo solo che una fauna marina senza paragoni nei sette mari, vi nuotava, favorita dalla combinazione dell’incontro delle acque ricche di nutrimento del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano. Mentre ero assorto in questi pensieri, alimentati per mesi dalle fantasie di chi stava per realizzare il suo sogno, arrivò Jim che mi disse che non avevamo tempo per fare quella fermata. Patatrac!!!Mi cadde l’universo sulla testa. Quella assurda decisione mi tolse qualsiasi voglia di reagire. Ero annichilito, non si poteva essere così ottusi.
Pensate a un turista che arriva in Vaticano e non può visitare i Musei, perché non c’è tempo! Da non credere. L’apoteosi di tutte le possibili fregature in un viaggio, che difficilmente ci sarà dato ripetere.
Eravamo a non più di un miglio dall’Ile Grande, quando si ruppe definitivamente il timone. Sembrava una punizione per non aver dato la dovuta considerazione a quel paradiso.
Quell’ultima, in ordine di tempo, avaria, venne presa con favore da qualcuno a bordo, qualcuno orfano di Prada e di altre irrinunciabili meraviglie del vero saper vivere. Ero così avvilito, che mi rifugiai nella mia cuccetta e non parlai con nessuno fino al giorno seguente.

La mia crociera in Mar Rosso era terminata.

Per me restava la formalità di tornare in Italia. In un primo momento avevo pensato di trovare un passaggio su qualche mercantile in rotta verso Port Said. Poi decisi di seguire Bob e George, che avevano rimediato un aereo per Il Cairo.
Anche quel viaggio fu un’avventura.
Gibuti era un protettorato francese, con tanto di flotta militare in porto. Noi vi eravamo entrati alla…deriva.
Senza motore a causa della mancanza di gasolio, con il timone azionato da quattro persone, tirando due cime, una a destra e l’altra a sinistra; con la vela appena ammainata, per non speronare a tutta velocità un incrociatore francese ormeggiato di fianco al molo. Riuscimmo solo ad “appoggiarci” all’unità da guerra e fu una fortuna se non provocammo danni. A parte quelli morali, a noi, perché facemmo una figura…!
Nell’attesa dell’aereo, passammo un paio di giorni ad osservare le varie attività portuali. Piccoli pescherecci, qualche mercantile, le navi da guerra, ma quello che non potrò dimenticare, era una nave yemenita, che caricava bovini con una tecnologia molto particolare.
C’erano dei portuali, mi si passi il termine eufemistico, che riunivano quattro vacche alla volta, le legavano con un cappio intorno alle corna e le facevano issare a bordo con una gru. Potete immaginare il terrore di quelle povere bestie, che, una volta a mezz’aria, reagivano nell’unico modo che rimaneva loro, sciogliendosi, cioè, in una diarrea liberatoria di puro panico sulla testa di chi le aveva legate pochi attimi prima.
Questa operazione andò avanti per tutta la mattina, dato che ci saranno stati duecento capi da issare a bordo. La puzza si sprecava e alla fine non si sapeva se fossero più infelici i bovini o chi li stava caricando.
L’aeroporto era una gabbia di matti: tutti coloro che dovevano partire, sembrava fossero in fuga da qualche guerra. C’erano due pastori con una trentina di capre…in sala d’attesa! Salirono sul nostro aereo, si sistemarono in uno spazio senza sedili, loro riservato in cabina. Scesero a Jedda, dove facemmo scalo.
Ho incontrato tre miei connazionali, uno dei quali mi fece vedere il visto che avevano appena apposto sul suo passaporto: valido fino al 31 febbraio!!

Come avete potuto leggere, ho riportato moltissimi ricordi, che penso di poter condividere con pochi altri fortunati sulla faccia della Terra. Sarei un ingrato, se dessi un giudizio negativo delle persone che mi hanno permesso di vivere quelle esperienze, basandomi solo su qualche episodio che non ha avuto l’esito che pensavo.. Guardando il tutto a distanza di quasi trent’anni, mi sembra di aver vissuto un miracolo, che sarei felicissimo di poter ripetere, senza cambiare una virgola. Alcuni luoghi descritti, di quelli egiziani per lo meno,ho paura siano stati irreparabilmente rovinati da scelte commerciali per me molto discutibili. Ho delle speranze per tutto il resto e questo deve incoraggiare chi mi segue su queste pagine, a darsi da fare per poter andare a verificare di persona quanto ho narrato.
Ma quando avrete deciso, preparatevi bene, perché certe emozioni tolgono il fiato! ;)
 
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mazzooo
view post Posted on 20/10/2011, 19:55




..................................... :clapping.gif: :clapping.gif: :clapping.gif:
 
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KiraLaGuerriera
view post Posted on 21/10/2011, 22:35




e cosi la mia lettura notturna è finita.. per stasera!!!!!
le capre in aereoporto? ma che hai viaggiato su un 'aereo cargo? :)
cmq anche io mi sarei inkazzzzzzata e non poco se mi dicessero.. "non ce tempo" per vedere le isole che tanto ci tenevo a vedere!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

come sempre sei un grande e ti ammiro e spero un gg di conoscerti dal vivo per potere sentire le tue avventure da mille leghe sotto i mari.... magari davanti a un bel camino scoppiettante .. visto il clima autunnale.

un mega abbraccio. tua seppia fedele ai racconti e alla tua filosofia di vita.
e al diavolo prada!!!!!!! ;)
 
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Chisa237
view post Posted on 22/10/2011, 10:31





Comandante Seriol, altro che il Cousteau che era il mio idolo da piccolo…
:B):
 
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524 replies since 15/5/2010, 23:16   17601 views
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