Verso il secondo impero
Chiusa definitivamente, la parentesi napoleonica porta i suoi strascichi in Corsica, essendo divenuta l'isola uno dei luoghi di raccolta dei superstiti seguaci dell'imperatore.
Di fronte alla reazione monarchica, i partigiani còrsi di Napoleone fanno causa comune con gli insorti, mai domi, delle montagne centro-meridionali e, tra il 1815 e il 1816, imperversa nell'isola la cosiddetta guerra del Fiumorbo: per mesi poco più di un migliaio di uomini e qualche centinaio di guerrigliere còrse tengono testa - e alla fine quasi sconfiggono - le superiori forze (almeno 8 000 uomini) del marchese de Rivière.
Scampato per miracolo alla cattura in battaglia, il marchese viene sostituito dal conte Willot, il quale offre una resa onorevole al comandante degli insorti, il murattiano Poli che, grazie all'amnistia concordata, nel maggio 1816, abbandona la Corsica con i suoi seguaci.
Quasi sconfitti militarmente, i Borboni ottengono così una vittoria politica, e allontanati o imprigionati i bonapartisti, affidano a monarchici di provata fede il governo dell'isola.
Passata l'ultima fiammata del Fiumorbo (ma una parte degli insorti si darà alla macchia e sarà operativa sin verso il 1830), la gente di Corsica, con alle spalle un secolo intero (1729-1816) di guerre quasi ininterrotte, o si rassegna al proprio destino ripiegata su sé stessa e sulla propria identità, accontentandosi della protezione delle proprie montagne o, se cerca fortuna, lo fa - quasi ovviamente - per lo più all'interno dello Stato francese e in quel contesto, facendo ogni sforzo per far dimenticare le proprie origini.[senza fonte]
La gente comune continua a vivere di un'economia di sussistenza e l'incremento demografico registrato dal 1800 al 1890 (da 164 000 a 290 000 abitanti) è comunque modesto (specie in termini assoluti) e ampiamente spiegabile con la fine di un lunghissimo periodo di continue guerre e devastazioni.
A testimonianza della fatica della gente còrsa per darsi di che vivere, sono oggi visibili nell'isola numerosi terrazzamenti abbandonati, creati con grande fatica non per la coltura di viti e olivi, ma di cereali panificabili.
I successivi piani di sviluppo agricolo non fecero che ricalcare nella sostanza i passi di quelli ideati ancora nel XVII secolo dal Banco di San Giorgio, portando con sé - quasi inevitabilmente - gli stessi scarsi risultati e generando le stesse tensioni sociali che li avevano contraddistinti due secoli prima, finendo così per generare contrasti che scoppiarono puntualmente in occasione delle rivoluzioni del 1848.
A rendere più fosche le tinte del periodo non mancarono le carestie (1811, 1816, 1823, 1834) e le epidemie di colera (1834, 1855), senza contare le febbri malariche, endemiche nelle pianure umide litoranee, e il perdurare della vendetta e del banditismo che, oltre a costituire un fenomeno di pura criminalità (cui inevitabilmente s'intreccia soprattutto quale conseguenza delle faide), assume un carattere finanche politico.
La risposta dello Stato, significativamente, ricalca quella genovese: fallite le politiche repressive si ricorrerà, nel secondo impero, alla soppressione generalizzata del porto d'armi, mentre s'impiantano colonie penali agricole nell'isola con l'obiettivo di aiutare l'agricoltura locale.
D'altra parte gli stessi francesi sentono la Corsica come estranea[senza fonte] (Chateaubriand dà per scontato questo dato nelle sue polemiche antinapoleoniche e si riferisce in modo sprezzante ai suoi abitanti) e, almeno sino al compiersi del Risorgimento, anche i còrsi - che continuano a frequentare le Università italiane - si sentono parte della comunità italiana, intesa in senso culturale.
Il francese è impiegato quasi esclusivamente negli atti amministrativi (sino a metà Ottocento è però normale trovare atti di nascita, matrimonio e morte redatti in italiano), e l'italiano continua a essere schiacciante maggioranza nelle pubblicazioni locali e persino negli atti notarili, mentre quello che più tardi sorgerà come lingua autonoma, il corso, altro non è che il vernacolo locale, sentito - come avviene pressoché ovunque nell'Italia dei mille dialetti - come registro familiare affiancato all'italiano.
Dei notabili che vezzosamente ostentano l'impiego dell'italiano toscaneggiante anche nelle conversazioni informali, si dice significativamente che parlanu in crusca, con chiaro riferimento alla celebre Accademia fiorentina, custode della lingua italiana.
Nel 1821 un'ispezione condotta dall'accademico di Francia Antoine-Félix Mourre, stimava che su circa 170 000 abitanti solo circa 10 000 comprendessero il francese, e solo un migliaio fossero in grado di scriverlo. Nel 1823 un prefetto francese in ispezione sull'isola si sente rispondere «noi siamo italiani» dai responsabili del Cantone di Belgodere che aveva appena esortato a propagare anche nella loro regione la lingua nazionale, il francese.
A ulteriore conferma di tale situazione basti pensare che nel Trattato stretto il 18 febbraio 1831 a Parigi tra il generale La Fayette e il comitato rivoluzionario italiano di Parigi nell'ambito delle agitazioni correlate alla Monarchia di luglio, su proposta del francese, si stabilisce lo scambio tra Corsica e Savoia.
Il 28 luglio 1835 il còrso Giuseppe Fieschi attenta alla vita di Luigi Filippo di Francia e viene ghigliottinato.
L'uso della lingua italiana, che continuava a essere impiegata in Corsica anche negli atti pubblici (per un decreto del 10 marzo 1805 che derogava per l'isola l'uso obbligatorio del francese), è soggetto a divieto il 4 agosto 1859, a seguito di una sentenza della Corte di cassazione francese, che interviene non appena Napoleone III rientra a Parigi reduce dalla campagna d'Italia che ha dato una brusca svolta ai progetti d'unità italiana: difficile non pensare a un provvedimento politicamente motivato, teso a prevenire una possibile deriva della Corsica verso un costituendo Stato italiano, mentre Savoia e Nizza venivano cedute alla Francia.[senza fonte]
Malgrado qualche riferimento a un coinvolgimento dell'isola nell'unità italiana da parte, tra gli altri, di Garibaldi, Mazzini e Gioberti, e la partecipazione di alcuni còrsi a diverse battaglie del Quarantotto italiano, la Corsica non è mai stata davvero coinvolta dal processo unitario italiano.
Del resto, lungo la storia, il costante ricorrere dei còrsi a chicchessia, pur di scacciare il governo straniero che li governava, testimonia della loro atavica volontà di non avere, in ultima analisi, alcun dominatore e del loro genuino - seppure mai davvero soddisfatto - desiderio d'autogoverno.
Restano pertanto come casi tutto sommato isolati gli episodi nei quali dei còrsi combattono come Garibaldini o la parabola di Leonetto Cipriani, di Centuri (Capo còrso) che, protagonista alla battaglia di Curtatone (1848) e poi a quella di Novara, più tardi sarà governatore delle Legazioni pontificie (1860) e senatore del Regno d'Italia.
Parimenti, la presenza di italiani esuli in Corsica durante la prima fase del Risorgimento, più che a stimolare un eventuale sentimento pro-italiano in senso unitario-politico - pressoché inesistente - finisce per contribuire alla diffusione di idee liberali presso la borghesia còrsa. In questo contesto, attorno al 1848 nasce in Corsica la società segreta dei Pinnuti, sorta di Carboneria isolana (in còrso i pipistrelli si dicono topi pinnuti).
Più significativo è, naturalmente, l'impegno dei notabili nel mondo politico parigino, anche come esito della pressione - che si fa sempre più crescente - affinché si integrino nello Stato francese.
Sotto la Restaurazione borbonica, in una Corsica ormai poverissima si è costretti a derogare alle soglie d'accesso al voto basate sul censo, abbassandole quanto basta per coinvolgere i maggiorenti dell'isola nella politica nazionale. Si accentua così la tendenza - già presente da secoli - delle famiglie più potenti a disporre del potere, dando nuova vita al fenomeno indicato da taluni esponenti del mondo autonomista come clanista.
Tra le famiglie che incarnano questo processo, le prime sono senz'altro quelle dei Pozzo di Borgo e dei Sebastiani, che iniziano la loro attività all'ombra del nuovo potere centrale già durante il Primo Impero, e prima ancora di proclamarsi fedeli alla restaurazione monarchica. Seguiranno gli Abbatucci sotto il Secondo Impero e gli Arène nella Terza Repubblica.
Se i còrsi che cercano fortuna nella terraferma cercano d'integrarsi all'esagono, il continente scopre quest'esotica, nuova appendice del proprio territorio grazie soprattutto ai viaggi alla scoperta dell'isola di alcuni intellettuali e ai romanzi di successo che la Corsica ispira loro.
Su tutti, Honoré de Balzac che nel 1830 pubblica La Vendetta (i cui protagonisti còrsi parlano in italiano) e Prosper Mérimée con Colomba (uscito nel 1840), cui seguiranno Alexandre Dumas con I Fratelli Corsi, Gustave Flaubert e più tardi altri autori francesi di rilievo.
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