Posts written by Rodelinda

view post Posted: 18/11/2009, 14:55 [14/09/09] 100 parole per un padre e una madre - Risultati [BMG]
Innanzitutto, vorrei ringraziare sentitamente per il primo posto accordatomi, essendo la mia prima drabble in assoluto - e soprattutto considerando che sono anni che non scrivo nulla sul fandom di Harry Potter, pur essendovi rimasta affezionata - non me l'aspettavo :*pucci*: .
Ciò posto, vorrei dire che ho letto le altre storie partecipanti, e che condivido decisamente il disagio di Virou nel decidere la graduatoria: essendo tutte grammaticalmente e lessicalmente molto curate, io stessa mi troverei in disagio qualora mi trovassi al suo posto ^_^ .

Ciò detto, vorrei esprimere il mio parere in questa diatriba. Rowizyx, io credo che l'unico termine di paragone con cui giudicare l'originalità di una storia non possa risiedere unicamente nel fandom trattato, o nel pairing abusato o meno. Questi fattori possono certamente concorrere notevolmente, ma non credo l'originalità dipenda soltanto da essi: penso che essa stia piuttosto nel come e in che termini essa è presentata, cosa vi si descrive, che sentimenti vi muove, o nella tecnica narrativa.
Quindi, che il pairing Lucius/Narcissa sia abusato (cosa peraltro piuttosto opinabile, dal momento che sulle oltre 18000 fanfiction su Harry Potter presenti in EFP soltanto sei pagine - per un totale di un centinaio di storie circa - presentano tale coppia) è un conto: ma non penso ciò influisca del tutto sull'originalità di una storia.

A proposito: a quando i banner ^_^?
view post Posted: 27/10/2009, 18:10 Scalcia - P-T
Fandom: Harry Potter
Rating: Per tutti
Personaggi/Pairing: Lucius/Narcissa
Tipologia: Raccolta di Drabble.
Lunghezza: 105 parole per ciascuna (da contaparole di Word). Titoli non compresi.
Avvertimenti: nessuno
Spoiler! nessuno
Genere: Malinconico, Introspettivo
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di J. K. Rowling che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti nella saga di Harry Potter, appartengono solo a me.
Note dell'Autore: Sono le prime drabble che scrivo, e spero di essere riuscita a passare il messaggio.
Introduzione alla Fan's Fiction: Perché per fare un figlio non serve riuscire a comprendersi, anche se si è uniti in matrimonio. Perché, spesso, la gravidanza, mette in luce le pareti dell’incomunicabilità tra due anime. Perché spesso chi scalcia nel ventre non sa di essere l’unico punto d’incontro tra due amori che non si comprendono.



I) Il caldo

Scalcia, nel mio ventre di otto mesi. Con furia, credendosi l’essere più importante del mondo.
Per me lo è. Mi abbraccio la pancia, così rotonda e sgraziata, costretta a letto, spossata; scalcia, e mi succhia l’energia. Ma è un dolce succhiare.
Può esserci freddo, fuori, oltre le cortine verdi di questo letto monumentale, dove – da che sono rimasta incinta – giaccio sola. Può essere freddo il tocco di Lucius, quando posa la sua mano sul mio ventre, e i suoi occhi grigi chiedono solo: « Sarà maschio? ».
Può esserci freddo. Ma dentro di me è caldo.
Scalcia.
« Mi senti? Sono la tua mamma ».

II) Il freddo?

Il letto è una nave verde, in cui lei sta distesa. La camicia leggera, bianca come la sua pelle. Il ventre rotondo, prominente.
« Lucius. Scalcia! »
Gli occhi le scintillano, chiari, nel viso gonfio e pallido. La guardo, riflessa nel vetro della finestra; eppure non la vedo.
« Vieni a sentire! », mi invita.
È con un sorriso tirato, che mi congedo: « Scusa, Cissy. Ho da fare ».
Tornerò stanotte, mentre dormirai. Ad ascoltare il tuo respiro, e il ritmo del suo scalciare contro la mia mano. Nel ventre che circondi con le braccia, nel sonno. A sentirmi fiero, a sentirmi un padre.
view post Posted: 20/9/2009, 12:16 [14/09/09] 100 parole per un padre e una madre - Contest terminati
Ahem, con il 19 siamo un po' troppo in qui. Io proporrei una decina di giorni in più, il 29: purtroppo, con la scusa che quest'anno abbiamo la maturità, i prof ci stanno vessando!
view post Posted: 31/8/2009, 23:43 [25/06/09] Host Club ft. Woody Allen - Risultati [AMC]
CITAZIONE
- « E staccati da quel libro, Haruhi! », la voce di Kaoru è scherzosa, mentre cerca di sfuggire alle palle di neve con cui lo bersaglia Hikaru; io sorrido loro, e non ribatto.
Primo appunto: gli Host non impedirebbero mai ad Haruhi di studiare, per il semplice motivo che, se Haruhi perde il primo posto nella graduatoria, addio borsa di studio e, di conseguenza, addio Host, almeno nell'orario scolastico, che per i giapponesi è un tempo pieno senza pietà. Tanto è vero che nella storia, quando Haruhi scende in graduatoria, è perfino dispensata dai suoi compiti di Host per rimettersi in pari con lo studio se non ricordo male.

In quest’appunto c’è una sfumatura che non è stata colta: i gemelli non impediscono costantemente e sistematicamente ad Haruhi di studiare. Semplicemente, come qualunque amico, dopo averla vista sui libri per un pomeriggio intero, smazzando dalla fatica, per un lavoro già fatto e piuttosto inutile (come uno dei gemelli stessi afferma successivamente, Haruhi conosce già il Genji come le sue tasche, e Haru non smentisce), in “combutta” con Honey, le impongono una pausa. Punto. Non è una cosa eccessiva e mélo come la dipingi, che coinvolge l’etica del lavoro del giapponese medio (che, come tutti sappiamo, è elevatissima), semplicemente la giusta preoccupazione di alcune persone che, per quanto istrioniche e bislacche possano essere, si considerano tue amiche e si preoccupano perché tu non ti stanchi in misura eccessiva.

CITAZIONE
- “Stancamente, mi siedo sulla morbida poltrona del porticato riscaldato: fuori, nel giardino innevato, i membri dell’Host Club intrattengono le clienti con sfide a palle di neve, servendo loro cioccolata calda sui bassi tavolini. Sbuffando di disappunto per il fatto che sono stata interrotta nello svolgimento dei compiti di Giapponese Moderno per il giorno dopo, non mi resta che dedicarmi anch’io all’intrattenimento delle clienti, che prontamente – vedendo il loro beniamino, lo studente borsista, libero dai suoi doveri – mi vengono incontro, sedendosi anche loro attorno a me”
Secondo appunto: Kyouya che permette ad Haru – o a chiunque altro – di intrattenersi con altro mentre le attività del club sono in pieno svolgimento a meno che non sia assolutamente necessario – come nel caso della perdita del primo posto? Impossibile. Decisamente e semplicemente impossibile: Kyouya mira sempre e comunque al guadagno; non permetterebbe mai di subire una perdita perché uno dei membri del club non fa il suo dovere. Soprattutto Haruhi, che ha un debito con loro.

Ennesimo fraintendimento, che dimostra quantomeno uno scarso approfondimento nel leggere la storia e nel prenderla com’è, un attimo di quotidianità piuttosto leggero.
Gli Host spesso e volentieri intrattengono e si intrattengono con le clienti attraverso giochi o altro, veggasi nell’episodio 16 quando Honey gioca a “Il Daruma è rotolato”. Hikaru e Kaoru stanno – forse non si è colto con sufficiente chiarezza – intrattenendo alcune clienti con giochi invernali.
Non stanno svolgendo, pertanto, attività estranee all’Host.

CITAZIONE
- Faccio un cortese cenno di diniego col capo, sorridendo – il mio sorriso “da sfinge”, quello che riservo alle clienti e, occasionalmente, a Tamaki: gentile, dolce, ma qualunquista, privo di qualsiasi significato –
Terzo appunto: Haruhi è sempre e comunque spontanea. Non c’è nulla – sottolineo, nulla – di costruito nei suoi atteggiamenti, e la Hatori lo sottolinea in ogni singola apparizione del personaggio. Quando sorride, Haruhi non la fai mai per dovere, ma perché vuole e perché lo sente. Non per niente, Haruhi è il tipo spontaneo, no?

Contestazione numero uno: Haruhi ha momenti in cui non è assolutamente spontanea. Ad esempio, sempre nell’episodio 16, quando guarda gli altri membri dell’Host che si divertono con in viso un’espressione estatica e rilassata, che agli astanti suscita l’impressione che abbia pensieri gioiosi e rilassati. In realtà, sta pensando a quanto i suoi compagni di club siano idioti.
Contestazione numero due: c’è una sfumatura che non è stata colta in ciò che ho detto. Ho forse affermato che il sorriso di Haruhi sia falso? No. È solo un sorriso diplomatico, spontaneamente diplomatico. Un sorriso che si fa non a uno scocciatore, o a qualcun altro che ci crei disturbo, cioè un sorriso artefatto. È un sorriso spontaneamente privo di significato. In diverse occasioni, come ad esempio quando Haru si trova alle prese con le sue prime clienti, ricorre ai gesti insegnatile da Tamaki per trarsi d’impaccio: un espediente per mantenere una sorta di quieto vivere, qualcosa a cui tutti noi ricorriamo almeno ogni tanto. Un gesto del tutto normale.

CITAZIONE
- Quanto a me… sono estremamente irritata dalla retorica strombazzante e disinformata del suo discorso, dalla generale banalità e prolissità dei contenuti, nonché dall’espressione schifata che assume il viso di Tamaki ogniqualvolta si trova a pronunciare la parola ”lavoro” (neanche fosse un’attività infamante).
Quarto appunto: Tamaki non denigrerebbe mai il lavoro, qualunque esso sia. Ti ricordo, per esempio, che nel volume 10 va volontariamente a lavorare presso la pensione di Misuzu. Inoltre, Tamaki è un vero e proprio veneratore della cultura giapponese, in cui viene considerato un onore qualunque mestiere. Che poi, gli Host sono ricchi perché le rispettive famiglie si occupano di business milionari – se non miliardari – e sono tutti in un liceo privato simile per poter fare l'università e seguire le orme dei genitori. Kyouya, addirittura, sta cercando di farsi strada pur essendo un terzogenito, e per cosa, se non per lavorare come direttore dell'azienda di famiglia?

Guarda, non c’è bisogno di tirare in scena l’etica del lavoro giapponese, lo spirito di corpo e dell’uomo medio nipponico. Questo è l’ennesimo fraintendimento generato da una non comprensione profonda del testo: non ho inteso dire che Tamaki denigri il lavoro. Anzi.
Solo che Haru – che vive questo momento in prima persona – lo percepisce così. E si sente punta sul vivo.
Quanto alle prove che Tamaki faccia degli sproloqui sulla vita del volgo, praticamente l’intero manga è partito da quest’idea (il “mondo plebeo” e quello dei “ricchi” a confronto), e la prima volta che Tamaki incontra Haruhi le fa proprio un discorso sulla falsariga del quale ho costituito il mio. È un fatto innegabile: primo volume del manga, edizioni Planet.


CITAZIONE
- Quindi, giunti all’enfatica pausa finale, mi volto e do fiato alla prima risposta graffiante che mi si affaccia alla mente.
« Tamaki… » esordisco, richiamando la sua attenzione (cosa non facile, preso com’è a incassare i complimenti estasiati delle clienti e a pavoneggiarsi).
« Sì, oh mio ingenuo, sfruttato virgulto della classe lavoratrice? » è la sua risposta al mio appello.
« Il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l'imbecille, mentre il contrario è del tutto impossibile » sciorino, con espressione indifferente.

Quinto appunto: Haruhi non fa mai battute graffianti. O meglio, non le fa di proposito. Un altro degli aspetti che la Hatori ribadisce sempre è che Haruhi ha la capacità fare battute taglienti senza alcuna malizia, mentre il contrario gli riesce malissimo tant’è che, l’unica volta che ci prova nel corso della storia (capitolo 11, volume 3 del manga QUI e QUI le scans. Nella seconda, al posto dei due ''booo'' in basso, doveva esserci scritto "Avevo anche provato a dirlo con malizia!", almeno secondo la traduzione ufficiale italiana. Si vede che non sono riusciti a trusrlo, ai tempi ^^), nessuno se ne rende conto. Inoltre, in un caso del genere (Tamaki che inizia a sciorinare le sue idiozie in questo modo), Haruhi si sarebbe limitata al massimo a sbuffare, per poi voltarsi e riprendere a fare qualunque cosa stesse facendo prima, ignorandolo completamente. E, a quel punto, Tamaki si sarebbe depresso, com’è ovvio e giusto che sia.

Haru non ha studiato o congegnato appositamente la battuta. Glien’è venuta in mente una, ha aspettato che Tamaki la degnasse d’attenzione – cosa che, com’è evidente sin dalle prime battute del manga, spesso fa fatica a fare quando è trasportato dall’enfasi oratoria – e gliel’ha detta. Così. Sull’unghia.
Era, come ho detto, la prime che le fosse venuta in mente.
Quanto poi alla contestazione su “come avrebbe agito Haruhi”… be’, nell’episodio 1, proprio in un momento come questo, non mi pare proprio che Haru se ne sia rimasta in silenzio. Anzi, ha freddato sul colpo Tamaki ponendogli un polpastrello sulle labbra e pronunciando la seguente frase – parole testuali –: “Sei pesante”.
Se questo è ignorare…

[/QUOTE]- Vedere il suo sorriso incrinarsi in una faccia pietrificata, mentre inizia a correre di qua e di là emettendo versi strozzati e scandalizzati è un piacere.
Sesto appunto: questo è sadismo. Io sono sadica, Haruhi non lo è. Per niente, proprio.[/QUOTE]
Punto primo: in questo caso, Haru non gode del fastidio di Tamaki, ma nell’essersi liberata di un amico che, purtroppo, stava comportandosi da scocciatore. Una cosa di cui anche i più miti tra noi si rallegrerebbero, senza essere sadici.
Punto secondo, sul presunto “lato oscuro” di Haruhi, vale ciò che ho già detto sui suoi “pensieri nascosti da viso felice” nell’episodio 16.

CITAZIONE
- Immediatamente, sul viso mi si delinea un rilassato, cortese sorriso “da sfinge”, mentre mi rivolgo nuovamente alle clienti
Di nuovo, Haruhi non sorride in modo costruito.

Di nuovo, veggasi sopra.

CITAZIONE
- Come tutte le mie osservazioni proferite in tono molto ragionevole, non viene presa in considerazione, dal momento che si intromette anche Kaoru, che mi si siede a fianco. Poiché ho Honey sulle ginocchia, Hikaru a destra e Kaoru a sinistra, mentre Tamaki alle mie spalle mi osserva in silenzio, Mori è in piedi a fianco del divano e Kyoya, seduto di fronte a me in una poltrona, armeggia con il portatile che ha sulle ginocchia, mi sento circondata. E da gente interessata solo a dir la propria, certamente non ad ascoltarmi.
Ottavo appunto: nessuno degli Host ignorerebbe Haruhi. Sono dei viziati egocentrici come ogni buon figlio di papà che si rispetti, d’accordo, ma tutti loro l’adorano incondizionatamente, sono suoi amici e molti ne sono palesemente innamorati. Ripeto: non l’ignorerebbero.

Loro non stanno ignorando Haruhi: come ho già detto, e mi pare in modo sufficientemente chiaro, stanno ignorando le sue parole dette in tono molto ragionevole. Perché, riconosciamolo, spessissimo la ragionevolezza con i gemelli, Tamaki e Honey si perde: ad esempio, quando un Tamaki isterico, superstizioso e terrorizzato parla di Nekozawa e dei suoi supposti “poteri paranormali” (episodio 5), oppure quando i gemelli, episodio 12, rimangono terrorizzati all’idea che Haruhi si senta umiliata dall’offerta di un tè perché sprovvista di un servizio adeguato.
Intendevo dire che in questo caso è ignorata non l’opinione di Haru, ma la sua ragionevolezza. E, ancora una volta, dal momento che questa storia è stata scritta in prima persona e imperniata su Haru, è della sua impressione che si riferisce, non di quella che a tutti gli effetti potrebbe essere la realtà dei fatti.

CITAZIONE
- « Voi, maniaci, detestabili, pedofili, seduttori di giovani innocenti, papà vi impedirà di… »
Nono appunto: Tamaki non parlerebbe mai così a nessuno, figuriamoci a dei suoi amici.

Tamaki ha già detto cose molto simili ai due. Nel manga, proprio: nei suoi deliri di “padre” ne ha dette ai gemelli di tutti i colori. Per non parlare del volume cinque, quando i gemelli e Haru sono tutti insieme alla pensione di Misuzu. Tamaki continua a chiamarli per tutta la notte, ossessivamente, al cellulare, definendoli (parlando con Kyoya) dei “demoni”.
Senza parlare di quando, nel primo volume, c’è la scena dei biscotti, in cui i gemelli attuano spudorate avances nei confronti di Haru - che reagisce con souplesse. Non così Tamaki, mi pare!

CITAZIONE
- « Ho preso lezioni di lettura veloce ed adesso sono capace di leggere Guerra e Pace in venti minuti » dichiara Kaoru, per contrappeso alla domanda del fratello.
« Davvero, Kao? » domanda Honey, sgranando gli occhioni, il faccino sporco di crema pasticcera che Mori, silenzioso come al solito, gli sta pulendo.
Kaoru annuisce, serio, drappeggiandomi un braccio intorno alle spalle.
« Parla della Russia » afferma, come se avesse rivelato una grandiosa verità

Decimo appunto, che non c’entra con l’OOC ma devo dirla: solo a me questa battuta, nel contesto e in bocca a Kaoru, risulta forzata?

Questione di opinioni. A me non è sembrata forzata. Al giudice, Virou, neanche. Qui si tratta di opinioni e di gusti, come hai già detto: non c’entra niente con il discorso sul – peraltro presunto, e a questo punto mi pare di aver dimostrato ampiamente, opinabile - OOC.

CITAZIONE
- « No, grazie! » mi schermisco, segretamente inorridita all’idea di passare altro tempo con quei due.
Undicesimo appunto: Haruhi considera Hikaru e Kaoru suoi amici. Molesti e rompiscatole, forse, ma suoi amici. ‘Inorridita’, quindi, mi pare eccessivo. E con Haruhi non è mai bene eccedere.

Ennesima sfumatura testuale non colta. Haru è inorridita – in senso non letterale, più che altro metaforico, più sfumato – all’idea di avere ancora a lungo i due irritanti gemellini tra le scatole, quando – probabilmente o magari – vorrebbe studiare. Tanto più che, in questo caso, a studiare ci tiene parecchio, come già chiaro dalle prime battute della storia.
Quanto a cosa sia bene e cosa no nel caso di Haru, mi permetto di farti notare che, in diversi casi, l’espressione inorridita calza perfettamente ad Haruhi: l’inquietudine quando Kyoya le rivela – velatamente – i suoi piani da “Re nell’Ombra”, l’espressione pietrificata di quando i gemelli rivelano che la loro “litigata storica” in realtà era una recita. O anche quando si presentano in limousine a casa sua.

CITAZIONE
- « Uffa, che stress! » esclama, a un certo punto, rompendo il silenzio creatosi. « Liberarsi degli Hitachiin è quasi impossibile… »
Di nuovo, è Tamaki. Non parlerebbe così di nessuno, e i gemelli sono suoi amici.

Di nuovo: è una considerazione leggera, ironica. Non certo un insulto pesante. E, dal momento che li ha definiti “demoni” (veggasi sopra) e diversi altri epiteti, credo che stressante non sia un aggettivo così pesante, no?

CITAZIONE
- Non quello allegro che rivolge ai suoi amici, non quello melenso e teatrale che riserva alle clienti, ma un sorriso vero. Più simile a quello che ha quando parla di sua madre che a tutti gli altri, studiati e, in certo modo, falsi che sfoggia di solito.
Tredicesimo appunto: ogni volta che vedo le parole “falso” e “Tamaki” troppo vicine mi viene male al cuore, giuro. Perché Tamaki non è falso. È teatrale, è esibizionista, è logorroico, è fuori di testa e pure un po’ stupido, ma falso proprio no. È un’altra delle cose che la Hatori non si stanca mai di sottolineare: Tamaki è sempre e comunque se stesso, indipendentemente da tutto il resto. Tutto, in lui, è vero. Non c’è assolutamente nulla di costruito, ed è questa una delle cose principali che gli ha permesso di affascinare e attirare intorno a sé tutti i membri dell’Host Club. E se c’è la necessità di farlo recitare, bisogno che Tamaki faccia un percorso che lo ponga nella necessità di farlo, perché dato così, come dato di fatto canon, non sta né in cielo né in terra.

Hum. Considerazione complessa, un tantino fuori luogo ma sostanzialmente esatta.
Il problema è che tu, nella tua frenesia di giudicare OOC tutto e puntare allegramente il dito (come hai giustamente fatto notare, Host Club è una tua amorevole fissazione) hai tralasciato di considerare le inevitabili sfumature che un autore necessariamente attua nel reinterpretare dei personaggi altrui. Questo mi pare evidente anche da tutti gli equivoci di comprensione delle contestazioni precedenti.
La tua storia sembra Bisco Hatori stampata. Lodevole. Perfettamente IC.
Ma una copia di Bisco Hatori non è ciò che io volevo ottenere. Io volevo ottenere una rielaborazione di Haruhi e Tamaki ovviamente canon, ma che desse spazio ad altri approfondimenti psicologici. Che possono essere considerati eccentrici, dal momento che l’autrice non li rivela esplicitamente nel manga. Ma se tutti noi dovessimo limitarci a ciò che è espressamente ed esplicitamente detto nei romanzi, nei fumetti o film da cui le fan fiction sono tratte, be’, credo che le fan fiction non esisterebbero proprio.
Non è compito mio sceneggiare parti del manga come se fossi l’Hatori. È mio compito in quanto autrice di fan fiction, il creare.
Qui ho dato una interpretazione di Haruhi – ricordiamo, ribadiamo, ridiciamo, perché evidentemente non è stato compreso a fondo neanche questo – perché tutto è visto dal punto di vista di Haruhi. E quella è un’interpretazione che Haruhi da’, segretamente, nella propria mente, a tutte le istrioniche facce di Tamaki. Chiedendosi quale sia quella vera, se lo siano tutte o se siano tutte false. Se lo chiede persino Kyoya, quando lui e Tamaki, appena conosciutisi, girano il Giappone per assecondare il nipponismo persino eccessivo del forse-erede dei Suou.
È un’interpretazione che, come tutte quelle che noi diamo quando vogliamo comprendere gli atteggiamenti di una persona, può essere giusta o sbagliata. Non è OOC, Nihal: è realismo. È far comportare Haruhi come se fosse una persona reale.
Non è OOC, e credo che solo tu, che stendi la storia come se fossi Bisco Hatori e stessi sceneggiando il manga, o quelli di chi, come te, interpretano lo scrivere fan fiction come una riproduzione originale, possano considerare tale un “andar fuori dal seminato in modo realistico”. Che poi, sarebbe lo scopo delle fan fiction stesse.

CITAZIONE
- « Leggo per legittima difesa» mormoro. E lui, di sottecchi, annuisce.
D’effetto, lo ammetto, ma Haruhi non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, nemmeno con Tamaki. Avrebbe risposto con un silenzio, e probabilmente Tamaki avrebbe capito comunque, ma non ne avrebbe mai parlato ad alta voce.

Tutti noi abbiamo i momenti in cui le nostre corazze e i nostri atteggiamenti si ammorbidiscono, come abbiamo quelli in cui esse s’induriscono.
Ad esempio, uando un amico, che credevamo di conoscere come le nostre tasche, rivela un lato di sé del tutto inaspettato, inusitato, imprevisto. E, in questo modo, ci mette con le spalle al muro.
Haruhi è stata messa con le spalle al muro, e non ha potuto in alcun modo uscirne senza ammettere la verità.

Quanto poi all’excursus sull’infanzia di Haruhi, credo non sia stato colto lo scopo della mia storia.
Come ho già detto, non volevo creare un nuovo ipotetico capitolo di Host Club in cui tutto proceda come nella mente di Bisco Hatori, ma immaginare una situazione in cui Haru riveli di sé ciò che non si è ancora palesato.
Perché Haru sembra così impermeabile alle manifestazioni sentimentali altrui, soprattutto quelle dei suoi coetanei maschi?
Perché tiene in così poco conto il proprio aspetto esteriore (come il padre stesso dice, quando rivela agli Host che lui tiene molto all’aspetto di sua figlia – se ne esce, addirittura, con la battuta ”Ho partorito una bellissima figlia!)?
Perché si fa carico delle immaturità del padre – a cui certamente vuole molto bene, che considera ovviamente un punto fermo, ma del quale non sembra fidarsi eccessivamente – e della conduzione della sua famiglia dall’età più tenera?
Da dove trae la forza di rispondere con quell’impressionante nonchalance alle prese in giro dei suoi coetanei al supermercato?
Come ha fatto a superare il trauma della morte della madre?
A queste e a molte altre domande apparentemente insolute, o che hanno ricevuto risposta solo parzialmente, ho voluto dare io un’interpretazione personale.
Non intendevo dire che fosse egoista, o incapace di provare sentimenti: come giustamente hai fatto notare, si fa in quattro per i suoi amici, per il padre che ama moltissimo, mette sempre gli altri avanti a sé.
Tuttavia, talvolta, Haru sembra temere i propri sentimenti e quelli altrui, pertanto erige intorno a sé una barriera contro cui tutto ciò rimbalza. Comprende, certo, i sentimenti di Tamaki verso la madre, i tentativi di Kyoya di costruirsi una carriera; ma questi non la toccano se non vicariamente. Certo non come quando un ragazzo le si dichiara o palesa i propri sentimenti in termini incontrovertibili.
Sembra non accorgersene… ma è proprio così?
Su quel “sembra” o sul “perché non se ne accorge” ho costruito tutta questa storia. Sulle radici di questi suoi comportamenti ho edificato tutto: e lo studio e la lettura, di cui si avvale come difesa (anche la frase “meritavo incontestabilmente la corona di prima della classe, prima per i voti, prima per la condotta”, se noti, non è detta, ma solo e unicamente pensata, come tutto il soliloquio interiore oggetto di cotanto scandalo. Quindi Haru non se ne sta vantando: sta considerando le proprie indubbie capacità, senza sottostimarle o sopravvalutarle d’un pelo). Che certo, le danno dei risultati perché è dotata. È mostruosamente intelligente, e nessuno – tantomeno io – l’ha negato.
Ma sulle radici di questo studio “matto e disperatissimo” ho voluto, a modo mio, indagare.
Se questo “metodo” ti ha lasciata perplessa, la cosa non mi turba, poiché, in quanto lettrice, ne sei in totale diritto.
Ma, alla luce dei fatti che ti ho esposto, non puoi dire che la mia storia sia OOC.

OOC è qualcosa di palese, di evidente, di inusitato.
OOC è un Voldemort tormentato dai sensi di colpa per l’omicidio di suo padre, o un Ron Weasley che esalta la purezza del sangue di mago.
OOC è Lady Oscar che piange perché le si spezza un’unghia.
OOC sarebbe Haruhi che, indossando un vestito rosa pieno di pizzi, trine e falpalà, si getta ai piedi di un Tamaki vestito da principe confessandogli il proprio imperituro amore (una scena degna del più melenso musical dello Zuka Club).

Certamente, un Tamaki che si comporta da Tamaki, una Haru che si comporta (salvo un’unica eccezione, non dipendente dalla sua volontà) da Haru e dei gemelli che si comportano da gemelli, non sono OOC.
E poiché, come ho già ribadito ampiamente, il mio intento non era quello di ricreare una pagina del manga di Bisco Hatori, bensì di creare una fanfiction sul medesimo, credo di averlo centrato.
E, evidentemente, non sono la sola a pensarla così.

Detto ciò, ti ringrazio per le tue critiche, che accolgo – sia pure con riserva – e sfrutterò per migliorare ulteriormente il mio stile.
Grazie per l’attenzione, e scusa per la lunghezza della mia replica.
view post Posted: 31/8/2009, 21:56 [25/06/09] Host Club ft. Woody Allen - Risultati [AMC]
Dal momento, Nihal, che tu leggi come OOC quelle che a me sembrano mere minuzie, per cui posso trovare, per ciascuna di esse, un altro momento del manga che possa smentire la tua testi, dammi del tempo e domani posterò la mia dimostrazione.
Perché mi rendo conto che su presupposti come quelli che hai appena addotto, non si può costruire in alcun modo un concetto di OOC. Perché ci sono momenti precisi del manga che ti contraddicono.

Ergo, raccolgo le contestazioni e metto online la mia.
view post Posted: 31/8/2009, 14:37 [25/06/09] Host Club ft. Woody Allen - Risultati [AMC]
Scusatemi, premetto che non è minimamente mia intenzione cominciare crociate di nessun tipo, ma dato che sono l'autrice della storia che ha causato questo - sia pur piccolo - trambusto, mi sento in dovere di dire la mia opinione.
Effettivamente, andando a rileggere il topic del concorso, ho notato che inserire più di due citazioni era stato vietato. Il problema è che io ho scritto la fanfiction molto tardi (il giorno prima della data di consegna, in effetti), senza più accedere al bando, poiché avevo già provveduto a copincollarmelo nel file .doc della storia. E nel bando effettivo, dove le regole del contenzioso sono chiaramente elencate, alla prova dei fatti, non è scritto che non fosse permesso inserire più d'una citazione.
Ho scelto d'inserirne più d'una perché calzavano, perché scorrevano nell'economia del dialogo, perché me n'ero impadronita (metaletterariamente parlando).
Se non ho letto la proibizione impartita da Virou a Nihal, è per un motivo semplice e puramente tecnico: fino a circa due ore fa ero in montagna, con una chiavetta Vodafone a connessione GPRS, addirittura più lenta del 56k. Quindi ho scelto di connettermi lo stretto indispensabile, semplicemente per postare la storia. Avendo già scaricato il bando, mi sono limitata a seguire quello: se ho così, per ignoranza e del tutto involontariamente, violato una regola del contest me ne scuso. Sono mortificata.

Tuttavia, per quanto consta la questione dell'OOC, non sento d'aver niente di cui scusarmi o sentirmi in disagio.
Perché, e qui mi spiace fortemente dovermi imporre in modo forse poco diplomatico, ho pensato e strutturato gli Host in modo che risultassero del tutto IC, proprio pensando che ciò avrebbe aggiunto un tocco ironico alla storia, nel trasporre sulla pagina scritta momenti tipici del manga.
Per le scene al Club mi sono ispirata fedelmente a diversi coloriti siparietti già presenti nel manga: il silenzio di Mori, le urla estasiate delle clienti, l'impegnatissimo Kyoya, il carezzevole Honey e - soprattutto - gli sproloqui di Tamaki e le sue crisi di gelosia nell'assistere alle istrioniche avances dei gemelli sono tutti elementi ispirati e concretamente presenti nel manga. Ciò è attestabile nero su bianco da chiunqe lo possegga.
Gli unici momenti che potrebbero (ma unicamente a un primo sguardo) essere considerati OC sono quelli del soliloquio interiore di Haru e del suo dialogo - comprensivo di dono - con Tamaki.
Ma entrambi i personaggi, nel manga, hanno già manifestato momenti (anche reciproci) di indubbia introspezione (quando Tamaki pensa o parla di sua madre, ad esempio, e viceversa quando Haru pensa alla propria, o discorre con Tamaki della di lui situazione familiare), anche se della durata di poche vignette. Io ho semplicemente tratto spunto da alcuni elementi della psiche di Haruhi, sviluppandoli e aggiungendo una scena fittizia di mia invenzione, ma che - considerando i recenti sviluppi della storia nel manga stesso, per quanto riguarda il probabile futuro pairing Haru/Tama - mi sembravano del tutto plausibili.
Quindi, se si vuole, si può criticare la mia svista sull'aggiungere più citazioni del consentito - me ne sono già scusata, e ne sono realmente e assolutamente spiacente - ma non tacciare di OOC i miei personaggi, dal momento che, e mi sembra evidente, non lo sono.
E, considerato che colei che ha bandito questo concorso e ha, perciò, letto approfonditamente la storia, si trova in accordo con me, significa che tale non è unicamente la mia impressione.
Pertanto, Nihal, se hai le prove necessarie, reali e documentate atte a sostenere che gli Host che ho delineato siano OOC, ti prego di renderle pubbliche, o perlomeno di inviarmele, così da rendere possibile anche a me il comprendere perché tu abbia avuto, invece, un'impressione differente.
E, perché no?, magari darmi la possibilità di migliorare la mia storia.
Ciò è, a meno di trovare altra soluzione (più diplomatica e meno tribunalistica), a mio avviso necessario: soprattutto dal momento che sembrano esserci pareri discordanti del tutto opposti, da parte di persone di assoluta obbiettività e fiducia.

Ah, dimenticavo. Sono assolutamente onorata e lusingata di ricevere il primo posto, non me l'aspettavo :*pucci*: ... si potrebbe avere il bannerino di premio da esporre in firma? Mi farebbe veramente molto piacere!

Edited by Rodelinda - 31/8/2009, 16:01
view post Posted: 22/8/2009, 17:12 ... E alla fine, non rimase nessuno - P-T
Fandom: La Signora in Giallo (Murder, she wrote)
Rating: Per tutti.
Personaggi/Pairing: Jessica Beatrice Fletcher, alcuni bambini come comparse, una citazione del dottor Seth Aeslith.
Tipologia: Flash-fic.
Lunghezza: 544, una pagina word, capitolo unico.
Genere: Generale, Triste, Malinconico.
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà dei produttori, degli sceneggiatori e degli aventi diritto della serie televisiva “La Signora in Giallo” (nell’originale, “Murder, she wrote”), che ne detengono tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti ne “La Signora in Giallo” (”Murder, she wrote”), appartengono solo a me.
Credits: la citazione presente nel titolo di questa fanfiction è da ascriversi al genio di Agatha Christie, un’altra Regina del Giallo non solo nella finzione ma nella realtà. L’ho utilizzata senza alcun scopo di lucro, e gli attuali beneficiari delle royalties e proprietari del copyright ne detengono tutti i diritti.
Note dell’autore: La vicenda è da collocarsi in un periodo di tempo successivo a quello della serie televisiva canonica, all’incirca una decina d’anni.
Introduzione alla Fan's Fiction: Perché la gratitudine, al mondo, non esiste. E perché quando si diffonde la voce che porti sfortuna, alla fine, non rimane nessuno.

… E alla fine, non rimase nessuno



« Piano, non facciamoci riconoscere! »
« Ma quanto sei scemo, Cody, come cavolo fa a riconoscerci, se non ci ha mai nemmeno visto? »
« E io che ne so? Mamma dice sempre di non avvicinarsi a quella casa, che la vecchia è una strega! »
« Ma no che non è una strega, idiota! Lo diceva sempre il vecchio dottor Aeslith, che erano tutte delle sporche calugn… scalogn… delle sporche calunnie! »
« Già! Però non mi pare che abbia fatto una gran fine, il dottore, no? »
« Un infarto! Papà dice che è stato un infarto! »
« Tutte scuse! Gli è venuto dopo che era stato a cena da lei, lo sanno tutti. Quella mena gramo! »
Un tonfo, rumore di passi. Passi piccoli, passi di bambini; come quelli che stanno parlando.
« Santa paletta! ‘Sto secchio del cavolo… »
« Sssst, Cody! Non fare l’idiota, vuoi farci scoprire? »
Il cigolio di una porta aperta, ancora rumore di passi. Stavolta, passi esitanti, zoppicanti, passi di anziana signora. Come quella che, appoggiandosi al bastone, si avvicina ai bambini, un largo sorriso a distenderle il viso rugoso, le mani macchiate dall’età.
« Salve, ragazzi! » saluta, con voce gentile. « Vedo che siete riusciti a ritrovare il mio secchio!, credevo d’averlo perso. Volete entrare a mangiare una fetta di torta con un bicchiere di latte? L’ho appena sfornata ».
Piccole bocche spalancate, in mute O di spavento.
« No, no, signora, ci scusi per essere entrati nel suo giardino… »
« Non si preoccupi, ecco il suo secchio… »
« Purtroppo dobbiamo andare, ci aspettano a casa… »
« Papà inizierà a chiedersi dove sono finita… »
Rumori di passi che si allontanano, sempre più veloci. Passi di bambini, inconsapevolmente crudeli.

L’anziana signora rimane a osservarli allontanarsi, in silenzio, sempre appoggiata al bastone. Così è la vita: un’esistenza passata a risolvere omicidi, e le persone pian piano iniziano ad abbandonarti. Non ti sono grate, anche se spesso hai contribuito a tenerle fuori di galera, individuando i veri colpevoli di quegli assassinii.
Perché se, dovunque tu vada, prima o poi è compiuto un delitto, la gente – che ignoranza! – inizia a farsi qualche domanda: perché dove ci sei tu spunta un morto ammazzato? Perché non si tratta mai di cause naturali, ma sempre, categoricamente, di un’uccisione?
Le soluzioni possono essere molteplici: i più benevoli pensano che tu sia semplicemente sfortunata, i malpensanti che, in realtà, dietro a tutti quegli omicidi ci sei tu. Del resto, se di lavoro scrivi romanzi gialli, è più che plausibile che tu abbia una mente sufficientemente tortuosa da escogitare tutti quei delitti.
E, alla fine, tutti iniziano a ritenere che, quantomeno, porti sfortuna.
Qui s'inserisce il meccanismo malato, che, con gli anni, ti ha scavato attorno un fossato invisibile ma tremendamente tangibile: per quanto la società possa essere evoluta, le superstizioni scacciate e la ragione prevalga, di fronte a una simile serie di lutti il sospetto che tu abbia "qualcosa che non quadra" viene a tutti; e, con la rapidità con cui, nei secoli passati, la gente svaniva nel sentire lo scampanellio che annunciava i lebbrosi, si dileguano al solo vedere la tua ombra.
Timorosi d’essere la prossima vittima.

L’anziana signora, un tempo conosciuta come Jessica Beatrice Fletcher, la Regina del Giallo, rientra in casa.
E, alla fine, non è rimasto nessuno a veder scendere la sua ennesima lacrima.
view post Posted: 20/8/2009, 12:38 Mente e corpo - P-T
Fandom: Host Club
Rating: Per tutti.
Personaggi/Pairing: Tutti i membri dell'Host Club, alcune Lady da me inventate come comparse, un'apparizione di Renge Houshakuji. Pairing Haruhi/Tamaki, appena accennato.
Tipologia: One-Shot.
Lunghezza: 3298, 5 pagine word circa, capitolo unico.
Genere: Generale, Romantico, Introspettivo.
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Bisco Hatori e Woody Allen, che ne detengono tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Host Club, appartengono solo a me.
Credits: le citazioni presenti in questa fanfiction sono da ascriversi al genio di Woody Allen, e occasionalmente dei suoi sceneggiatori. Le ho utilizzate senza alcun scopo di lucro, e i loro proprietari ne detengono tutti i diritti.
Introduzione alla Fan's Fiction: Corpo e mente. Mente e corpo. Mente o corpo? Queste le domande che, inconsciamente, si è posta Haruhi molto tempo fa. E a cui si è già data una risposta: ma qualcuno, all’Host Club, presume di saperne più di lei.

Mente e corpo



« E staccati da quel libro, Haruhi! », la voce di Kaoru è scherzosa, mentre cerca di sfuggire alle palle di neve con cui lo bersaglia Hikaru; io sorrido loro, e non ribatto.
Emetto solo un «… Ehi!» carico di disappunto, quando un ridente Honey mi strappa di mano la copia annotata del Genji Monogatari. Lo sforzo di riappropriarmene è del tutto vanificato da Mori, che prende in braccio Honey ponendo il minuto erede degli Haninozuka, il mio libro ancora in mano, del tutto al di fuori della mia portata.
Stancamente, mi siedo sulla morbida poltrona del porticato riscaldato: fuori, nel giardino innevato, i membri dell’Host Club intrattengono le clienti con sfide a palle di neve, servendo loro cioccolata calda sui bassi tavolini. Sbuffando di disappunto per il fatto che sono stata interrotta nello svolgimento dei compiti di Giapponese Moderno per il giorno dopo, non mi resta che dedicarmi anch’io all’intrattenimento delle clienti, che prontamente – vedendo il loro beniamino, lo studente borsista, libero dai suoi doveri – mi vengono incontro, sedendosi anche loro attorno a me.
« Non vieni fuori con gli altri, Haruhi? » mi domanda, in tono gentile, la più bassa e minuta di loro, quella che risponde al soprannome di Lady Osamuhi.
Faccio un cortese cenno di diniego col capo, sorridendo – il mio sorriso “da sfinge”, quello che riservo alle clienti e, occasionalmente, a Tamaki: gentile, dolce, ma qualunquista, privo di qualsiasi significato – e versando con garbo la cioccolata a Lady Takashima, seduta di fronte a me in una comoda poltroncina gemella alla mia.
« No, perdonatemi tutte… » dico, garbata, « ma gli esami si avvicinano e, come sapete, i miei risultati devono mantenersi alti… »
I loro urletti estasiati e i loro sorrisi adulatori a queste parole (che, mi rendo conto, devono suonare cariche di qualcosa di simile a falsa modestia e preteso eroismo) mi lasciano a intendere che ho detto la cosa giusta; se non che, come al solito, Tamaki interrompe le sue attività, per dire la propria circa la mia ultima dichiarazione.
« Ah! » esclama, avvicinandosi e portandosi la mano alla fronte con un gesto teatrale, « la nobile missione del volgo, che, contrariamente agli appartenenti ai dorati ceti dominanti, non può dimenticare nemmeno per un istante l’incessante, logorante lavorio cui è sottoposto a causa della malevola ruota del destino… »
Il resto del delirante discorso si perde, mentre la mia mente vaga, senza prestargli più attenzione, come al solito quando si lancia nei suoi voli pindarici.

… e, ovviamente, quei cinque, dorati minuti in cui posso distrarmi in delicate digressioni sul significato della vita, sul recondito segnale della caducità della giovinezza lanciatoci dalla neve che si scioglie o – più spesso e più prosaicamente – su cosa cucinare per cena, vengono definitivamente rovinati dallo stesso individuo che mi ha fornito il pretesto per cominciarli.
« … ed eccoci qui, con il simbolo perfetto di questo processo appena descrittovi! » conclude Tamaki, in tono magniloquente e trionfante, poggiandomi una mano sulla spalla e guardandomi con un’aria mista tra l’ammirazione forzata e il compassionevole. « Il ragazzo del popolo, grande lavoratore, che per riuscire nella vita non può contare sul denaro, su amicizie importanti, o su fascino, carisma, bellezza come noialtri, giovani gentiluomini di famiglia avita… » osserva, « ma solo sulle sue capacità... o sul suo cervello! » dichiara, tremando per lo sdegno, scuotendo la testa in modo estremamente drammatico (effetto amplificato dalla luce ambrata dei lampadari che si riflette sul taglio all’ultima moda dei suoi capelli castano chiaro), mentre la maggior parte delle nostre ospiti lo guarda rapita, annuendo. Qualcuna, addirittura, si asciuga una lacrima nel fazzoletto di pizzo.
Quanto a me… sono estremamente irritata dalla retorica strombazzante e disinformata del suo discorso, dalla generale banalità e prolissità dei contenuti, nonché dall’espressione schifata che assume il viso di Tamaki ogniqualvolta si trova a pronunciare la parola ”lavoro” (neanche fosse un’attività infamante). Quindi, giunti all’enfatica pausa finale, mi volto e do fiato alla prima risposta graffiante che mi si affaccia alla mente.
« Tamaki… » esordisco, richiamando la sua attenzione (cosa non facile, preso com’è a incassare i complimenti estasiati delle clienti e a pavoneggiarsi).
« Sì, oh mio ingenuo, sfruttato virgulto della classe lavoratrice? » è la sua risposta al mio appello.
« Il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l'imbecille, mentre il contrario è del tutto impossibile » sciorino, con espressione indifferente.
Vedere il suo sorriso incrinarsi in una faccia pietrificata, mentre inizia a correre di qua e di là emettendo versi strozzati e scandalizzati è un piacere.
Immediatamente, sul viso mi si delinea un rilassato, cortese sorriso “da sfinge”, mentre mi rivolgo nuovamente alle clienti e Renge sfarfalla in giro con un taccuino e una macchina fotografica, cianciando di un possibile ”… allontanamento e rottura tra i membri dell’Host Club a causa delle illazioni offensive di Tamaki, dettate da gelosia nei confronti della relazione troppo intima tra Haru-chan e Honey”.

« Haru-chan, Haru-chan! » sento esclamare la voce di Honey, che mi corre incontro.
Dopo un’ora circa, le clienti sono andate via, e i membri dell’Host Club si ritirano nell’Aula di Musica Numero Tre (ormai sede del club stesso) per “fare il punto della giornata” (il che, immagino, significa non far niente per tutti noi… eccettuato, ovviamente, l’impegnatissimo Kyoya).
L’erede degli Haninozuka mi si fionda in grembo, una fetta di torta in una mano e il mio libro nell’altra; con disappunto, noto che la copertina – già frusta, dal momento che l’ho acquistato usato alle medie – è macchiata di panna.
« Tieni! » dice Honey, porgendomelo e addentando la torta, con un sorriso che gli va da una parte all’altra del faccino; benché intenerita, non posso fare a meno di trattenere un gemito di disappunto nel constatare che ora, sul viso di Genji rappresentato in copertina nella riproduzione di una stampa ukiyo-e, si allarga un’indistinta chiazza collosa e biancastra.
Noto che Tamaki mi si è avvicinato, senza dir niente; evidentemente, l’arrabbiatura per la mia rispostaccia dev’essergli passata. Insieme a lui si appropinquano al divanetto anche tutti gli altri membri dell’Host.
« Proprio non so perché tu legga così tanto, Haruhi » osserva un Hikaru incuriosito ma distratto, lisciandosi le pieghe della giacca azzurro polvere dell’Ouran. « Voglio dire, in fondo che bisogno hai? Il Genji Monogatari ormai lo saprai a memoria… »
In effetti è vero, ma…
« L’esame di Giapponese Moderno si avvicina, e ogni volta che lo rileggo mi sembra di comprendere aspetti nuovi, in quest’opera» replico, in tono molto ragionevole.
Come tutte le mie osservazioni proferite in tono molto ragionevole, non viene presa in considerazione, dal momento che si intromette anche Kaoru, che mi si siede a fianco. Poiché ho Honey sulle ginocchia, Hikaru a destra e Kaoru a sinistra, mentre Tamaki alle mie spalle mi osserva in silenzio, Mori è in piedi a fianco del divano e Kyoya, seduto di fronte a me in una poltrona, armeggia con il portatile che ha sulle ginocchia, mi sento circondata. E da gente interessata solo a dir la propria, certamente non ad ascoltarmi.
« Ho preso lezioni di lettura veloce ed adesso sono capace di leggere Guerra e Pace in venti minuti » dichiara Kaoru, per contrappeso alla domanda del fratello.
« Davvero, Kao? » domanda Honey, sgranando gli occhioni, il faccino sporco di crema pasticcera che Mori, silenzioso come al solito, gli sta pulendo.
Kaoru annuisce, serio, drappeggiandomi un braccio intorno alle spalle.
« Parla della Russia » afferma, come se avesse rivelato una grandiosa verità.
Senza riuscire a trattenermi, scoppio a ridere. Anche Hikaru, Kaoru e Honey mi seguono a ruota nella risata, il che fornisce ai due gemelli la possibilità di avvicinarsi da un lato all’altro del mio viso, guardandomi con espressioni seducenti e insinuanti.
La mia risata s’interrompe, mentre, con espressione esasperata, aspetto che facciano il loro solito show.
« Non devi aver paura di noi, Haru… » mormora, malizioso, Kaoru al mio orecchio, prima di sistemarmi una ciocca di capelli in disordine.
« Davvero… » annuisce, in risposta, Hikaru, prendendomi una mano e baciandomi il palmo. « In fin dei conti, noi siamo qui solo per il tuo piacere… non è vero, Kaoru? »
« Ovviamente, Hikaru… » mormora l’altro gemello Hitachiin, baciandomi l’altra mano.
Rimangono a osservarmi fissa per qualche secondo finché, prevedibilmente, la reazione isterica di Tamaki arriva.
Puntuale come le tasse.
« Staccatevi immediatamente! » esclama, gettandosi sui due e gesticolando furiosamente, « Voi, maniaci, detestabili, pedofili, seduttori di giovani innocenti, papà vi impedirà di… »
E, mentre i due fuggono ridendo dalla rabbia del King dell’Host Club, io li ignoro tutti e tre e mi reimmergo nella lettura.

« Aspetta Haru! » è la voce di Kaoru quella che mi blocca, mentre ci dirigiamo verso l’atrio per uscire dall’Ouran e tornarcene a casa. « Ti accompagniamo a casa noi, piove a dirotto e tu non hai l’ombrello! »
« No, grazie! » mi schermisco, segretamente inorridita all’idea di passare altro tempo con quei due.
« Insistiamo! » si aggiunge allegramente l’altro gemello, comparendo all’improvviso alle mie spalle. « Non permetteremo assolutamente che tu faccia l’intero viaggio su uno di quei carri bestiame camuffati da veicoli… », ecco, appunto, « che voi chiamate autobus ».
Il suo tono sarebbe definitivo, e sto per rifiutare ancor più recisamente di prima, quando appare anche Tamaki.
Ma non c’è modo di liberarsi di ‘sti tre? penso, al culmine dell’esasperazione. Apro bocca, intenzionata a dar voce alla mia ferma intenzione di usare i mezzi pubblici, quando Tamaki mi previene.
« No! » osserva, sorridendo. « Ma come, Haruhi, non ricordi? Oggi avevi promesso a papà il privilegio di portarti a casa… »
I gemelli lo squadrano, sbalorditi da queste parole, mentre io rimango a bocca aperta.
« Ma… » provo a ribattere, ma Tamaki mi prende per mano e mi trascina (letteralmente) a bordo della limousine lunga un chilometro che aspetta appena fuori dall’ingresso.

L’atmosfera all’interno della macchina è a dir poco tesa. Perlomeno da parte mia: mi è impossibile, infatti, intuire anche solo lontanamente le ragioni del perché Tamaki proprio oggi abbia fatto ricorso a un simile sotterfugio per accompagnarmi
Lui, invece, sembra perfettamente rilassato: come un bambino che ha finalmente ottenuto ciò che voleva.
« Uffa, che stress! » esclama, a un certo punto, rompendo il silenzio creatosi. « Liberarsi degli Hitachiin è quasi impossibile… »
Annuisco, fissandolo.
« Quello che non capisco è perché tu ti sia voluto… » come sempre, vengo interrotta.
Stavolta, da un enorme pacco, racchiuso in preziosa carta da regalo a colori vivaci (un fitto motivo di ventagli dorati e fiori di ciliegio su fondo crema), legato con un sontuoso fiocco in velluto verde smeraldo.
Tamaki me lo porge con un sorriso strano. Non quello allegro che rivolge ai suoi amici, non quello melenso e teatrale che riserva alle clienti, ma un sorriso vero. Più simile a quello che ha quando parla di sua madre che a tutti gli altri, studiati e, in certo modo, falsi che sfoggia di solito.
« Aprilo» dice. « È per te».
Attonita, troppo stupita persino per ribattere o rifiutare il dono, sciolgo il nastro e apro la carta.
E, quando finalmente ne scorgo il contenuto, trattengo il fiato per lo stupore.
È una pregiatissima edizione di Genji Monogatari, risalente apparentemente agli anni venti, in piena Restaurazione Meiji. Il formato è enorme, la spessa copertina è rilegata in una delicatissima seta seppia, presumibilmente ingiallita dal tempo, in cui i caratteri kanji che ne delineano il titolo sono stati tracciati a mano, in china nera, con un’elegante calligrafia.
A fianco del titolo, un meraviglioso disegno, eseguito anch’esso a mano, raffigura una dama in abito di corte Heian (l’uni-jitoe, i tradizionali dodici kimono sfoderati sovrapposti che all’epoca costituivano la veste femminile negli ambienti reali), i lunghissimi capelli che si dilungano fino all’orlo della copertina, svanendo. Presumibilmente, il disegno raffigura Murasaki Shikibu, l’autrice del romanzo.
« È… » deglutisco, gli occhi dilatati per l’emozione di stringere tra le mani un simile capolavoro, « è bellissimo… »
« Vero? » osserva Tamaki, con voce delicata e gentile, senza rompere l’incanto di questo momento. « Se lo apri, scoprirai che all’interno ci sono illustrazioni dipinte a mano praticamente su ogni pagina… » spiega, in un tono garbato che raramente gli ho sentito.
Faccio per aprirlo, ma nel momento in cui sto per alzare il frontespizio mi rendo conto improvvisamente di quanto deve costare un volume simile. Pertanto…
« Non posso accettarlo» concludo, sia pur a malincuore, prendendolo e posandolo delicatamente sulle ginocchia di Tamaki, che mi guarda sbalordito.
Evidentemente, per una volta non si aspettava davvero che avrei osato rifiutare un dono tanto confacente alla mia natura.
« Perc… »
Ne prevengo l’obiezione.
« È un oggetto troppo di valore, non posso veramente accettarlo » concludo, in tono fermo.
Tamaki rimane qualche momento a incassare la risposta, poi quel suo sorriso gli ricompare in viso.
« Quando oggi Kaoru ti ha chiesto perché leggi così tanto tu gli hai dato una risposta assolutamente non attendibile » esordisce.
Ora è il mio turno di essere stupita: cosa c’entra quella domanda con il mio garbato rifiuto?
Rimango a osservarlo, mentre continua a parlare: « Sì, la tua replica era assolutamente piena di buon senso… » sbuffa, liquidandola con un gesto vago, « ma non era quello che realmente pensavi, vero? »
All’improvviso, ciò che intende dire mi si dipana all’occhio della mente con una certa chiarezza.
« No, ma… »
« Ascoltami, Haruhi… » mormora lui, sporgendosi verso di me, sempre sorridendo, ma in un modo… più serio, mi parrebbe (se una cosa simile non fosse un ossimoro). « Ora potresti dirmi perché leggi così tanto? Intendo, la risposta autentica ».
La sua domanda mi lascia così sconcertata che non posso fare a meno di dargli seguito positivo.
« Be’… perché mi piace», dico; e, mentre lo faccio, mi rendo conto che, effettivamente, non è del tutto così.
Lui annuisce, incoraggiante.
« E…? », continua. Come ha fatto a capire che non gli ho detto tutto? È forse una specie di mago?, o magari dall’esitazione nella mia voce?
Come se la mia mente si aprisse davanti allo sguardo gentile ma non inquisitivo di Tamaki, fornisco in un soffio (abbassando gli occhi) l’ultima risposta.
« Leggo per legittima difesa» mormoro. E lui, di sottecchi, annuisce.

La mia infanzia è stata più o meno felice, ma tremendamente solitaria. Dal momento in cui mia madre è morta, e mio padre ha improvvisamente scoperto le sue vere tendenze, ho smesso di avere amici.
L’innocenza, la naturale gentilezza dei bambini è una leggenda metropolitana: in realtà, i fanciulli sono crudeli.
Si rendono conto subito se hai qualcosa di diverso, e trovano incredibilmente divertente prenderti in giro per questo. Deriderti. Parlarti alle spalle. Renderti la vita una cosa sgradevole, piena di incerti e insicurezze.
Questo è ciò che mi accadde quando la mia famiglia smise di essere una famiglia normale: mia madre morta, mio padre un travestito, io costretta a farmi carico della conduzione del nostro ménage.
Non avevo amici, ma trentacinque persone in classe pronte a puntare il dito e a godere – letteralmente – di ciò per cui io, segretamente, ancora soffrivo.
Fu allora, credo, che mi resi conto che, dal momento che non avevo più alcuna certezza negli altri (non in un padre troppo confuso e adolescente, certamente non nei coetanei desiderosi solo di trasformarmi in uno zimbello) dovevo averne in me stessa.
Lentamente, mi indurii. Crebbi: una bambina di otto anni che non piangeva e non si disperava, pronta a farsi carico di responsabilità che avrebbero anche potuto piegare degli adulti.
Piano piano, divenni insensibile (o, meglio, imparai a mascherare sotto strati e strati di distacco la mia sensibilità). Ai bisogni del corpo, ma non della mente.
Mi piacerebbe dire che trovai nei libri quella compagnia, quel conforto che desideravo, nascosti tra le loro pagine leggere e profumate, che mi sorridevano da dietro le linee armoniose di ogni carattere, ma non è così.
La pura verità era che, vedendomi leggere, nessuno mi sarebbe venuto a disturbare con prese in giro, risate o altri sgradevoli contatti. La pura verità era che leggevo per difendermi.
Fu così che divenni la prima della classe: un titolo che, più ch’essere un merito, divenne per me un usbergo d’amianto dietro cui trincerarmi.
Questo meccanismo d’isolamento, in cui i libri si trasformavano in un comodo paracadute posto tra me e l’umanità, continuò anche quando andai alle medie.
Lì mi feci qualcosa di simile alle amiche, a una compagnia con cui trascorrere il tempo libero. Un po’ riuscii a sciogliermi, a diventare meno strana, fredda, insensibile.
Tuttavia, quando iniziai a rendermi conto che alcuni ragazzi erano interessati a me ma non solo per la mia amicizia, quel distacco manifestato un tempo tornò a palesarsi.
Temo, con gli anni, di aver perso qualsiasi fiducia nelle possibilità del corpo.
Mia madre era una donna meravigliosa, brillante e capace, che era stata tradita dal proprio corpo: un corpo che si era ammalato, che non aveva reagito alle cure.
Mio padre era un uomo allegro, bizzarro, forse un po’ immaturo, che era stato preso in giro dal proprio corpo, e solo dopo la morte di mia madre si era reso conto che avrebbe preferito essere una donna.
Io? Non era stato certo il mio corpo a salvarmi dall’esistenza grama e solitaria che avevo condotto da bambina. Era stato il mio cervello: solo quello contava.
Il mio corpo non doveva essere desiderato: io non ero carina.
Io ero intelligente. Io meritavo incontestabilmente la corona di prima della classe, prima per i voti, prima per la condotta. Ma non ero bella. Io ero intelligente.
Leggere era l’attività principe, quella che gridava a tutti questa realtà: io ero quella intelligente.
Chi cercava una carina, andasse altrove.

Il sorriso di Tamaki non s’incrina minimamente, mentre mi alza delicatamente il mento con una mano, piantando i suoi occhi nei miei.
Non mi sono mai resa conto, in effetti, di quanto possa essere penetrante il suo sguardo, dietro il velo stolido con cui lo ammanta di solito.
« Ho capito» afferma, con voce gentile. E, per una volta, ho l’impressione che abbia compreso sul serio.
Mi porge con gesto garbato, un mezzo inchino addirittura, il pesante volume del Genji Monogatari.
« Accettalo » dice, e la sua non è una preghiera o una richiesta, ma un semplice dato di fatto. Non posso fare a meno di prenderlo.
« Sai, » comincia, mentre la macchina imbocca la mia via e inizia a rallentare, « ho pensato di regalarti questo volume non solo perché la tua copia è ormai da buttare… » osserva, indicando la mia cartella che giace a terra accanto a me, « ma perché è bella. Non pensi anche tu? Il contenuto è lo stesso… » dice, picchiettandomi delicatamente un polpastrello sulla fronte, mentre io lo fisso, esterrefatta, « la storia è la stessa di sempre, emozionante, romantica. Interessante e brillante. Intelligente, » e qui mi sorge il dubbio che non stia parlando precisamente del Genji, « ma bella. Anzi, intelligente e bella. Una cosa non esclude l’altra, ti pare? »
La macchina si ferma; l’autista scende e mi apre la portiera.
« Signore… » dice, con un inchino, invitandomi a scendere.
Io, come ipnotizzata, continuo a osservare Tamaki, vedendolo e non vedendolo.
Lui mi sorride, ma ora il suo sorriso non è più quello vero: sembra piuttosto il solito, scanzonato e allegro.
« Ci vediamo domani! » esclama, salutandomi.
Io scendo dalla limousine, con passo da fantasma, vedendolo farmi “ciao-ciao” con la mano prima che i vetri oscurati salgano a celare la sua figura.
È solo mentre la macchina si allontana lungo la modesta via dove abito che mi rendo conto che stringo ancora tra le braccia il prezioso volume del Genji Monogatari.

view post Posted: 28/7/2009, 14:01 [16/06/09] Omaggio a Mrs. Fletcher - Contest terminati
Perdonatemi, vi dispiacerebbe se m'iscrivessi, o sono in ritardo?
view post Posted: 1/3/2009, 21:40 [08/12/08] As Time Passes By - Contest terminati
Mi spiace per il disagio causato, prima per rimandare la consegna poi per i vostri gentili consigli. Purtroppo devo tirarmi indietro dal partecipare, a causa di problemi di salute che hanno inficiato la stesura del lavoro.
Porgo ancora le mie più umii scuse.
view post Posted: 13/1/2009, 15:17 [08/12/08] As Time Passes By - Contest terminati
Grazie, lo spostamento, se non infastidisce gli altri utenti, mi farebbe comodo.
33 replies since 27/10/2006