Forum Scrittori e Lettori di Horror Giallo Fantastico

Posts written by Marco S. Di Fonzo

view post Posted: 1/5/2021, 09:29 Skannatoio Marzo - Aprile 2021 - Lo Skannatoio
Ciao a tutti. Senza voler scendere nel melodramma, sappiate che mi è appena capitato di spiegare a mia figlia di 7 anni quanto sia importante ricevere delle critiche negative per quello che si fa, soprattutto quando sono motivate, e soprattutto quanto sia importante saperle accettare. Le sto trasmettendo questo insegnamento mentre ho davanti a me questo sito, con le vostre recensioni. Quindi ci terrei nuovamente a ringraziarvi tutti perché il servizio che ognuno di voi rende - anche quello dei partecipanti - è fondamentale in un percorso di crescita. Il mio primo pensiero sarebbe quello di riscrivere la storia facendo tesoro dei vostri suggerimenti, e poi riproporvela, perché uno avrebbe voglia di dimostrare subito che ha capito, che può e che SA fare meglio. Ma questa pagina si gira e si affronta quella dopo, perché è così che va.
Quindi spero di farmi venire qualche idea per il prossimo Skannatoio, o magari quelli dopo, e ritrovarvi tutti qui ai nastri di partenza insieme a me. Ciao!
view post Posted: 15/4/2021, 22:59 Skannatoio Marzo - Aprile 2021 - Lo Skannatoio
Alexandra Fischer:

Ciao Alexandra
Hai questo modo molto interessante di sviluppare il pensato della protagonista di turno, e al tempo stesso descrivere il contesto in cui si trova. A volte, però, quest’ultimo tende a sparire un po’, soverchiato dall’ego proprio della stessa protagonista. Fatico, in certi frangenti, a entrare in empatia con lei, perché certe sue azioni mi sembrano un po’ forzate, poco naturali. Come anche certi suoi comportamenti. Mi è capitato con Mara come mi era capitato, mesi fa, con Rubinia. Stavolta però mi è capito anche con altri personaggi del tuo racconto.
Ad esempio, in questo passaggio:
Lui l’accarezzò su entrambe le guance: − Avrei scelto te e lasciato che uccidessero i miei familiari pur di seguirti.
Mara gli sfiorò le labbra, commossa: − E il tuo studio di architetto?
Ecco, uno che dice una frase del genere per me qualche turba psichica deve averla, e lei gli va dietro addirittura commuovendosi.
Ma Mara, inoltre, come fa a non angosciarsi per la morte dei suoi amici d’infanzia? Pare non gliene freghi nulla. Il loro ingresso sulla scena precede di pochissimo la loro uscita, e finiscono per essere quello che effettivamente Mara, con i suoi comportamenti, pensa di loro, cioè nulla.
Anche la chiusa finale con il “tradimento” di Mara... Scusa la franchezza, ma valeva la pena renderla così stronza da sputtanare la sorella in quel modo? Oltretutto in una scena precedente ce le hai mostrate molto unite...
Qualche accorgimento qua e là: cerca, se puoi, di ripetere più spesso il nome della protagonista perché nelle prime righe entrano in scena così tanti nomi che se non specifichi il soggetto di un’azione si rischia di fare confusione.
Poi ci sono, anche qui come in “Spicchio di cielo”, dei punti in cui ti sei persa qualche parola per strada. Mi stupisce, per questo motivo, vederti postare il tuo racconto con così ampio anticipo sulla scadenza, probabilmente basterebbe qualche altra lettura, il tempo ce l’hai. Però ho visto in rete che hai pubblicato diversi romanzi, quindi sono sicuro che in questa circostanza si è trattato solo di piccole sviste.
Ti faccio alcuni esempi:
-Piero era alla guida del con accanto Mariagrazia
- Mara gli sfiorò le labbra di Mara
...Facciamoci un giro per conto −.
...avessero contenuto e depositi di viveri.
In quest’altro passaggio, invece, probabilmente hai invertito il personaggio perché la sorella di Mara non può parlarle dandole del lei:
Leonora, la quale le si avvicinò calma e si rivolse a Mara: − Ha il coraggio di dare della ribelle a sua sorella?
Comunque devi insistere e proseguire con questa tua passione, hai belle idee e i risultati arriveranno senz’altro.


Mentiskarakorum:

Il racconto è senz’altro scorrevole e piacevole da leggere.
Al di là dei paletti narrativi, che hai senz’altro azzeccato, mi piace il modo che hai di ammiccare al lettore. È tipico della prima persona in un certo tipo di narrazioni, e anche questa si sposa bene con questo modo di fare. Mi spiego meglio: ammiccare al lettore e rivolgersi direttamente a lui sottintende una certa ironia di fondo, e quello che capisco è che tu abbia voluto far trasparire questa ironia, a cominciare dal titolo e dalla cantilena che balla nella testa del protagonista, per arrivare al finale “trash”.
C’è un altro elemento che mi fa propendere verso l’intenzione umoristica del racconto, e cioè il fatto che il protagonista, che si trova nella merda fino al collo, “ferma il tempo” cominciando a descrivere se stesso e quello che fa, e come si è trovato in quella situazione, e lo fa usando il tempo presente. Questa scelta è tipica del racconto umoristico, e mi ha fatto venire in mente in molti passaggi la frase di apertura “salve, sono Troy McClure!” (sono sicuro tu colga la citazione).
Se questo non fosse un racconto volutamente umoristico, difficilmente potresti spiegare il fatto che il protagonista, nel bel mezzo del pericolo, si fermi per le presentazioni e lo faccia usando lo stesso tempo verbale scelto per tutto il racconto. È un po’ come quelle sigle di apertura dei telefilm degli anni ’80, dove il protagonista è intento, che so, a svitare una lampadina, poi all’improvviso si ferma e fa un ampio sorriso in camera, e sotto di lui compare il nome del personaggio interpretato insieme a quello dell’attore. Ecco, queste sono le immagini che leggere questo racconto mi ha suscitato.
In tutto questo, potrebbero esserci delle scelte lessicali un po’ troppo “forti” per lo spirito del racconto, ad esempio quando parli di “mestruo” o di “sperma”: possibile non ci fossero altri modi per rendere l’idea? Preciso, non è un commento bigotto il mio ma solo un appunto sulla coerenza di fondo che deve permeare la storia.

Legno di noce:
Il tuo racconto mi ha coinvolto molto, e tenuto davvero con il fiato sospeso.
Credo solo, non me ne volere, che il finale risulti un po’ troppo affrettato. Forse avresti potuto mostrare di più, calarci maggiormente nella realtà, darci qualche appiglio ulteriore. Di sicuro è una scelta azzeccata ambientare la storia in un posto che potremmo conoscere tutti, facendo rimandi a strade ed edifici che esistono realmente. Contribuisce a rendere ancora più angosciante e coinvolgente la storia.
Altro punto di forza secondo me è la gestione dei dialoghi. Hai usato un impianto stilistico molto attuale e comune a romanzi di successo recente. E’ facile nel tuo caso, e mai scontato in generale, ricondurre le parole a colui/colei che le pronuncia.
Posso solo chiederti come mai hai scelto di far parlare, ad uno dei personaggi, due lingue? Di solito mi è capitato di vederlo fare con le esclamazioni. Ad esempio, se Sarah avesse avuto occasione di, che so, pestarsi un dito con il martello mentre piantava una tenda, sentirle pronunciare un rabbioso “shit!” sarebbe stato più naturale che sentirle pronunciare “a flower” quando fino a pochi attimi prima ha parlato in italiano.
Comunque sono stato contento di leggerti e spero di poterlo fare ancora.


Gruenermond:
il tuo racconto storico è ben scritto, anche se molto lontano dai miei gusti personali. Mi piace l’uso della prima persona al passato, mi sa meno di telecronaca rispetto all’uso del tempo presente. Trovo anzi più sensato che si possa ricordare qualcosa che è appartenuto al proprio passato, e lo si faccia mostrando ciò che è stato. Forse è vero che la prima parte è un po’ appesantita da dialoghi pomposi, poi con l’arrivo dell’azione tutto scorre meglio.
Il finale, forse troncato un po’ troppo di netto, avrebbe potuto portarci meglio lo sconvolgimento interiore della protagonista.

Truemet:
Ciao, devo dire come prima cosa che i riferimenti a TWD con i nomi storpiati sono una chicca da veri nerd, e come tale l’ho apprezzata.
Però ho faticato a starti dietro per quasi tutto il racconto. L’idea alla base, il fatto che il processo di trasformazione sia reversibile, è una trovata interessante, ma avrebbe meritato una narrazione più ponderata e soprattutto coerente, senza dover essere per forza lenta. Se dai per scontata la reversibilità della trasformazione, devi un minimo contestualizzarla, farla digerire al lettore con i tempi giusti. Invece la fai diventare una girandola di trasformazioni che fa perdere il filo.
In alternativa, avresti potuto presentare la novità di questa trasformazione reversibile come il colpo di scena finale, ma mi rendo conto che sarebbe stato un racconto completamente diverso.
Sono sicuro, però, che scrivere questo pezzo ti abbia divertito un sacco, e questo secondo me è il modo migliore per iniziare a cimentarsi con la scrittura.

Francis Luke:
Caro Francis, il tuo è il racconto che mi è piaciuto di più. Avvincente e dal finale sorprendente.
In alcuni passaggi avresti forse potuto presentare meglio i personaggi, contestualizzare meglio le scene (non si capisce subito, all’inizio, di chi è la ferita che il reverendo sta bendando, se sua o di altri, e in questo caso avresti potuto tranquillamente fare subito il nome di Franciszek).
Ma davvero, dovrei sforzarmi per trovare qualcosa che non va. Spero di poterti leggere ancora.

CLASSIFICA FINALE:
1) Montecristo
2) La midriasi bianca
3) In fondo al mar
4) 1478
5) Mordimi
6) La strada delle mattonelle blu
view post Posted: 5/4/2021, 14:28 Skannatoio Marzo - Aprile 2021 - Lo Skannatoio
Ciao Mentiskarakorum, intanto grazie dei consigli. Sto provando a migliorarmi, a cominciare dalla regola dello show, don't tell. Sul PdV devo fare pratica, mi sono reso conto che nelle scene Donnie-Billy mostro sensazioni di entrambi e dovrei evitarlo, cioè focalizzarmi o sull'uno o sull'altro - ed è chiaro che nel contesto avrei dovuto indugiare di più su Donnie.
Riguardo agli infodump, posso chiederti quali sono le parti che ti danno l'impressione di essere infodump? Ho cercato il più possibile di limitare alcune informazioni al ricordo di Donnie, circoscriverle, cioè, a qualcosa che fosse interno al suo vissuto.
Una precisazione sullo sguardo, prima frase: non è fissare nel senso di "vedere" o "guardare intensamente", ma proprio di fissare. Fissare lo sguardo in un punto non vuol dire vedere un riflesso del proprio sguardo, ma puntarlo su qualcosa.
Quindi il senso della frase è "Donnie fissa il vecchio e il vecchio fissa Donnie". Onestamente non mi sembra stonata, ma accolgo il tuo parere come spunto di riflessione ulteriore per il futuro.
Grazie ancora! :)
view post Posted: 2/4/2021, 19:52 Skannatoio Marzo - Aprile 2021 - Lo Skannatoio
Grazie Alexandra per il tuo bel commento, e grazie Mentiskarakorum per la tua magnanimità: speriamo incontri anche quella degli altri oltre che del buon White (non Walter: l'altro :D ).
E ti ringrazio anche per esserti ricordato di me. Diciamo che mi sono preso del tempo per iniziare a studiare come si deve, ho preso sonori schiaffi anche da un noto scrittore di fantasy storici italiano che ho iniziato a frequentare assiduamente e di cui sono diventato da poco corsista. Ho capito che di nozioni da imparare ce ne sono un'infinità, e sono solo agli inizi.
A questo punto posso dire, senza che nessuno si offenda, di aspettare con particolare ansia proprio il tuo commento. :D
view post Posted: 1/4/2021, 22:23 Skannatoio Marzo - Aprile 2021 - Lo Skannatoio
Ciao a tutti. Mi sono reso conto di un imperdonabile errore nella stesura dalla prima alla seconda bozza, che mi ha portato, rileggendomi, a una scarsa aderenza al tema.
Chiedo pertanto di non essere considerato ai fini del punteggio finale, per rispetto degli altri partecipanti e delle regole.
Se vorrete leggermi comunque mi farà piacere, farò altrettanto con le vostre opere.
Grazie e scusate.
view post Posted: 30/3/2021, 19:08 Skannatoio Marzo - Aprile 2021 - Lo Skannatoio
Pronti!
Eccomi a riprovarci con il mio testo di 23mila e rotti caratteri.

LA VOCE DELLE FOGLIE

Donnie fissò il suo sguardo di indifferenza negli occhi del vecchio, e il vecchio ricambiò.
Il vento si andava rinforzando, foglie secche turbinavano intorno ai polpacci nudi di Donnie e gli pungevano la pelle, ma lui non se ne curò e riprese a scavare. Un brontolio familiare, simile a uno sbuffo, gli arrivò da dietro, ma ignorò anche quello. Continuò ad affondare la pala nel terreno umido, a ripetere il gesto con sempre maggiore veemenza, per un tempo che parve rallentare fino a fermarsi del tutto. Gli fischiavano le orecchie. Appena ebbe finito, scagliò via l’attrezzo, si arrampicò oltre il bordo della fossa e si fermò a scrutare in ogni direzione il vuoto pezzo di terra nel quale si trovava. Era solo.
Di nuovo lo sbuffo contrariato alle sue spalle. Donnie si voltò. «Va tutto bene, Jack. È solo il vento. Calmati, bello.»
Ma Donnie comprendeva lo stato d’animo del suo cavallo. Doveva sbrigarsi a tirare giù dal carro quell’ultima cassa, o Jack l’avrebbe abbandonato lì in compagnia di un morto che non voleva restare morto.
Devi imparare ad avere più rispetto per quello che fai, amico.
«Non è il momento, Billy» disse Donnie alla voce di bambino che gli parlava nella testa. «Lasciami in pace.»
Non è colpa mia se vedi quello che vedi.
Donnie sospirò. Billy aveva ragione, vedeva delle cose e nessuno poteva farci niente. Mestamente, scrollò via il fango dalle scarpe, raccolse la pala e la conficcò nel terreno. Quindi scaricò a terra la cassa (non senza accertarsi prima che il coperchio fosse ben inchiodato) e la trascinò sul fondo della fossa. Dai giovani muscoli in tensione sotto la blusa pulsavano lampi di dolore, un formicolio persistente si riverberava fino ai palmi delle mani. Dodici anime aveva consegnato alla terra in un solo pomeriggio, e ciascuna di esse gli stava presentando il conto.
Donnie si domandò se era questo che suo padre voleva davvero, quando saltava sulla sedia a ogni offerta di lavoro pesante e ben pagato per quel suo possente figliolo. «Prestami quel portento di ragazzino» gli dicevano, «e ti do un extra se finisce prima del previsto». Era stata gente di parola, per la maggior parte. Il resto, contava meno dei vermi che brulicavano a ogni colpo di pala.
«Donalbain è un nome troppo complicato per quelli come te, figliolo» gli ripeteva spesso suo padre. «Quella santa donna di tua madre è morta con quel nome sulle labbra, quando sei nato. Ma per me Donnie è perfetto. Donnie è quello che sarai d’ora in avanti, e imparerai a farti portare rispetto dalla gente, anche con quel nome.»
Donnie non aveva mai capito se prenderlo come un complimento, ma fare lo scavafosse per tutto il Territorio gli aveva fatto guadagnare, se non altro, la considerazione dei morti. «Sono un papa» disse, lasciando che il vento gli rinfrescasse il viso. «Se mai incontrerò un altro scavafosse su questa stessa terra, vorrà dire che il morto da sotterrare sarò io.»
Jack levò un nitrito basso e gutturale.
È ora di muoversi, Santità, disse Billy nella sua testa. Lo senti?
Donnie tirò su con il naso. Odore di pioggia. «Merda, hai ragione.»
Guardò il cielo pesante, poi il viottolo da cui era arrivato, poco più che un ammasso di pietruzze che il fango avrebbe inghiottito in pochi minuti. Se fosse rimasto bloccato lì, con le ruote del carro impantanate fino ai mozzi, suo padre gli avrebbe spaccato la testa in due e fatto uscire anche l’ultima eco di quella vocina indiscreta.
«Prima devo fare una cosa.»
Donnie...
«Devo, ho detto.»
Lo sai come andrà a finire.
Ma a Donnie non importava. Raccolse la pala e ricoprì l’ultima fossa, poi indugiò davanti alla bassa lapide. Si portò tre dita della mano destra sulla fronte, da lì alla bocca e infine al centro del petto. Era il segno distintivo dell’antica Chiesa degli Uomini di Gareth, di cui suo padre era stato per molti anni un importante esponente. Professava il credo del Territorio, uno spoglio altopiano al di sotto del quale si allungavano a perdita d’occhio le lussureggianti colline dell’Enclave Elfica. Laggiù erano soliti seppellire i loro morti nei tronchi cavi degli alberi più vecchi, perché con le piante vivevano una sorta di simbiosi; agli uomini di Gareth, invece, non era rimasta che una nuda terra da riempire e nutrire con i metodi antichi. E a Donnie, in fondo, andava bene così.
Saltò sul carro per riprendere la strada di casa, accolto da un nitrito vivace di Jack, e si voltò a guardare un’ultima volta il campo che si accingeva a lasciare. Una piccola folla di spiriti lo fissava imperturbabile, chi seduto sulla propria lapide, chi in piedi con un moschetto tra le mani o appoggiato a esso a mo’ di bastone, chi semplicemente a braccia conserte. Donnie sapeva che non si sarebbe mai abituato a tutto quello. Percorse lo stretto viottolo in una sorta di parata silenziosa, dondolando sul sedile e ricambiando gli sguardi vuoti di uomini e donne di ogni età ed estrazione. Pensò ai loro corpi, a come si stessero consumando in quella terra arida, alcuni soltanto da giorni, altri probabilmente da prima che lui nascesse. Si abbandonò a un lungo e misurato sospiro, stringendo le redini fino a farsi diventare le mani esangui, pronto a rispondere a uno scarto improvviso da parte di Jack, o a qualunque altro segnale che gli comunicasse che il povero animale stava per cedere al panico.
«I cavalli sanno essere più espressivi degli esseri umani» era stato un altro degli insegnamenti di suo padre. Subito dopo aver pronunciato quelle parole, gli aveva mostrato gli impercettibili movimenti delle orecchie del suo Jack, quei piccoli scatti avanti e indietro che sembravano del tutto involontari. «Lo fa perché è nervoso, non ti conosce ancora» gli aveva detto. «Adesso calmalo.»
E Donnie aveva imparato a calmarlo. Ora, in quella passerella all’inferno, era come se entrambi sapessero di poter contare solamente l’uno sull’altro.
La pioggia iniziò a picchiettare le braccia di Donnie come una miriade di minuscoli strali roventi. Il ragazzo si massaggiò la pelle, scoprendola gelata.
Una donna con un bambino in fasce emerse da dietro un cespuglio, tagliò loro la strada e si dissolse in un fruscio di foglie secche dall’altro lato del viottolo. Jack levò un nitrito lungo e dolente e per un attimo Donnie temette il peggio. «Sono qui, amico mio. Sono qui con te.»
Ha paura.
«Lo so.»
Tu no?
«Non me lo posso permettere. Devo prima fare una cosa.»
La pioggia iniziò ad appesantire il terreno, fagocitando le anime e disperdendole in un velo d’acqua che diventava sempre più spesso. Donnie fletté i muscoli e sporse la testa in avanti, come la polena minacciosa su un vascello da guerra in mezzo alla tempesta.
Non farlo, disse la vocina dentro la sua testa.

***

«Vedi di non dirlo a nessuno» disse Donnie, tossicchiando e sputacchiando ai piedi di Billy pezzetti di roba marrone.
Billy era rimasto a fissare l’amico intento ad arrotolare un pezzo di carta e a infilarvi dentro qualcosa che assomigliava a ciuffi d’erba scura, ma quando l’aveva visto accendere un fiammifero e portarsi la sigaretta alla bocca, aveva sgranato gli occhi.
Si erano nascosti nel loro posto segreto, un muro senza spigoli che aveva sentito fantasie di ogni tipo, nelle quali Donnie e Billy entravano nell’Enclave Elfica come eroi provenienti da un altro mondo. Era il muro perimetrale del vecchio abside della Chiesa degli Uomini, oltre il quale una striscia di terra incolta si allungava fino a diventare uno sperone roccioso che sovrastava i boschi dell’Enclave.
In lontananza, dalla parte opposta, i festeggiamenti per l’ufficialità del fidanzamento di zia Beth, sorella del padre di Donnie, giunta a Gareth dalla lontana Portomagno, arrivavano ai due ragazzi come un’accozzaglia scoordinata di suoni, grida e risate.
Billy drizzò la schiena e assunse un’aria solenne. «Sono grande anch’io, adesso, che cosa credi?»
Donnie sapeva che in un certo senso era vero; quell’anno Billy aveva compiuto dieci anni e ricevuto il suo primo cavallo, come tutti i figli maschi del Territorio raggiunta quell’età, e come lo stesso Donnie due anni prima di lui. Guardò Billy con studiata supponenza, la sigaretta stretta tra due dita. Roteò il polso con un gesto teatrale e la offrì all’amico. «Vediamolo, quanto sei grande. È tutta tua.»
Billy non se l’era aspettato. Deglutì rumorosamente, si guardò intorno e allungò la mano, esitante.
Donnie ritirò subito la sua e scoppiò a ridere. «Ma finiscila!» Strappò un mucchietto di foglie e lo lanciò in aria, incapace di trattenere le risate.
Billy si ritrasse deluso. Poi, in un lampo d’orgoglio, si tastò il fianco e ricambiò l’occhiata di scherno di Donnie. «Tanto questa ce l’ho io» disse, serrando la mano sull’elastico che gli pendeva lungo la coscia.
Donnie gli aveva sempre invidiato quella fionda. Tirò un’altra boccata e gettò via la sigaretta, disgustato. «Di’ un po’» disse in un tono cospiratorio, mentre Billy gli si sedeva accanto. «Lo sai che cosa potremmo farci, con quella?»
Billy abbassò lo sguardo sulla fionda e sfidò l’amico. «Potrei farci».
Donnie alzò gli occhi al cielo. «D’accordo... che cosa potresti farci.»
Billy era tutt’orecchi.
«L’hai sentita la storia che va raccontando il vecchio Jebediah?»
«Quello che se ne sta sempre a bere?»
«Sì, ma stavolta è tutto vero, pare. Dice che un mostro alto quanto tre uomini si è mangiato le teste delle sue pecore. Tutte! Dalla prima all’ultima.»
Billy emise un sonoro bleah! e Donnie gli tappò la bocca. «Zitto!» gli disse, guardandosi attorno. «Nessuno deve scoprirci quando andremo a cercarlo.»
«Andremo a cercare chi?»
«Mio nonno... Quel mostro! E chi, se no?»
Billy spalancò la bocca e Donnie tornò a farsi serio. «Comunque, secondo me, Jeb Vuotatazze era talmente ubriaco che ha visto un orso e l’ha scambiato per chissà cos’altro. Ma la storia delle pecore decapitate è vera, lo sanno tutti.»
«Decapitate...» ripetè Billy, perso nella sua immaginazione. Si portò una mano al collo. Donnie osservò la scena divertito, ma quel particolare si era inchiodato in testa anche a lui, quando l’aveva saputo.
All’improvviso, un grido lancinante disperse i loro pensieri. Proveniva dalla festa di zia Beth. Donnie e Billy si guardarono, e senza dirsi una parola si lanciarono in quella direzione. «Aspettami!» gridò Billy, tastandosi il fianco e rinsaldando la presa sulla sua fedele fionda.
Sul banchetto della festa sembrava essersi abbattuto un ciclone. La gente era come impazzita; correva in ogni direzione, rovesciava tavoli e si spintonava a vicenda. «Attenti!» gridava qualcuno. «Scappate!»
Un potente ruggito si levò nell’aria, ergendosi al di sopra delle grida di panico, e Donnie vide il motivo di tanto trambusto. Un enorme orso nero come la notte stava ritto sulle zampe posteriori, le fauci grondanti di sangue, sulle quali pendeva ancora un brandello di tessuto di colore bianco. Donnie abbassò lo sguardo ai piedi dell’animale e vide il corpo. Non poteva scorgerne il volto, ma riconobbe per primo il vestito. Zia Beth.
Non provò nulla. Non la vedeva da anni, per lui era poco più che una sconosciuta, ma sapeva che sarebbe stata l’ennesima mazzata per suo padre, e provò una pena infinita per lui. Chissà dov’è, adesso. Chissà se mi sta cercando.
«Donnie, aiutami!» La voce di Billy. Donnie si voltò e lo scorse tra i corpi delle persone che si avvinghiavano e si affannavano per mettersi al sicuro. Era a terra, carponi. Donnie si precipitò nella sua direzione, e un istante dopo l’orso si mosse all’inseguimento.
«Andiamo a prendere i cavalli!» gridò Donnie, aiutando Billy a rialzarsi.
«Attento!»
Donnie seguì lo sguardo atterrito di Billy e vide l’orso che avanzava a una decina di metri da loro.
Un colpo di moschetto rimbombò nell’aria. L’orso scartò di lato all’ultimo secondo, li superò e andò a ripararsi nella bassa boscaglia che divideva il Territorio dall’Enclave Elfica. Donnie mise a fuoco il volto del padre dietro il moschetto fumante. Vide che aveva ancora gli occhi arrossati dal pianto.
«Prendi il ragazzo con te e tornatevene a casa.»
«Papà...» disse Donnie con voce tremante, indicando ciò che restava di zia Beth.
«Lo so» rispose suo padre, senza voltarsi. Poi se ne andò.
I ragazzi recuperarono i cavalli nel silenzio più totale. Donnie montò Jack e tese la mano all’amico, ma Billy insistette per montare il suo Apollo. ‘Puoi nascere cowboy in una famiglia di cowboy’, pensò Donnie, rievocando una vecchia frase di suo padre, di cui solo ora si rese conto di aver compreso il significato. ‘Possedere un cavallo tuo non è solo cavalcare fuori dal nido: dice agli altri chi diventerai’.
«Era quello il mostro di cui parlava quel vecchio ubriacone di Jebediah, vero?» domandò Billy.
Donnie annuì. Non lo sapeva, in realtà, ma quello che sentiva montargli dentro colmava ogni spazio lasciato, fino a un attimo prima, all’incertezza. «Andiamo a prenderlo?»
Billy fissò un punto indefinito in mezzo a loro. Prese a tastarsi il fianco, e quando ebbe trovato il suo tocco rassicurante, estrasse la fionda dai pantaloni e la sollevò davanti a sé come una reliquia del passato. «Io ho solo questa.»
Senza dire nulla, Donnie sollevò un lembo della bisaccia che teneva appesa alla sella di Jack, e ne estrasse per metà una Colt con il calcio d’osso. Cercò lo sguardo di Billy e sorrise. La sua mascella caduta era più eloquente di qualunque commento. Donnie richiuse la bisaccia e le diede un colpetto con la mano, come a volerne saggiare la tenuta. «Mio padre non ne sa niente.»
Si mossero lungo il sentiero che dal fianco della chiesa scendeva in direzione della boscaglia che cingeva l’Enclave. Era una sorta di territorio franco, anche se gli uomini, sul finire della stagione calda, ne invadevano ogni anfratto per procurarsi legna da ardere. Ma Donnie era sicuro che quel giorno non avrebbero incontrato nessuno. Conduceva Jack con espressione concentrata, le orecchie tese e lo stomaco in subbuglio per l’eccitazione. Billy lo seguiva pochi passi indietro; di tanto in tanto Donnie lo sentiva tirare su con il naso, e in più di un’occasione si ritrovò a domandarsi se stesse piangendo e non volesse darlo a vedere. Tuttavia non si sarebbe voltato per chiederglielo, perché sapeva che se l’avesse fatto avrebbe rischiato di spezzare l’incantesimo. L’imbarazzo di doversi giustificare avrebbe dissolto il coraggio che, per avere dieci anni, Billy gli stava dimostrando.
«Quella laggù è l’Enclave» disse Billy comparendogli sul lato destro, e Donnie sussultò per la sorpresa. Il ragazzino gli stava indicando una fila di alberi dal fogliame più scuro, un centinaio di metri più avanti. Una leggera foschia ne permeava i rami più bassi, e anche l’aria sembrava farsi più calda man mano che si avvicinavano.
Il sentiero iniziò a restringersi, e le fronde degli alberi a farsi sempre più basse e fitte. Donnie fece un cenno all’amico, e Billy diede ad Apollo il comando di rallentare e riportarsi al passo di Jack.
«Donnie, attento!» gridò Billy all’improvviso. Donnie ebbe appena il tempo di accorgersi del ramo che si era abbassato un metro più avanti, bloccando loro il passaggio. Digrignò i denti e tirò le redini a sé. Jack nitrì di disappunto, si sollevò appena sulle zampe posteriori e, in un unico movimento scomposto, finì con l’urtare il fianco contro il tronco di un piccolo albero accanto al quale erano appena transitati. Donnie strinse le gambe per non perdere la presa e si chinò ad accarezzare il collo dell’animale per riportarlo alla calma. Poi trasse un respiro profondo e fissò l’amico negli occhi. «Non l’ho visto... Quel cazzo di ramo prima non c’era!»
Billy inarcò le sopracciglia e si passò una mano tra i capelli. «Porca vacca!»
Donnie smontò da cavallo e accarezzò il muso di Jack. Passò intorno all’animale, si accostò a Billy e gli toccò una gamba. «Dobbiamo legare i cavalli.»
Billy saltò a terra e, imitando l’amico, allungò una mano ad accarezzare il collo di Apollo. Sembrava che gli occhi dell’animale gli stessero restituendo un’implorazione silenziosa e disperata. «No... Io Apollo non lo lascio!»
«Sanno che siamo qui» disse Donnie in tono grave, indicando il ramo che tagliava in obliquo il sentiero davanti a loro. «Mio padre mi ha raccontato delle cose, su questi boschi». Pronunciate quelle parole, Donnie compì un lento giro su se stesso. Un intreccio di foglie e rami gli scorse davanti agli occhi in un’unica chiazza del colore degli smeraldi. Più avanti, il tono di verde diventava più scuro e si confondeva nelle ombre degli alberi più alti; al di sopra di tutto, la luce del sole aveva assunto la colorazione dorata del pomeriggio inoltrato, facendo apparire nere e imperscrutabili le cime imponenti che vi si stagliavano contro.
«Allora andiamo via» disse Billy. «Io voglio tornare a casa.»
Donnie si sentì avvampare le guance. «Ma non possiamo tornare indietro adesso!»
«Lo hai detto tu che ci stanno aspettando» ribatté Billy con un filo di voce. «Non ci voglio più andare, laggiù. Non lo sappiamo nemmeno se è da lì che veniva, quel mostro. Non voglio fare la fine delle pecore di Jeb Vuotatazze, non voglio fare la fine di tua...»
Donnie rimase a guardarlo, sforzandosi di rimanere inespressivo. «Dillo.»
Billy incurvò le spalle e abbassò la testa. Stava per chiedere scusa all’amico, ma poi la rialzò di scatto. «Non voglio più stare qui e basta!». La bocca tremante e il tono stridulo annunciavano che era sul punto di piangere.
«E allora vattene!» tuonò Donnie, producendo un suono rauco che li sorprese entrambi. «Vattene! Prendi quel tuo stupido cavallo e tornatene a casa!» Avrebbe aggiunto volentieri qualcos’altro, ma poi avvertì un prurito nella gola e capì che anche la sua voce era sul punto di incrinarsi. Bello spettacolo che gli stiamo dando, pensò lanciando occhiate furtive in direzione del bosco.
Billy afferrò le redini di Apollo e lo condusse al passo per riprendere la strada di casa.
«Sei uno stronzo» sentenziò Donnie. Billy sembrò sul punto di ripensarci, ma fu solo per un attimo. Invece, affrettò il passo e scomparve nell’intrico dei cespugli.
Donnie aveva le mani doloranti, quasi esangui. Continuava a stringere i pugni, e quando rilasciò le dita, si scoprì a tremare da capo a piedi. Legò Jack a un ramo basso, non senza difficoltà, e superò lo sbarramento che lo divideva da un territorio inesplorato.

Camminava da almeno un’ora. Gli ultimi sprazzi di cielo che aveva intravisto, prima di perdersi sotto una coltre di foglie di un colore innaturale, componevano la tavolozza di tinte pastello dell’imbrunire. In poco tempo, l’aria era diventata ferma e quasi irrespirabile. Eppure, dal labirinto vegetale sopra la sua testa, Donnie sentiva provenire i fruscii tipici del vento che passa di foglia in foglia. Erano sussurri che portavano con sé i segreti di un popolo che poche volte si era manifestato al suo mondo. Il tempo di una schermaglia, di un tacito accordo, e il silenzio aveva ripreso a scrivere le pagine di una storia che gli uomini alimentavano con la falsità dei
loro miti. Ma se era vero che l’antico popolo Elfico era rimasto per secoli nascosto tra le radici dei suoi totem nella foresta, senza mai invadere il Territorio, né dare motivo di credere all’imminenza di una guerra tra le due razze, ora era l’uomo la prima creatura a varcare quella fatidica soglia. Donnie avvertì sulle spalle tutta l’insostenibilità di quel ruolo impietoso. Voleva solo vendicare la sorella di suo padre, e quello era tutto fuorché un proposito di pace.
Il fruscio divenne più forte, e Donnie ebbe la sensazione che un’unica voce scorresse tra quei canali linfatici e pronunciasse il suo nome. Respirava a fatica. Si massaggiò le gambe con vigore per scacciare il formicolio di quel torpore improvviso, ma quando rialzò la testa, si ritrovò faccia a faccia con l’orso che aveva inseguito per tutto il pomeriggio. Sentì il cuore schizzargli dalle orecchie, la pressione gli fece schioccare i timpani. Si portò la mano alla cintura, si tastò il fianco e girò su se stesso. Aveva dimenticato la pistola attaccata alla sella di Jack, in qualche angolo di un mondo a cui aveva appartenuto in passato.
L’orso caricò, sbuffando e ruggendo e mangiandosi a ogni passo ben più della semplice distanza che li divideva. Donnie si sentiva venir meno man mano che le zampe della bestia percuotevano il terreno e gli facevano tremare le gambe. Finché gli fu chiaro che non sarebbe mai riuscito a scappare in tempo. Lasciò che tutta l’aria defluisse dai suoi polmoni e chiuse gli occhi.
Qualcosa gli saettò al lato della testa, e un attimo dopo l’orso emise un ruggito acuto e sincopato. Donnie spalancò gli occhi e lo trovò riverso a terra, il muso fumante intriso del sangue che sgorgava da una cavità oculare. Donnie si voltò e vide Billy, la fionda ancora stretta nel braccio teso. Aveva il viso deformato per l’adrenalina.
«Scappa!» gridò Billy, e Donnie sentì la sua voce riverberarsi tra le foglie in una eco senza fine. Vide l’amico che caricava un altro proiettile e tendeva l’elastico fino allo spasimo. Vide il secondo colpo andare a vuoto, e perdersi tra le foglie come un sasso in uno stagno. Vide l’orso piombare addosso al suo amico, scaraventarlo a terra e calpestarlo e colpirlo con una ferocia inaudita. E mentre l’urlo lacerante di Billy si spezzava di netto insieme al suo collo, Donnie pensò a suo padre. Lo vide tra le foglie e nell’erba alta, il volto inzuppato del sangue del suo migliore amico, e solo allora realizzò che non aveva ancora ripreso fiato. Un gemito eruppe dalla sua bocca seguito da un fiotto di bile rovente.
Corse a perdifiato finché la notte non disperse i ruggiti dell’orso in mezzo alla voce delle foglie. Corse senza focalizzare una meta. Corse, inseguito dallo schiocco del collo di Billy che si riverberava tra gli alberi, corse mormorando i nomi degli invitati alla festa di zia Beth. Corse, mentre il filo dei suoi pensieri si perdeva nella direzione opposta e rimbalzava come il vento tra le foglie. Corse, invocando il nome di suo padre.
Non ti lascerò solo.
Non ti lascerò solo.
Io non ti lascerò solo...

***

«Dove sei?» Gridò Donnie davanti alla tomba di Billy. «Perché non ti fai vedere?»
Jack emise uno sbuffo di disapprovazione.
Le anime del campo apparivano nei loro contorni controluce, e un attimo dopo si dissolvevano in un alito di vento. La pioggia aveva incollato le foglie alla pietra e al marmo, rendendoli lucenti e viscidi.
Donnie guardò le date impresse sulla lapide e ripercorse nella mente quel giorno di quattro anni prima. Rivisse la maledizione che albergava tra quei boschi, che si era presa gioco di lui e lo aveva portato, da allora, a incrociare lo sguardo con vassalli di altre epoche, schiacciati sotto il giogo di un’eternità senza pace. Quella stessa maledizione aveva portato Billy nella sua testa, e l'aveva resa l’unica anima presente e invisibile allo stesso tempo. Donnie compiva il suo consueto giro di inumazioni e lo concludeva lì, a parlare alla lapide di un bambino, nella speranza di vederlo anche solo per un istante e chiedergli perdono. Nella speranza di trovare la sua, di pace.
Ma quella era la condanna di Donnie, il suo purgatorio personale. Billy gli parlava con la stessa voce di allora. E lo consigliava, quasi sempre per il meglio. Più di questo non poteva chiedere. Donnie gli dava ascolto a malincuore, sapendo di aver mancato al dovere di farlo nell’unico momento in cui contava davvero. Billy voleva solo tornare alla sua vita, e lui l’aveva insultato.
«Piccolo Billy» disse Donnie. Si inginocchiò e scostò le foglie secche dalla piccola lapide.
Billy non rispose.
Donnie si rialzò, si avvicinò a Jack e gli posò una mano sul muso. «Torniamo a casa, bello.»

Edited by Marco S. Di Fonzo - 30/3/2021, 21:35
view post Posted: 28/3/2021, 09:22 Skannatoio Marzo - Aprile 2021 - Lo Skannatoio
Anche per me nessun problema con la proroga.
Personalmente sono alla chiusa finale e mi tengo stretta la deadline tra due giorni, ma una proroga schifo non fa di certo.
view post Posted: 26/10/2020, 09:06 Skannatoio Settembre - Ottobre 2020 - Lo Skannatoio
Ciao White, grazie a voi e a tutti i partecipanti per i suggerimenti che mi avete dato.
Che dire, non posso negare che mi bruci aver fallito così miseramente, ma tant'è.
Mi prendo però il piccolo merito di essere l'unico ad averci messo nome e cognome, anche se è una ben magra consolazione.
Spero di potermi "redimere" il prima possibile, aspetto con trepidazione un'altra occasione qui nello Skannatoio!
Ciao a tutti
view post Posted: 19/10/2020, 06:55 Nuova, nuova. - Le Presentazioni dei Nuovi Arrivati nel Forum
Ciao Crowlest, benvenuta. Sono anch'io uno degli ultimi arrivati.
Ti consiglio di partire dallo Skannatoio, anche perché mi pare l'unica sezione ancora attiva di questo forum.
Nello Skannatoio si tengono dei piccoli contest a cadenza bimestrale o giù di lì, per tutti coloro che cercano giudizi sulle proprie opere e sono disposti a darne su quelle degli altri. Si partecipa postando, entro la data stabilita di volta in volta dagli organizzatori, un racconto che rispetti le indicazioni fornite: lunghezza, tema, ecc.
Successivamente ci si assume l'onere di commentare tutti i racconti partecipanti, e alla fine viene stilata una classifica che tiene conto sia del merito acquisito da un racconto in base ai vari giudizi, sia dei commenti che vengono postati.

Se parti dallo Skannatoio più recente (settembre-ottobre) ti fai un'idea chiara di quanto ti sto dicendo, e hai la possibilità di leggere i racconti partecipanti.

Ciao!
view post Posted: 17/10/2020, 08:02 Skannatoio Settembre - Ottobre 2020 - Lo Skannatoio
Grazie White, buon lavoro!
Qualcosa mi dice che mi terrò volentieri l’ultima piazza e ne farò tesoro ;)
view post Posted: 5/10/2020, 08:42 Skannatoio Settembre - Ottobre 2020 - Lo Skannatoio
E' vero, la narrativa immersiva è narrativa, ma io la trovo una forma evoluta a forza di steroidi.
E' come il bel canto che cede il passo a rap e trap perché quello che hanno da dire lo dicono in modo diretto e sfacciato.
Quello che intendevo nel mio precedente post è che questo tipo di narrativa attinge a piene mani da altri media che raccontano per immagini - non potendo fare altro - e in cui il lettore è come un operaio che vede scorrere i pezzi sulla linea di montaggio senza che nessuno gli abbia detto a cosa servono e come si usano.
Lo stesso successo che i lettori d'oltreoceano da sempre riscontrano in Europa, e soprattutto in Italia, si spiega, in parte, con il fatto che molti di loro lavorano, da sempre, proprio nel campo del cinema e della sceneggiatura.
Se penso alla narrativa non contaminata, alla narrativa "vera" (per certi aspetti anche alla drammaturgia) mi vengono in mente i classici. Che non possono essere racchiusi, secondo me, in uno sbrigativo "è noioso", perché tutto viene da lì e la loro forza ammaliante non ha tempo, né segue mode.
E' solo che scrivere dialoghi, fare cinema o tv, parlare a un ritmo cadenzato con una base ritmata sotto sono diventate tutte espressioni del medesimo intento di intrattenere per le vie brevi: dare tutto e subito in pasto al primo che capita.
view post Posted: 3/10/2020, 11:43 Skannatoio Settembre - Ottobre 2020 - Lo Skannatoio
Brava Alexandra, questo si chiama accettare il confronto. E grazie a te per aver accettato le nostre osservazioni.
D'accordissimo con te sul fatto che ci sia questa evoluzione nelle esigenze di mercato, è una cosa che a me disturba tantissimo perché ho l'impressione che la scrittura cosiddetta "moderna" risenta molto di tutto quello che appartiene, tradizionalmente, ad altri media: il cinema, la televisione, il fumetto, ecc. ecc.
Ad esempio, mi riesce molto difficile immaginare una storia infarcita di dialoghi in cui i personaggi raccontano se stessi, sono abituato a pensare che a far comprendere un antefatto debba pensarci l'autore, il deus ex machina che imbastisce l'azione e distende sul tavolo la mappa del "campo di battaglia", ma ho capito anche che nel mercato non c'è più spazio per questa roba.
E' così, purtroppo: il lettore ha bisogno di "ascoltare" i personaggi, di immaginarseli come se li vedesse in un film. Anche a te, come a me, piace raccontare, introdurre, presentare. Vedremo cosa ci riserva il futuro.
Un grosso in bocca al lupo!
view post Posted: 2/10/2020, 20:12 Skannatoio Settembre - Ottobre 2020 - Lo Skannatoio
Ciao Mentiskarakorum, grazie anche a te per i tuoi commenti!
Devo precisare, a scanso di equivoci, che dopo aver postato il racconto, ho fatto una miriade di micromodifiche entro la data prevista, quindi per capirci ho cercato di uniformare il più possibile l'uso del corsivo per interiorizzare il pensato del protagonista, è possibile che ora lo trovi in alcuni passaggi dove a una prima lettura probabilmente mancava.
Al di là di questo, che è il meno, comprendo gli altri spunti di riflessione che hai sollevato e ti ringrazio per averlo fatto.
La narrazione onniscente è quella con cui mi trovo meglio per ora, per quanto possa essere desueta; sono legato a un certo tipo di narrazione, ma sto cercando di evolvere in questo senso. A volte guardo con diffidenza alla prima persona, mi sembra un po' troppo semplice come espediente - ma è un'impressione molto personale.
Quanto a introdurre il background dei personaggi... non saprei onestamente in che modo evitarlo senza rischiare che si perdano anche informazioni essenziali per la comprensione dei personaggi. Mi sono reso conto che il mio approccio alla scrittura non è propriamente modernissimo, normalmente leggo più classici a cavallo tra '800 e '900 (horror, gialli, avventura) ma sto cercando di trovare il modo di venire a capo anche di questo.
Vorrei tanto potermi iscrivere subito al corso di scrittura di Livio Gambarini, ma ci sono spese da far quadrare e la cosa non sarà a breve...
view post Posted: 2/10/2020, 13:38 Skannatoio Settembre - Ottobre 2020 - Lo Skannatoio
Ciao shanda06, grazie intanto per il tuo commento! ;)

Ecco i miei.

Commento a "Spicchio di cielo" di Alexandra Fischer:

La mia prima impressione è che si tratti ancora di una bozza, e che non sia stato riletto abbastanza. Mi chiedo come mai, avendolo, l’autrice, postato con due settimane di anticipo. Mi fa pensare a un’auto lasciata lì in doppia fila ché tanto qualcuno prima o poi se ne occuperà.
Ci sono diversi passaggi in cui si fatica a inquadrare il “dove” e il “quando”. Ci sono troppi sottintesi, troppi riferimenti a cose o oggetti descritti molte righe sopra, che il lettore fa in tempo a dimenticare. Bisogna sempre mettere in conto anche un lettore disattento. Il lettore deve essere imboccato di continuo, deve avere sempre presente chi dice cosa, a chi lo dice, a quale oggetto specifico si riferisce, e in quale momento lo fa.
È complicato anche comprendere le dinamiche del triangolo amoroso che viene introdotto nel momento in cui si mettono in antitesi le descrizioni fisiche della protagonista e di sua sorella, con Marco a fare da spartiacque tra il perché di una scelta a dispetto dell’altra.

Tra l’altro la figura di Rubinia, benché rappresenti il fulcro della storia, viene introdotta in maniera vaga, quasi come una figura mitologica. A partire dal nome: dopo essere stata chiamata sorella, viene chiamata Rubinia dopo mezza pagina (il lettore ci può arrivare che sono la stessa persona, ma il punto è proprio questo: il lettore non deve salire nemmeno uno scalino, ma camminare sul pavimento più liscio che ci sia), e poi non viene chiamata più “sorella” per tutto il resto del racconto, e già questo suona come una forma di distacco molto importante da parte della protagonista stessa (che a questo punto fa bene a sentirsi una stronza).
In tutto questo ci sono nomi invertiti o alterati in passaggi distinti del racconto (ad es. Carli che diventa De Carli), ed errori di riferimento nei dialoghi.

Purtroppo anche la scelta dei tempi verbali non aiuta, ma sono sicuro che in fase di revisione il problema sarebbe saltato subito all’occhio. La scena finale, per esempio, dovrebbe avvenire nel presente narrativo, ma viene introdotta come un flashback con il tempo al passato. Se si vuole descrivere una scena in maniera lenta, attimo per attimo, in prima persona (e quindi è chiaro che il/la protagonista, in un qualsiasi momento successivo, sta riportando la cronaca di quegli attimi) andrebbe usato un unico tempo verbale, e in questo caso il presente: mi alzo… una folata di vento mi spinge… raccolgo la scatola… vado in Comune…

Gli ultimi due capoversi sembrano invertiti: ci sono un passaggio introspettivo, con le considerazioni dolenti della protagonista su quale futuro l’attenderà, che avrebbero chiuso in maniera ideale tutta la storia, e un passaggio descrittivo, con loro che arrivano davanti al comune e… basta. L’ultima scena sembra annunciare ancora qualcosa, ad esempio la protagonista che prende e scappa, o la folla che le inveisce contro, ma non accade più nulla e tutto muore come una storia d’amore iniziata male.

Ultime considerazioni sparse:
1) “Fuori dalla porta la mamma bussa”, è chiaro che vuoi descrivere la madre che sta bussando alla porta, ma così viene spontaneo chiedersi “che cosa bussa”? Inoltre la protagonista che parla in prima persona non può sapere chi è che bussa alla porta: dare per scontato che sia la madre non vuol dire saperlo per certo, finché la porta non si apre. Un modo più efficace sarebbe stato: “Sento bussare alla porta, mia madre mi chiama”.

2) Se la protagonista corre allo specchio, e subito dopo descrivi una persona che non è in quella stanza, dai a intendere che la protagonista la veda riflessa nello specchio, come un fantasma (ma Rubinia non è ancora morta… credo); a meno che non sia questo l’intento (ma andrebbe esplicitato che la protagonista vede riflessa l’immagine della sorella), dovresti prima lasciare che la protagonista descriva se stessa, e dopo la sorella, che, esteticamente, è tutto il contrario.

3) Occhio alla grammatica: l’ausiliare del verbo vivere, se ti riferisci a dove uno vive o ha vissuto è, appunto, AVERE. Il verbo essere invece lo usi per indicare la durata di una vita: “E’ vissuto a lungo”, oppure il periodo in cui ha avuto luogo: “E’ vissuto nel secolo scorso”. Tralascio la forma “si è vissuto a lungo in questo/quel luogo” perché è un’eccezione molto marginale.


Commento a "Frutta appassita" di Mentiskarakorum:

Per prima cosa ho trovato il tuo racconto molto evocativo. Descrivi molto bene le scene dal punto di vista del protagonista, mi piacciono gli elementi sensoriali che dissemini qua e là. In alcuni punti però, mi pare all’inizio, spersonalizzi un po’ troppo il corpo del protagonista: quando dici “Una lacrima sgorga dall’occhio destro”, oppure “lo stomaco brontola”, sembrano gli occhi e lo stomaco di qualcun altro, anche perché poco prima hai scritto “mi bruciano gli occhi”, ed è quello il modo corretto per l’io narrante di descrivere se stesso. Al contrario, verso la fine, usi troppo l’aggettivo possessivo “mio”, ad es.: “la balestra punta il mio occhio” invece che “ho una balestra puntata alla testa” (dove il dettaglio dell’occhio è quasi superfluo); o ancora, sempre sul finale, “la freccia ha inchiodato il ciondolo al mio petto” invece che “la freccia mi ha inchiodato il ciondolo al petto” (che tra l’altro deve fare un male cane, da svenire). Ma sono errori veniali, secondo me. L’atmosfera c’è tutta ed è molto immersiva, e questo ti fa onore.

Occhio ai particolari truculenti e grandguignoleschi, forse un po’ troppo esasperati (che cosa ci guadagna il protagonista, alla fine della fiera, da una doccia di escrementi, urina, sangue e interiora?). Forse hai calcato un po’ troppo la mano, anche nel caso tu sia un anatomopatologo con l’hobby della scrittura.

Anche alcune scelte lessicali, il turpiloquio soprattutto, sono discutibili: “merda” e “piscio” in mezzo a una descrizione così accurata e minuziosa dello sbudellamento sono termini forzati, anche se probabilmente volevi rendere il fatto che il protagonista è giovane – ma allora è tutto il lessico precedente a suonare troppo “adulto”.
Dovresti rivedere gli incisi nei dialoghi, non c’è bisogno che metti un punto e poi il verbo dichiarativo in maiuscolo: togli la punteggiatura (a parte le virgolette) e riprendi la frase successiva con il carattere minuscolo.
Il titolo è da rivedere assolutamente: uno si aspetta una giornataccia per la signora Marisa, con la frutta piena di moscerini nel centrotavola in sala da pranzo, e si ritrova ettolitri di sangue e altre amenità.

Se posso segnalarti un altro passaggio che potresti rendere meglio: quando inizia l’autopsia, la frase “la puzza arriva alle narici” è scontata perché il protagonista ha già cominciato a tagliuzzare e, scritta così, la puzza sembra arrivare tardi (e poi: dove vuoi che arrivi?). In teoria dovrebbe precedere l’autopsia stessa, cioè il protagonista la avverte più forte man mano che si avvicina al cadavere, che non è certo conservato in un luogo asettico. Se avessi scritto “la puzza mi prende alla testa” avresti reso quasi tangibile qualcosa che c’è già da prima, ma è arrivato a un livello insopportabile. Senza contare, come dicevo prima, che “la puzza arriva alle narici” potrebbe anche significare le narici delle altre persone presenti, ma a te che stai descrivendo in prima persona che te ne frega di quello che sentono gli altri (ammesso che tu riesca a percepirlo)?


Commento a "Brutta da morire" di Ukulu:

Ho trovato il tuo racconto un ottimo esempio di divertissement letterario, un raccontino leggero e umoristico che mi ha ricordato in alcuni passaggi nientemeno che il grande Stefano Benni.
Un grosso plauso alla padronanza che hai dei dialoghi: li ho trovati perfetti. Si capisce bene chi dice cosa e quando, e se lo si capisce senza che ci siano i verbi dichiarativi ad aiutarci vuol dire che hai fatto centro.

Dagli indizi che hai disseminato (l’ulivo, le strade polverose, il lessico della nonna, l’uso del verbo “cozzare”) mi pare di intuire un’ambientazione meridionale, oserei addirittura pugliese. Diciamo, a stare larghi, una zona che va dal Molise alla Lucania. 😊 Un paio di scelte lessicali sono forse discutibili, ma non sbagliate a priori (ad es. userei “imbevuto” per un tessuto che viene bagnato di proposito, non per qualcosa d’altro che si inzuppi accidentalmente).
Per il politicamente corretto magari potresti evitare i riferimenti espliciti a calciatori della Juve e all’appellativo “gobbo” (e parlo da interista, per quel che vale). Se poi ti legge CR7 in persona ti chiede un botto di diritti, quindi valuta attentamente la tua scelta…😊

Anche le azioni compiute di volta in volta dai personaggi sono ben descritte, nel giusto ordine cronologico. Tranne forse un caso: quando il protagonista entra nella stanza del padre di Ivana e tu scrivi: “Nino entra nella stanza, muove un solo passo oltre la soglia.”
Sembrano due azioni invertite, perché di solito uno si muove e poi entra. Prova a pensare alla possibile alternativa: “Nino entra nella stanza, fermandosi appena un passo oltre la soglia”.
A parte questo, ribadisco: ottimo lavoro, con un ritmo vivace e nel complesso gradevole.


La mia classifica finale:

1. Brutta da morire
2. Frutta appassita
3. Spicchio di cielo

CITAZIONE (MentisKarakorum @ 2/10/2020, 10:52) 
Qui sta il mio errore di pretendere che un lettore si ricordi i nomi dei personaggi, specie se sono così esotici). :D

Ciao M. non darti colpe che non hai, se posso permettermi.
Non abbiamo davanti Il Trono di Spade, come volume di personaggi e quindi di nomi esotici, intendo: abbiamo un racconto breve in cui, personalmente, non vedo il rischio di confondere i nomi.
29 replies since 15/9/2020