41. Ci.Vi.Di.Giappone, Penisola Izu, Suruga Bay.Nell’
hangar ai piani più bassi della sua Fortezza, Kenzo Kabuto ancora non si capacitava: aveva acconsentito.
E non lo aveva fatto sotto minaccia, piuttosto sotto tortura. Infatti, di fronte al primo secco ed insindacabile “No.” proferito dal Direttore della Fortezza delle Scienze, dapprima il tanghero aveva poco dignitosamente attaccato a pregarlo. Quindi, contro l’indifferenza che era la migliore arma a quel punto sfoderabile da uno scienziato di levatura mondiale, l’altro aveva adottato la strategia del tormento, ovunque spuntando fuori all’improvviso per implorarlo con la sua vociona gracchiante: nella sala-riunioni, in controluce al proiettore palesandosi sotto forma di ombra assai ingombrante a disturbare fondamentali
meetings d’aggiornamento con tecnici e piloti; poi in laboratorio, dove al tecnigrafo un ingegnere robotico pressato dalla guerra in atto si scervellava armeggiando con righe a T, retini e compasso; infine persino nell’ufficio privato, dove tranquillo un direttore di base strategica anti-distruzione terrestre si credeva al sicuro nell’esaminare la posta in entrata, mentre da sotto la scrivania in massello di noce che era eredità di suo padre Juzo, anche da là sotto gli era sbucato di punto in bianco -
Cose da pazzi!Una volta il bischero - di fatto uno
stalker professionista - si era addirittura spinto ad intrufolarsi a scuola nella classe di Shiro dove, una volta tanto, un padre-scienziato per quanto oberato di lavoro s’era deciso a partecipare all’annuale incontro di presentazione dell’anno scolastico, del tipo “tutti insieme appassionatamente” tra insegnanti, studentelli elementari e relativi genitori. E là, di fronte ad una platea di ragazzini con maestra, tutti increduli, l’energumeno s’era pubblicamente ridotto ad un pianto di disperata supplica.
Nonostante ciò -
Calma, Kenzo, calma - lui era sempre e signorilmente riuscito a mantenere il controllo di sé, evitando di ordinare a Tetsuya di svolgere di nuovo l’antipatico compito del buttafuori nei confronti d’una persona tanto cara al piccolo Shiro...
Comunque, esattamente come la pover’anima del professor Tonda a suo tempo, anche Kenzo Kabuto alla fine era giunto a cedere. Non certo per compassione bensì perché, con la sua tecnica di lavorarlo instancabilmente ai fianchi per settimane e settimane, quello scocciatore lo aveva tarlato fin nel midollo osseo che da
cyborg ora nemmeno più possedeva. E dato che di quello strazio con continue seccature ed interruzioni sul lavoro come nella vita privata non se ne poteva proprio più, aveva deciso di accondiscendere a quella che, ingegneristicamente parlando, era da catalogarsi come una pura e semplice follia.
Adesso, nell’officina della Fortezza sul pelo delle acque del mare, da direttore stava appunto predisponendo affinché le maestranze del Centro Ricerche eseguissero il progetto che il professor Kenzo Kabuto di proprio pugno in quattro e quattr’otto aveva redatto per il potenziamento nientepopodimeno che - Del Boss-robo’?!?! - la squadra dei collaboratori stupefatti in coro lì per lì gli aveva domandato conferma.
- Sì, esatto. - Come al solito avevano capito benissimo i suoi bravi collaboratori, ai quali non v’era certo da confermare anche che ciò significava sottrarre una certa parte dei già risicati stanziamenti governativi alla manutenzione nonché al miglioramento del robot primario, ovvero del Grande Mazinga... Be’, voleva dire che ancora per un po’ Tetsuya si sarebbe accontentato della sua cintura di sicurezza a passaggio unico ventrale, la quale ad ogni urto più deciso permetteva al busto del pilota d’essere proiettato in avanti con violenza... Tanto, ormai, a sbattere la faccia contro la
cloche il ragazzo ci aveva fatto il callo, e mai una volta che il giovane impavido se ne fosse lamentato. In ogni caso, all'emergenza rappresentata dallo
stress da sfinimento cui ultimamente il Boss con la sua assurda richiesta lo stava sottoponendo, altro rimedio che fosse incruento al momento semplicemente non esisteva.
Finché, al termine della giornata stessa, si era bell’e che pronti per il collaudo del Borot modificato.
Collaudo che Boss, assistito dai suoi due affezionati accoliti Nuke e Mucha, aveva evidentemente deciso di sostenere presso lo sgangherato suo capannone alias cantiere nautico abbandonato, sito sulla medesima costa della Fortezza a poca distanza ed in vista di quest’ultima, dove in preda ad un entusiasmo incontrollato il pilota fai-da-te aveva testé condotto di corsa la sua enorme e sgraziata, ma ora finalmente potenziata, creatura di latta. Istantaneamente balzata in sella alle rispettive motociclette, la coppia d’inseparabili curiosi di Tetsuya e Jun lo aveva pedinato, motori quatto-tempi rombanti in rapido allontanamento lungo la passerella del Centro Ricerche...
Da principio, pareva che a levarsi dalla struttura fosse stato un fischio, un fischio persistente e sempre più acuto - Come una pentola a pressione in piena ebollizione, o come una caffettiera con la valvola di sfogo otturata subito prima di borbottare, hai presente, Dottore? - era stato il colorito resoconto della pilota di Venus. - E quando quel sibilo assordante è cresciuto in decibel fino a sfondarci i timpani, allora abbiamo capito di doverci portare al sicuro, così abbiamo dato gas alle moto e siamo filati via, il più lontano e il più velocemente possibile - a ruota Tetsuya aveva proseguito il racconto del collaudo autogestito del Borot cui un motore fotonico, per quanto piccolo, era stato integrato a rendere il cator... - pardon, la macchina - finalmente capace di volo attivo, almeno sulla carta.
Il botto a seguire si era udito comodamente anche alla Fortezza: al tremare dei vetri in sala-controllo, tutti i tecnici dalle loro postazioni sulle poltroncine a rotelle cigolanti erano arretrati quasi a convergere al centro dell’ambiente, da lì rivolgendo al loro Direttore sguardi dubbiosi e molto preoccupati, ma non una parola era sfuggita a quelle preparate e fedeli bocche.
Commento di Shiro: - Meno male che stavolta non ero là anch’io col Boss”.
- Shiro, figlio mio, vedi come il decidere di restare a casa per svolgere i propri compiti di scuola, cioè il proprio dovere, a volte può salvarci la vita - questa fu la conclusione ufficiale del Dottore, mentre di sotto i filiformi e nerissimi baffetti a punta: -
Contrariamente agli scienziati, - Kenzo si riepilogava -
numeri e calcoli non mentono mai: ecco quel che ci si deve aspettare se si decide di montare su di un’utilitaria il motore d'un bolide da corsa.
Anche se il cercare di spiegare ciò al Boss non sarebbe ovviamente servito a nulla.Dei componenti la carrozzeria del Borot, per molto tempo non sarebbero giunte notizie di ritrovamento.
I conducenti dell’altrimenti detto Boss-robo', invece, furono infine separatamente rintracciati come naufraghi su tre diverse micro-isole dell’assai dispersivo arcipelago Izu meridionale, tra foreste di palme ed indigeni, nel concerto cadenzato dei
tam-tam.
Tuttavia, convincere il Boss ad abbandonare l’isoletta su cui s’era ritrovato a precipitare senza paracadute ma abbracciato alla Borot-pendola, per Shiro, Nuke e Mucha non fu cosa facile: gli autoctoni di quell’isola, infatti, ancor oggi narrano del “Gran Dio del Tempo Piovuto dal Cielo”, ché con questo appellativo il corpulento pilota del Borot, col suo orologio a pendolo, dall'oggi al domani era divenuto consenziente oggetto di sentita venerazione locale.
Per aderire al culto del Divino Boss, qui:
https://gonagai.forumfree.it/?t=72981448&st=390#lastpostEdited by TsurugiTetsuya - 2/5/2024, 09:09